Silvio D'Arzo
L’osteria più che un luogo è un’atmosfera, un crocevia di attese che
sfumano in altre attese; è uno schermo grigio su cui scorre uno spettacolo di
malinconia ferita e velleitariamente ribelle, contraddetta solo dalla corposità
offensiva dell’oste panciuto e dalla lancinante nudità dei passeri infilati
nello spiedo dell’operosa cucina; intorno, tra gli avventori, dilaga l’inanità
del gesto – il pugno battuto sul tavolo – che dovrebbe far esplodere la
ribellione e si accascia, invece, nell’inguaribile stordimento, tra pioggia che
scroscia, vino che scorre, voci di canto (sempre la stessa canzone ribalda di
piratesca memoria “... ed una pinta di rum”) e inquieti
presentimenti.
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