venerdì 29 marzo 2019
La felicità
...ma (è) la disposizione alla felicità che premia lo sforzo delle civiltà feconde...
da "Sull'Iliade", Rachel Bespaloff, Adelphi, traduzione di Simona Mambrini
giovedì 28 marzo 2019
martedì 26 marzo 2019
Ardilut
Collana di poesia bilingue a cura di Giorgio Agamben.
Il disegno dell’ardilut (valeriana selvatica), scelto dal giovane Pier Paolo Pasolini per le sue pubblicazioni in friulano, viene qui ripreso come simbolo della collana, che intende, a più di quarant’anni dalla morte del poeta, proseguire e verificare nella nuova realtà linguistica del xxi secolo la sua riflessione sul rapporto fra lingua e dialetto.
È stato Dante a porre sotto il segno del bilinguismo la nascita della poesia italiana. Nel De vulgari eloquentia egli contrappone il volgare, che «i bambini apprendono da chi sta loro intorno appena cominciano a distinguere le voci», e «senza nessuna regola riceviamo imitando la nostra nutrice» alla «lingua secondaria, che i Romani chiamavano grammatica nella quale siamo regolati e istruiti solo attraverso uno spazio di tempo e assiduità di studi». Nel momento stesso in cui decide di scrivere in volgare la sua poesia, a questo primo bilinguismo, Dante ne aggiunge subito un secondo, quello fra i volgari municipali e il volgare illustre, che paragona a una pantera profumata, «che fa sentire la sua fragranza in ogni città, ma non dimora in alcuna».
L’ipotesi che questa collana propone è che oggi alla grammatica di Dante corrisponda l’italiano come lingua nazionale e al volgare i cosiddetti dialetti e che, come allora, la poesia italiana, che sembra attraversare una fase di crisi o di stasi, potrà rinascere solo se tornerà a nutrirsi di questa intima diglossia. Non è certo un caso se la grande fioritura della poesia italiana del Novecento sia stata discretamente accompagnata da un’altrettanto grande fioritura della poesia in dialetto ed è probabile che esse siano così strettamente connesse, che senza l’una non avremmo avuto nemmeno l’altra. Per questo la collana, accanto ai nuovi poeti, ripubblicherà anche dei classici, a cominciare da Pier Paolo Pasolini e Andrea Zanzotto, che hanno scritto tanto in lingua che in dialetto, e seguirà con attenzione ogni ricerca di una lingua poetica che fuoriesca dal monolinguismo. Il «regresso lungo i gradi dell’essere» di cui parlava Pasolini per il suo dialetto è, infatti, innanzitutto un regresso lungo i gradi della lingua, che permette al poeta di scavalcare la lingua non più viva e corrotta che lo circonda da ogni parte verso una lingua che esiste già sempre e, tuttavia, ancora non esiste: la lingua della poesia. Il testo a fronte che caratterizza la collana rende visibile il movimento – e quasi l’andirivieni dal dialetto alla lingua e viceversa – che definisce il gesto poetico, quasi che il vero luogo della poesia non fosse né nell’uno né nell’altra, ma nell’ardua, incessante tensione fra di essi.
Il disegno dell’ardilut (valeriana selvatica), scelto dal giovane Pier Paolo Pasolini per le sue pubblicazioni in friulano, viene qui ripreso come simbolo della collana, che intende, a più di quarant’anni dalla morte del poeta, proseguire e verificare nella nuova realtà linguistica del xxi secolo la sua riflessione sul rapporto fra lingua e dialetto.
È stato Dante a porre sotto il segno del bilinguismo la nascita della poesia italiana. Nel De vulgari eloquentia egli contrappone il volgare, che «i bambini apprendono da chi sta loro intorno appena cominciano a distinguere le voci», e «senza nessuna regola riceviamo imitando la nostra nutrice» alla «lingua secondaria, che i Romani chiamavano grammatica nella quale siamo regolati e istruiti solo attraverso uno spazio di tempo e assiduità di studi». Nel momento stesso in cui decide di scrivere in volgare la sua poesia, a questo primo bilinguismo, Dante ne aggiunge subito un secondo, quello fra i volgari municipali e il volgare illustre, che paragona a una pantera profumata, «che fa sentire la sua fragranza in ogni città, ma non dimora in alcuna».
