giovedì 30 giugno 2016

Mavena

Poeta e drammaturgo croato, Radovan Ivisic (1921-2010) è riuscito ad essere messo al bando sia sotto l'occupazione nazista che sotto il regime stalinista. Nel 1942 le sue opere vennero infatti sequestrate dai nazionalisti ustascià, che lo definirono «apostolo dell'arte degenerata», mentre nel 1945 i cantori del realismo socialista gli chiusero per trent'anni le porte di ogni teatro: «Se i fascisti hanno reso palese la mia proibizione, i comunisti sono stati molto più abili, riuscendo per la maggior parte del tempo a proibire senza proibire». Nel 1954 Ivsic emigra in Francia, dove si unisce ai surrealisti. Allergico a premi e riconoscimenti, rimarrà sempre convinto che per via della sua essenza libertaria «la poesia si scrive con l'alfabeto dei vagabondi». Mavena è la sua opera d'esordio, pubblicata in tiratura limitata nel 1940.


Né sì né no: è intera.
Una barca: è sufficiente affinché lei taccia.
I pesci vengono a lei come il sogno.
Immerge le braccia nell’acqua per addormentarsi.
Quando si sveglia, piccole goccie cadono dalle sue dita, ridono sul suolo: sono i suoi occhi, sono tutti i colori.
È per questo che di fronte agli uccelli si chiude nella paura.
Tre prati verdi ti aspettano con impazienza nel suo corpo.
Non appena desidera trovarsi da qualche parte, le sue mani sono già là.
Nasconde il vento nelle onde.
Si domanda perché dovrebbe scorrere tra le dita come la sabbia, giacché è bella anche senza camminare sul suo respiro.
Se la accarezzi, lei scorrerà tra le tue dita come la sabbia.
Adesso capisci perché amo tanto la sabbia?
Non ha nemmeno bisogno di stare zitta per dire tutto.
Non sa cosa desidera quando guarda attraverso le lunghe fronde dei cervi.
Se tu sapessi…
Sul suo labbro il giorno si perde nella notte.
Non si volterà.
Le felci.
Quando ha sete, non sveglia mai l’acqua.
Il silenzio  sul limitare della foresta impaurita.
È lei che guarda le stelle o sono le stelle che guardano lei? È questo che la turba.
Respira.
Dorme.
Ascolta.
Quel che sente in una conchiglia non le basta.
È in una cala.
Dell’ombra feroce.
Quel che sembra confessarmi e quel che mi confida: se chiudi gli occhi, chiudili veramente e apriti.
Non guardare prima di vedere.
Dimentica che dimentichi.
Dei ricordi, lei conserva solo i colori. Non ha mai nascosto altro.
Quando solleva una palpebra, le farfalle sbocciano sull’acqua, i bruchi rossi coprono la foresta.
Ma quando s'alza l’altra palpebra…
Il suo sorriso allontana i fiori. Sa cosa hanno dimenticato i fiori.
Sola, non sarà mai del tutto nuda.
Chi è lei?

Porta Aperte Festival, Giovedì 30 Giugno 2016 ore 18.00 - Fabrizio Bondi ci parla di Ariosto


sabato 25 giugno 2016

Novità da Legatoriaminima!

In arrivo le novità da legatoriaminima, quaderni realizzati in cartoncino fatto a mano e canapa, con illustrazioni ispirate a erbari inglesi ottocenteschi.


Compagnia Teatro d'Assalto all'Arci di Persichello

Martedì 28 giugno, dalle ore 19:00 alle ore 23:00, a Persichello, Associazione Fili d'Erba e Arci Persichello presentano La Compagnia Teatro d'Assalto in NESSUNO LO SA.




Spettacolo alle ore 19.00 a seguire aperitivo con buffet.
per altre informazioni, qui.

venerdì 24 giugno 2016

Libreria ( Istanbul)




fonte da Il Post Libri

Di nuovo, un passo da Presenze Animali, di James Hilmann
La citazione è presa da La strada di Swann.

Paolo Nori e la Svizzera

Caro Paolo Nori,
                          tu stai per venire nella nostra città, Cremona, a parlarci del libro che hai pubblicato con Il Saggiatore e che hai chiamato "La Svizzera".
Allora ci è venuto desiderio di raccontarti che a Cremona, nella lunga, vecchia via che portava a Milano, via Milano per l'appunto (la determinazione della provincia a chiamare le cose per quello che sono anche tu la conosci) si trova un pezzo di terra che ha ospitato un bordello con osteria, un'osteria con bordello, un  bordello con vini, un'osteria con ragazze  per moltissimi anni e che si è sempre chiamata La Svizzera.
 Si trova alla fine delle case, alla fine della città. Non è periferia e non è altro. Quando si arriva alla sua altezza si sente con chiarezza che l'afa cittadina ti lascia e qualcosa di fresco ti prende.
Di fronte a questo pezzo di terra, esattamente dall'altra parte della strada, c'è stata per tanti, tanti anni una Caserma di cui non restano che pochi ruderi e molti alberi dimenticati dagli uomini che hanno smesso di curarli e che, proprio per questo, sono  molto belli.
Allora, ecco compreso perchè La Svizzera.
Si attraversava la strada: di qua le luci, gli ordini, il comando,l'obbedienza spesso dolente e ottusa.
Di là il buio con i suoi giochi di ombre notturne, il vino, le risate, lo smarrimento disobbediente e  forse felice.
La Svizzera, insomma


Paolo Nori

Quando mio babbo mi aveva consegnato il suo mondo, negli anni sessanta, mio babbo mi aveva consegnato un mondo che lui abitava, capiva, e che era mosso da regole che, in larga parte, condivideva. Io invece, che mi muovevo in un mondo dove i tifosi facevano gli autografi ai giocatori, dove i cani si chiamano Ansia, dove c'era chi votava le chiese su TripAdvisor e dove le antiche gelaterie erano state aperte sei mesi fa, e dove le librerie vendevano il vino e i panettoni, e dove di Dante si sapeva che gli piacevan le uova, e dove se c'era un fustino, era salvaspazio, io a mia figlia le stavo consegnando un mondo che non capivo tanto. 
   
 
 
 

mercoledì 22 giugno 2016

Parco Lambro, controcultura italiana

Quando a Parco Lambro la controcultura italiana è cambiata per sempre

June 22, 2016
 
Parco Lambro, Milano © Dino Fracchia. 
Per quanto oggi Parco Lambro possa essere considerato alla stregua di qualsiasi altro parco di Milano, negli anni Settanta è stato sinonimo di uno dei più grandi crocevia della cultura underground italiana: il Festival del Proletariato Giovanile.
I Pop Festival erano organizzati da Re Nudo, la principale rivista underground del periodo, e attiravano da un lato una sfaccettata fauna—composta da femministe, comunardi, "sporchi capelloni," curiosi, e militanti di Lotta Continua—e dall'altro gruppi più o meno emergenti e musicisti affermati.
A tutte le edizioni era presente un giovane disoccupato milanese, Dino Fracchia, che alle ultime due si è portato dietro una macchina fotografica e svariati rullini. Ne sono uscite 250 fotografie che rappresentano un vero e proprio continuum di passaggio dagli ideali del '68—con amore libero e acidi annessi—a una disaffezione sempre più politicizzata e sfociata negli Anni di piombo.


Parco Lambro, Milano © Dino Fracchia. 
Lo scorso anno è stato pubblicato il libro che contiene questo enorme lavoro d'archivio di Fracchia, Continuos Days, e per l'occasione avevamo intervistato l'autore per parlare dell'origine del movimento e della sua esperienza a Parco Lambro. Ma a 40 anni di distanza esatti dall'ultima edizione del Festival, lo spazio Forma Meravigli di Milano inaugura una mostra intitolata I giorni del Parco Lambro, Continuous Days, Milano 29/5/1975 – 26/6/1976. Per approfondire il discorso su come quelle ultime edizioni siano state lo strappo della controcultura italiana, e perché sia utile riparlarne proprio oggi, ho quindi contattato il curatore della mostra, Matteo Balduzzi.
Una delle prime cose che sottolinea Matteo è che la mostra rappresenta il primo scorcio di una lunga serie di momenti storici passati dalla città di Milano prima che si trasformasse nell'immagine stereotipata che tutti oggi conosciamo. "Abbiamo scelto di proporre tutte le immagini del libro e di non accantonarne nessuna per far rivivere nella sua interezza come doveva essere davvero quel momento," mi ha spiegato Matteo.