L’ipotesi che questa collana propone è che oggi alla grammatica di Dante corrisponda l’italiano come lingua nazionale e al volgare i cosiddetti dialetti e che, come allora, la poesia italiana, che sembra attraversare una fase di crisi o di stasi, potrà rinascere solo se tornerà a nutrirsi di questa intima diglossia. Non è certo un caso se la grande fioritura della poesia italiana del Novecento sia stata discretamente accompagnata da un’altrettanto grande fioritura della poesia in dialetto ed è probabile che esse siano così strettamente connesse, che senza l’una non avremmo avuto nemmeno l’altra. Per questo la collana, accanto ai nuovi poeti, ripubblicherà anche dei classici, a cominciare da Pier Paolo Pasolini e Andrea Zanzotto, che hanno scritto tanto in lingua che in dialetto, e seguirà con attenzione ogni ricerca di una lingua poetica che fuoriesca dal monolinguismo. Il «regresso lungo i gradi dell’essere» di cui parlava Pasolini per il suo dialetto è, infatti, innanzitutto un regresso lungo i gradi della lingua, che permette al poeta di scavalcare la lingua non più viva e corrotta che lo circonda da ogni parte verso una lingua che esiste già sempre e, tuttavia, ancora non esiste: la lingua della poesia. Il testo a fronte che caratterizza la collana rende visibile il movimento – e quasi l’andirivieni dal dialetto alla lingua e viceversa – che definisce il gesto poetico, quasi che il vero luogo della poesia non fosse né nell’uno né nell’altra, ma nell’ardua, incessante tensione fra di essi.
sabato 16 marzo 2019
mercoledì 13 marzo 2019
lunedì 11 marzo 2019
Pier Vittorio Tondelli, "Senso di abbandono permanente", Marco Mancassola
È un senso di abbandono fuori dal tempo, ma che riecheggia in modo
distinto oggi. Non c’è più alcuna fuga, non c’è alcun rifugio nel mondo
connesso e globale in cui sia possibile staccarsi dal dolore, dal sé,
dai fallimenti e dalle insufficienze della propria soggettività. Si può
espatriare, cambiare lavoro, salire e scendere dagli aerei low cost. Si
può saltare da un profilo online all’altro. Si possono inventare intere
nuove identità nello spazio di un’ora; cercare abbracci, lasciare
amanti, reclutarne altri; lavori freelance e relazioni altrettanti
freelance; consumare esperienze e ordinarne altre. Il vagare
insoddisfatto, la tensione eterna ad andarsene, non fanno che produrre sfumature sempre nuove di solitudine.
Questa consapevolezza così perfettamente appartenente al XXI secolo sembrava già, in controluce, contenuta in Camere separate. E per alcuni, incluso chi scrive, quel romanzo è tuttora una lettura a cui tornare a intervalli periodici, per cercare di vedere, altrettanto in controluce, se l’umanità che trasuda dalle sue pagine possa venire in aiuto a fare i conti con il tempo attuale, con ciò che resta del famigerato postmoderno – oggi che la comunicazione, le trappole dei social media e l’isolamento che producono, sono la vera via crucis del soggetto contemporaneo; che a essere libertina è soprattutto la mente, sempre più distratta da un flusso di stimoli ridicoli e sconcertanti; che l’HIV è diventato metafora di uno stato di infiammazione cronica, latente; e le camere separate si sono fatte soprattutto interiori, nella conformazione indecisa, ambivalente, spesso quasi psicotica, dei desideri occidentali.
da "Senso di abbandono permanente" di Marco Mancassola che ringraziamo profondamente
Questa consapevolezza così perfettamente appartenente al XXI secolo sembrava già, in controluce, contenuta in Camere separate. E per alcuni, incluso chi scrive, quel romanzo è tuttora una lettura a cui tornare a intervalli periodici, per cercare di vedere, altrettanto in controluce, se l’umanità che trasuda dalle sue pagine possa venire in aiuto a fare i conti con il tempo attuale, con ciò che resta del famigerato postmoderno – oggi che la comunicazione, le trappole dei social media e l’isolamento che producono, sono la vera via crucis del soggetto contemporaneo; che a essere libertina è soprattutto la mente, sempre più distratta da un flusso di stimoli ridicoli e sconcertanti; che l’HIV è diventato metafora di uno stato di infiammazione cronica, latente; e le camere separate si sono fatte soprattutto interiori, nella conformazione indecisa, ambivalente, spesso quasi psicotica, dei desideri occidentali.