Parco Lambro, Milano © Dino Fracchia. 
Tutte le foto sono esposte una accanto all'altra come delle micro sequenze di un flusso circolare unico e—quando scattate dallo stesso punto—poste una sopra all'altra come fermoimmagine di un'unica azione. "In questo modo, al di là della storia politica," continua Matteo, "il visitatore può vedere sia i momenti di divertimento che quelli noiosi, sia quelli di vera libertà che di scompiglio," e ovviamente anche i partecipanti: "Ci sono un sacco di immagini da cui viene fuori che c'erano delle persone che palesemente non c'entravano nulla col contesto. C'erano tantissimi militari di leva che non sapendo cosa fare andavano a Parco Lambro a vedere le ragazze nude, c'erano dei veri e propri guardoni, o gente che non era parte del movimento, ma che siccome erano nelle vicinanze andava lì a curiosare."
Inoltre, Matteo mi spiega che l'allestimento della mostra è prettamente contemporaneo in quanto da un lato riporta quel periodo come se fosse stato girato da Fracchia con una GoPro, e dall'altro senza il bisogno di tirare in causa la figura del fotografo demiurgo. Insomma, si tratta sì di un reportage, ma rivisto in chiave moderna e cinematografica, come un po' già accade nel libro. "Si spiega che tutto sommato lo sguardo del fotografo non è così fondamentale, nel senso che si recupera un'idea di artista come operatore culturale e testimone del proprio tempo, e non l'idea dell'artista genio che ci vende il mercato e che con il suo colpo d'occhio unico è capace di ricostruire la scena. Si racconta di un artista testimone che era semplicemente in mezzo con la sua macchina fotografica, in quanto parte della società in cui stava ed era immerso."
La mostra I giorni del Parco Lambro - Continuous days, Milano 29/07/1975 - 26/06/1976 verrà inaugurata il 24 giugno e resterà aperta al pubblico fino all'8 settembre, allo spazio Forma Meravigli di via Meravigli 5, a Milano.

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In tutte le foto qui sotto: Parco Lambro, Milano © Dino Fracchia.
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Marguerite, quali indizi?

"Fondare biblioteche e' ancora un po' come costruire granai pubblici: ammassare riserve contro l' inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire". Marguerite  Yourcenar. 

martedì 21 giugno 2016

Venerdì 24 Giugno, La Libreria Caffè Yeti, di Roma, terrà la mostra e incontro intitolata Another step and you're elsewhere, riflessione e testimonianza sui migranti provenienti dai campi greci di Idomeni,  con le fotografie di Danilo Balducci, e gli interventi della giornalista per l'Huffington Post, specialista in politiche d'immigrazione, Sara Prestianni, e i volontari dell'associazione umanitaria urbana Baobab Experience, nella persona di Andrea Costa.




Domani sera 22 Giugno alle ore 21.30, verrà proiettato, a Piazza Santissima Annunziata, Firenze, Sponde - nel sicuro del Nord, di Irene Dionisio.
Il film è compreso all'interno della rassegna New Italians, promossa dal 57° Festival dei Popoli - festival internazionale del film documentario, ed stato vincitore del premio del pubblico nella precedente edizione del festival.




lunedì 20 giugno 2016

Biblioteca, Biblioteche

Biblioteca Casanatense

Brano tratto da Presenze Animali, di James Hillman.
La nota 42, rimanda alla fonte della citazione alla pagina 290 di The Eternal Present, The Beggings of Art, di S. Giedion, ( che diventa 300, invece, nell'edizione italiana).
Il Rasmussen citato, credo proprio essere Knud, che è stato un grande esploratore artico ed etnologo, tra le cose. Due le opere tradotte e pubblicate in Italia; Quodlibet ha editato un suo scritto di viaggio, mentre a inizio anni '90, Xenia Editore ha portato una raccolta di favole e leggende eschimesi.
Della raccolta è possibile trovare on line purtroppo solo qualche pagina qui.
Per la scansione si ringrazia il Progetto Internet Culturale, e la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

Se non si balla non è rivoluzione

«Durante le danze ero la più instancabile, la più allegra ero sempre io. Una sera un ragazzo, un cugino di Sasha, mi prese da parte e con un'espressione grave, come se stesse per annunciarmi la morte di un caro compagno, mi sussurrò che una rivoluzionaria non avrebbe dovuto abbandonarsi alle danze. Perlomeno, non così sfrenatamente come facevo io. Non era dignitoso per una che stava per diventare un elemento importante nel movimento. La mia frivolezza avrebbe nuociuto alla Causa.
L'impudente intromissione del ragazzo mi fece andare su tutte le furie. Gli dissi di badare ai fatti suoi, che ero stufa di sentirmi sempre sbattere in faccia la Causa. Non credevo assolutamente che una causa ispirata a un magnifico ideale, all'anarchismo, alla libertà da ogni convenzione e pregiudizio, presupponesse il rifiuto della vita e della felicità. La Causa non poteva pretendere che mi tramutassi in una suora e neppure che il movimento poteva trasformarsi in un convento. Se il suo significato era questo, non volevo averci nulla a che fare. "Voglio la libertà, io, voglio che tutti abbiano il diritto di esprimere se stessi, di godere le cose belle". Questo era il significato che attribuivo all'anarchismo e così l'avrei vissuto, a ogni costo — prigione, persecuzioni, qualsiasi cosa».
 
Emma Goldman

domenica 19 giugno 2016

Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale

Oggi, liberazione del desiderio significa anzitutto liberazione da un certo tipo di desideri imposti.
La libertà rivoluzionaria non è un fatto individualistico, è un rapporto di reciprocità.

Mario Mieli
Elementi di critica omosessuale
Einaudi
1977

In Marocco riapre la biblioteca più antica del mondo


Tra i vicoli della vecchia medina di Fes vi è custodito un tesoro che pochi conoscono: la biblioteca di Al Qarawiyyin. Non solo la più vecchia dell’Africa ma, secondo l’Unesco, anche la più antica istituzione di insegnamento operativa mai esistita. Secoli di storia raccolti in manoscritti che risalgono al XII secolo custoditi tra le mura di un edificio che, da solo, rappresenta voce e testimonianza di un passato, una storia, un’epoca d’oro che sfida l’attualità dei figli odierni di quel mondo. Sfida ancora più impegnativa quando si scopre che fu una donna, Fatima El Fihriya, nell’859, la fondatrice di una istituzione d’avanguardia.

Quella del Qarawiyyin non è solo una biblioteca, ma anche una moschea e un’università. E’ stata un punto di riferimento di primo piano sul trasferimento della conoscenza non solo in quel luogo, ma anche tra musulmani ed europei. Grazie a Fatima, che ci ricorda quanto invece il contributo delle donne nella civiltà musulmana fu attivo e tutt’altro che in ombra, poterono crescere – tra i manoscritti della biblioteca e le mura dell’università da lei fondata – ragazzi e alunni che diventarono pilastri di quella civiltà, come il poeta mistico e filosofo Ibn
Al-Arabi e l’economista Ibn Khaldun.

Questa straordinaria storia, però, era in procinto di essere divorata e distrutta per sempre dalla polvere e dalla noncuranza. La buona notizia di questi giorni è che la biblioteca Al Qarawiyyin, dopo che le sue porte erano state chiuse per anni, apriranno finalmente al pubblico da maggio. Sono infatti, terminati i lavori di riabilitazione avviati nel 2012 grazie all’iniziativa del Ministero della Cultura marocchino, che ha affidato ad un’altra donna, l’architetto Aziza Chaouni, il compito di portare a compimento la rinascita di un luogo fondamentale per la storia del Nord Africa.

Tra qualche mese, dunque, si potrà tornare indietro nel tempo non solo attraversando i misteriosi vicoli della vecchia medina di Fes, la bottega di un artigiano del legno o della seta, oppure dei Sherbil di pelle ancora gelosamente lavorati a mano. Ma i fortunati visitatori potranno oltrepassare la porta dei Qarawiyyin, superare gli archi e arrivare alla biblioteca rimanendo estasiati dai Zellij colorati, dai mosaici e dalle fontane completamente ristrutturate, ammirare il giardino in fiori nel Patio centrale ed arrivare alla stanza della conoscenza: la biblioteca che finalmente prende vita con i suoi manoscritti unici, il vero tesoro di Fes e del mondo, come lo è questa città, dichiarata dall’Unesco, patrimonio dell’umanità.

fonte articolo
fonte foto
altre fonti fotografiche

sabato 18 giugno 2016

Paolo Nori.Meno male che c'è

Opera n. 261 Quel poeta di Roma. Ero sincero quando ho detto che era un grande poeta. Solo che scherzavo quando ho detto che ero sincero. [Learco Pignagnoli, 14 Sensi e 26 Opere complete inedite, in Esplorazioni sulla via Emilia, Macerata, Quodlibfulminanti opere di Learco Pignagnoli.