da "Senso di abbandono permanente" di Marco Mancassola che ringraziamo profondamente
Erich Fried, E' quel che è
La vita
sarebbe
forse più semplice
se io
non ti avessi mai incontrata
Meno sconforto
ogni volta
che dobbiamo separarci
meno paura
della prossima separazione
e di quella che ancora verrà
E anche meno
di quella nostalgia impotente
che quando non ci sei
pretende l’impossibile
e subito
fra un istante
e che poi
giacché non è possibile
si sgomenta
e respira a fatica
La vita
sarebbe forse
più semplice
se io
non ti avessi incontrata
Soltanto non sarebbe
la mia vita
È quel che è. Poesie d’amore di paura di collera (Einaudi, 1988), trad. it. A. Casalegno
sarebbe
forse più semplice
se io
non ti avessi mai incontrata
Meno sconforto
ogni volta
che dobbiamo separarci
meno paura
della prossima separazione
e di quella che ancora verrà
E anche meno
di quella nostalgia impotente
che quando non ci sei
pretende l’impossibile
e subito
fra un istante
e che poi
giacché non è possibile
si sgomenta
e respira a fatica
La vita
sarebbe forse
più semplice
se io
non ti avessi incontrata
Soltanto non sarebbe
la mia vita
È quel che è. Poesie d’amore di paura di collera (Einaudi, 1988), trad. it. A. Casalegno
venerdì 8 marzo 2019
mercoledì 6 marzo 2019
venerdì 1 marzo 2019
Inizia alla Libreria Ponchielli "Biglietti agli amici", esposizione di Carolina Farina
Dodici scatti fotografici in formato
adesivo sono costellati da alcuni frammenti delle ventiquattr'ore di Biglietti
agli amici, opera scritta da Pier Vittorio Tondelli nel 1986.
Il progetto nasce come omaggio, dal
desiderio di immaginare un nuovo corpo per questi messaggi d'affezione che
possa sfondare la cornice del libro: diasporico, effimero, autoprodotto,
irregolare.
Ciascun biglietto può apparire come una
soglia sulla quale si affaccia un triplice sguardo, quello dello scrittore,
della fotografa e del lettore. Sguardi che s'incontrano come in un rito di
passaggio. Un orizzonte di dialogo che rievoca quell'alchimia angelica e
astrologica di cui è punteggiata la scrittura di Tondelli e genera risonanze
nelle piccole storie quotidiane di chi le incontra.
Un progetto artistico che assume la
produzione lo-fi e hacker come pratica per interrogarsi sulle dinamiche
dell'amicizia e delle relazioni affettive, in cui gli stickers assumono la
potenzialità di “bagliori di memoria” quanto di messaggi clandestini, appunti
diaristici o pubbliche dichiarazioni, a seconda dell'interazione che il
fruitore sceglie di ingaggiare con questi oggetti.
Carolina Farina
Fotografa freelance, vive e lavora a
Roma. Si è diplomata in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di
Milano con una testi sul rapporto tra Fotografia e immaginari
visuali.
Il
suo focus di ricerca, tra pratica e teoria, si concentra sulle micro-narrazioni
del quotidiano con una particolare interesse per gli archivi
affettivi privati e per le memorie legate agli
oggetti.
Ha
realizzato reportages fotografici dedicati alle arti visive e performative per
istituzioni, festival e compagnie internazionali tra cui
Short Theatre,
Biennale di Venezia,
Polo Museale del Lazio, ATCL,
Salvo Lombardo/CHIASMA,
Collettivo Cinetico, Margine
Operativo,
Routes Agency - Cura of Contemporary
Arts,
Transnationalizing Modern
Languages,
e per il web magazine
roots§routes – research on visual
culture
con il quale ha pubblicato anche testi
critici.
I suoi progetti fotografici sono stati esposti
presso Spazio B.Go Loreto SP/CRAC
othervision [Cremona],
Ordine degli Architetti
PPC [Milano],
Spazio
Labò [Bologna], Rome Art Week, Studio CLAB, Casa della
Cultura [Roma].
Attualmente è dottoranda in Scienze della
Comunicazione presso l'Università Sapienza di
Roma.
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