Opera n. 3
Loris era un poeta che una volta ha scritto un endecasillabo con tante di quelle sillabe, che l’endecasillabo è scoppiato.

Opera n. 7
C’era Tenaglia che non aveva mai letto un libro. Un giorno ne ha comprato uno e l’ha letto tutto in un fiato. Solo che non gli è mica piaciuto tanto.

Opera n. 9
I dottori gli avevano detto che se mangiava un’altra fetta di mortadella, moriva.

Opera n. 21
Secondo me Gesù Cristo era un tipo come Davoli.

Opera n. 28
Secondo il Corano, non è vero che Gesù Cristo l’hanno crocifisso. Gesù Cristo, dice il Corano, l’hanno impiccato, e al suo posto, sulla croce, ci hanno messo un tipo che si chiamava Sergio.

Opera n. 64
Dicon tanto che i matti, è colpa della società, mentre invece son loro che han la testa bacata.

Opera n. 90
Bottazzi, gli ho scritto che volevo ammazzarmi, e m’ha risposto solo dopo due mesi.
aggiornamento: ne parlano anche Bartezzaghi e la Lipperini.
riaggiornamento: e anche letturalenta.



Osteria Sottovento, via Siro Comi, 8 Pavia

 Ci andiamo?

ETS edizioni

a noi sono piaciuti
questo
e
questo

e questo che fa male però

-------- Messaggio Inoltrato --------
Oggetto: Notizie dalle Edizioni ETS
Data: Wed, 15 Jun 2016 10:23:21 +0200
Mittente: newsletter@edizioniets.com


venerdì 17 giugno 2016

Giovannino Uggeri, ideatore del Summer Poetry Festival, è quello che si lancia


Il mio amico Lucio dice che è sempre più difficile fare il libraio

Soweto, 16 giugno 1976

soweto1

Desiderare infinitamente

Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un voto universale, in un'indolenza terribile che mi farà incapace anche di dolermi.

Giacomo Leopardi, Zibaldone (72)

almanacco della pace, Matteo Guarnaccia

I Briganti,traduzione Einaudi, In riva all'acqua, traduzione Luni

I Briganti (romanzo)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
I Briganti
Shuihu7.PNG
Illustrazione all'opera (XV secolo)
Autore Shi Nai'An
1ª ed. originale XV secolo
Genere romanzo
Lingua originale cinese
I Briganti è un romanzo storico (del XV secolo) cinese ambientato nella fase finale della dinastia Song settentrionale (circa 1100 d.c.), composto da 114 capitoli raccolti in 25 volumi ed è un costituente dei Quattro grandi romanzi classici cinesi.
Il titolo originale del romanzo è Shui-Hu-Chuan (cinese tradizionale: 水滸傳, cinese semplificato: 水浒传, pinyin: Shuǐhǔ Zhuàn), letteralmente è traducibile come "Storia in riva all'acqua", ma pubblicato in Italia come I briganti. È noto anche coi nomi: Tutti gli uomini sono fratelli e Le paludi del monte Liang.
Vi si narra l'avventurosa epopea di una banda di 108 briganti, invincibili in campo aperto, diabolicamente astuti nella guerriglia, temerari nel pericolo, spietati nella vendetta.
Questi masnadieri non sono soltanto uomini d'arme e di rapina, ma cavalieri fedeli a un semplice e generoso ideale, che accorrono là dove l'ingiustizia opprime i deboli e gli inermi e ovunque ci sia la corruzione; sempre disposti, tra una battaglia e l'altra a concedersi solennissime sbronze.
Ai funzionari del Celeste Impero sorpresi a leggere questo libro le autorità del tempo sospendevano lo stipendio per molti mesi; e questo accanimento della censura indica abbastanza bene la straordinaria vitalità polemica dell'opera.
I briganti sono l'esempio più famoso di un genere di romanzo cinese che, tra l'eroico e il picaresco, si può avvicinare alla Chanson de geste del medioevo occidentale, ed ha schemi narrativi comuni a quelli delle avventure dei Cavalieri della Tavola Rotonda e di Robin Hood.
 

Accarezzare la costa di questo libro

La cinquina del Premio Strega

Glenn Gould

Geoffrey Payzant, Glenn Gould. La musica, l'uomo
Geoffrey Payzant (1926-2004), filosofo, scrittore e organista, ha insegnato musica alla Mount Allison University di Sackville e filosofia con indirizzo estetico alla University of Toronto. Ha fondato e diretto il Canadian Music Journal (dal 1956 al 1962) conducendo ricerche empiriche sulla percezione musicale. La sua monografia su Gould, già tradotta in francese, giapponese e polacco, e qui presentata al pubblico italiano, è stata per decenni l’unico libro disponibile sulla figura e l’arte del pianista e compositore canadese, e ancora oggi costituisce un’eccezione nel panorama degli studi su Gould. Payzant, infatti, non si focalizza tanto sugli aspetti della vita privata o sulle apparizioni pubbliche del musicista, ma svolge una profonda analisi del pensiero, della natura e della filosofia che hanno sempre orientato le – mai banali – scelte artistiche, tecniche e di vita di Glenn Gould. L’artista, proprio grazie ad un’originale visione della musica in grado di mettere in dialogo tradizione e innovazione, è diventato una personalità centrale per l’intero mondo della cultura contemporanea, e le sue idee, pur ruotando essenzialmente intorno alla musica, si sono sviluppate in un articolato pensiero che eccede la musica e approda a una genuina e singolare filosofia della tecnica e teoria della comunicazione.
Geoffrey Payzant, Glenn Gould. La musica, l'uomo, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2016, 258 pp., 20 euro

giovedì 16 giugno 2016

Il logo di una piccola, preziosa casa editrice: Temi, di Trento. Quanta sensibile cura nella scelta di questo logo.Lì, fuori, qualcuno se ne avvede?



I POETI DELLA SCUOLA SICILIANA : Un giorno hanno detto alla libraia di non scrivere mai in stampatello che è una cosa molto volgare, equivarrebbe a gridare quando si parla. Oggi la libraia si sente di dire, a lettere maiuscole, che la Libreria custodisce ancora " I POETI DELLA SCUOLA SICILIANA"

Edizioni e/o! (Arghhhhh!) Leggetevi questa trama e giudicate voi!




sabato 11 giugno 2016

La tintinnante uniforme dei vocaboli ontologici

Ciò contro cui vorrei pronunciarmi in breve con un'osservazione è il vocabolario esoterico di cui il collega T. si è servito nelle sue argomentazioni, solitamente tanto chiare.
A me sembra che se i fornai facessero il pane solo per fornai, i sarti vestissero solo sarti, i dentisti piombassero solo denti di dentisti, essi si comporterebbero né più né meno esotericamente di quei professori universitari di oggi. La particolarità e — per favore non mi fraintenda: intendo l'espressione in maniera puramente filosofica, e accuso me stesso non meno di qualsiasi altro — comicità del ruolo sociale della nostra filosofia universitaria consiste nel fatto che noi, i suoi produttori, siamo anche i suoi unici consumatori; e che le nostre asserzioni, le quali presumibilmente riguardano «l'uomo in generale» e dovrebbero essere vincolanti per tutti, le esponiamo in un idioma che riguarda solo pochi e quindi la pretesa di generalità viene smentita già nell'istante in cui viene espressa [...] infatti cosa sarebbe più difficile dell'esprimere convinzioni filosofiche in modo non esoterico?
Non voglio assolutamente attenuare questa difficoltà. In fondo noi filosofi siamo degli oppositori. E dal momento che filosofando cerchiamo di liberarci dai pregiudizi di cui siamo investiti dal linguaggio della quotidianità e della formazione o dai pregiudizi da esso presupposti come validi e ovvi, è un'impresa quasi contro natura — lo ammetto — condurre questa lotta contro i pregiudizi con l'aiuto dei pregiudizi stessi [...] gli ostacoli non solo sono così grossi perché il linguaggio quotidiano si rivela un inadeguato materiale per il filosofare, bensì anche perché per noi che filosofiamo il linguaggio artificiale è diventato una seconda natura.
Ci siamo così abituati a pensare nel suo esoterico medium, che la maggior parte di noi si accorge di qualcosa solo quando rimaniamo impigliati nella rete delle associazioni di questo linguaggio speciale. All'aperto, per esempio in campagna, noi filosofi medi non siamo filosofi — con questo non voglio dire che lì non continuiamo a parlare il nostro gergo tecnico, questo purtroppo lo facciamo in abbondanza e alberi e rocce in silenzio prendono in giro i nostri vocaboli ontologici — voglio dire che la Musa là non ci raggiunge o non ci riconosce; e che essa ci "bacia" solo quando in suo onore noi indossiamo la tintinnante uniforme del vocabolario speciale e ci sediamo alla scrivania — cosicché in maniera ancora più modesta assomigliamo a quei cattivi compositori che riescono a comporre solo davanti al pianoforte aperto, ai quali non viene altro in mente se non ciò che i tasti suggeriscono loro.
[...] se le asserzioni filosofiche dirette, non esoteriche, riuscissero, tutto il resto non sarebbe che una semplice prestazione, per la cui riuscita basterebbe in un certo senso lasciarsi andare. Il compito sarebbe risolto perfettamente — della "via regia" non vale neanche la pena di parlare — esso richiederebbe lo sforzo della disassuefazione, un peculiare atto attraverso il quale dovremmo astrarci dalle astratte espressioni che sono divenute per noi nostra carne e nostro sangue — una ritraduzione artificiale nell'idioma non esoterico di ciò che si è creato nell'idioma esoterico. [...]
Infatti se per esempio noi formuliamo una convinzione di filosofia morale, in cui ci sia la pretesa di rivolgersi a tutti, in una dizione e in una situazione che rendono impossibile la ricezione da parte dei presunti destinatari, allora "diamo" in modo errato. Ciò che viene detto contraddice la pretesa stessa: e in ciò, appunto, consiste la non verità della situazione. E se continuiamo sempre di nuovo e per principio ad accontentarci di una situazione del genere o ci diamo da fare sempre e per principio a creare tali situazioni, allora anche noi diamo prova di falsità, o comunque di una assai originale non serietà — per quanto antico e rispettabile possa essere quest'uso e nonostante lo facciamo con accademica serietà. Forse questa non serietà è davvero un monopolio della filosofia universitaria.
Comunque il ruolo morale e sociale del filosofo rimane, perseverando in tali false dare-situazioni, pura presunzione e mera apparenza... e tale reputo la nostra odierna funzione pubblica. Molto di quel che noi e i nostri colleghi abbiamo da dire può in qualche modo essere davvero "valido". Ma non possiamo sostenere che la nostra parola "valga" qualcosa. In verità non abbiamo niente da "dire". In fin dei conti noi siamo, quando formuliamo i nostri postulati, per niente meno fantomatici dei re dei drammi teatrali, i quali sarebbero molto sorpresi, perfino sbigottiti, se qualcuno del pubblico prendesse alla lettera le loro battute. Solo che gli attori ammettono sinceramente l'apparenza dei loro appelli e si lasciano pagare l'apparenza, mentre noi affermiamo di credere davvero ai nostri postulati, che invalidiamo con l'esoterismo del nostro linguaggio.
 
Günther Anders
Sull'esoterismo del linguaggio filosofico, 1943

venerdì 10 giugno 2016

Lina Bolzoni e Pico della Mirandola



12 giugno 2016
ore 16:00

Lina Bolzoni

Da un lato c’è Pico della Mirandola, l’umanista diventato famoso per la leggendaria memoria. Dall’altro c’è Lina Bolzoni, docente di Letteratura Italiana alla Scuola Normale Superiore di Pisa, tra le più illustri studiose ed esperte internazionali dell’arte della memoria. Un incontro affascinante, inseguendo il modo in cui si è sviluppata l’interazione tra ricordi e immagini.

Luogo: Cortile dell’Abside
 

Odissea, Festival della Valle dell'Oglio

Perchè non compare il nome del traduttore? Del curatore? Dati ininfluenti?



venerdì 3 giugno 2016

Letture Venerdì 2 Giugno - Fotografia Europea!

Gli eventi del festival Fotografia Europea 2016 - La via Emilia. Strade, viaggi e confini - continuano stasera a Reggio Emilia (ma anche domani e dopodomani) con la presentazione dell'Almanacco da parte degli autori, tra cui Jacopo Narros.
Quindi, in bocca al Lupo!




altre info, qui.
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