venerdì 29 giugno 2018

Danilo Montaldi 1968


Imparare dalla Leggera. Oggi un incontro su Danilo Montaldi al PAF


Imparare dalla Leggera

Fabrizio Biondi e Anna Lazzarini, nel contesto del PAF, all'interno del cortile dell'Archivio di Stato oggi ricorderanno Danilo Montaldi e la sua opera. 
Alle 15 saremo ad ascoltarli. 

mercoledì 27 giugno 2018

Fra due giorni, pizzata kavernicola...

Zefiro, Ugo Pierri


il rincorrersi delle nuvole o la penosa nevrosi
che mi commuove alla vista del zoppo-mendicare?
l'asl mi vuole impasticcare
il prete mi assilla col suo dio di carta
il turbinio del cielo confonde le mie tesi balzane
una lontana sirena affretta il mio dirimpettaio
operaio alla ferriera

lunedì 25 giugno 2018

De Quincey

Fratello notturno, bevitore d'oppio,
padre di sinuosi periodi che sono adesso labirinti e torri,
padre delle parole che non si scordano,
m'odi, amico non visto, mi odi
attraverso quelle cose insondabili
che sono i mari e la morte?

                  da "Elogio dell'ombra", Jorge Luis Borges (traduzione di Francesco Tentori Montalto) 

sabato 16 giugno 2018

Se fossimo a Dublino, noi andremmo qui



(e subito dopo qui)


a Dublino si festeggia il Bloomsday!

La penna e l'inchiostro, Paolo Roberto Imperiali

La penna con l’inchiostro” di Paolo Roberto Imperiali

La penna con il pennino di metallo, che si poteva cambiare, che si intingeva nell’inchiostro, che poteva essere di vari colori, che si asciugava con la carta assorbente. E quelle penne stilografiche, alcune con il pennino d’oro, o con il pennino di cui spuntava solo la punta, ma era più solido, mentre quelle col pennino d’oro potevano essere più morbide, il cappuccio si avvitava, oppure si chiudeva spingendo finchè avveniva un piccolo scatto.

Per vedere se c’era inchiostro nella penna si svitava la parte posteriore e nel serbatoio trasparente se ne vedeva il livello, oppure c’era una pompetta di gomma che premendola un po’ faceva uscire una goccia d’inchiostro per cui si sapeva se ce n’era ancora e a volte ci si sporcava un po’ le dita.

Adesso, invece di tutto questo, basta spingere un tastoRisultati immagini per inchiostro macchie

venerdì 8 giugno 2018

Un'Ora 
Da un' idea di Giovanni Uggeri

Microconferenze, letture, autobiografie,
omaggi a, racconti, esperienze, ipotesi,
visioni
  
ORALITÀ, COMUNICAZIONE, CONDIVISIONE 

Venerdì 15 Giugno 2018 ore 18:00
Libreria Ponchielli


(e se piove? e se piove è tempo di bagnarsi come diceva
 Jack London)

  Incontro con


"Il mio Regno d'Oro. Racconto della città di Cremona
 (1900- 1945)"
 Lettura a cura di Francesca Miglioli 

 e a seguire

"Questi fiori malati. Il cinema di Pedro Costa"
di Michael Guarneri
Intervistato da Michele Brugnoli, CineChaplin


 ***

"Il mio Regno d'Oro. Racconto della città di Cremona 
(1900- 1945)
di Maria Biselli
a cura di Ughetta Usberti e Luigi Ghisleri

 Lettura di Francesca Miglioli 


Questo libro nasce da racconti attorno a un tavolo. Luigi ebbe l'idea, Ughetta lo trascrisse. I racconti erano la memoria di una città, memoria personale e collettiva di tante vie, le vecchie Porte, gli edifici e l'attenzione a tutti i volti affacciati,  che Maria Biselli  ha accumulato mentre attraversava Cremona, il Regno d'Oro, e che ha trattenuto fino al suo incontro con Luigi e Ughetta.
Il risultato è diventato un libro, di cui verranno letti alcuni momenti, nella scelta e nella voce di Francesca Miglioli.

Maria Biselli è nata a Cremona nel 1900 in una famiglia di forti tradizioni anarchiche e socialiste, e nel 1994 le è stata conferita una medaglia per il suo ruolo nella Resistenza.

Che cosa aveva fatto, in effetti, Maria nella sua vita, se non percorrere con buone e svelte gambe e occhi ben aperti le strade della sua città?
                                                                                                        Ughetta Usberti

 

"Questi fiori malati. Il cinema di Pedro Costa"
di Michael Guarneri

 Intervistato da Michele Brugnoli, CineChaplin 

Da quasi trent'anni, il regista portoghese Pedro Costa (Lisbona, 1959) porta sullo schermo croncache di resistenza e di lotta quotidiana per la sopravvivenza ispirate al fotogiornalismo investigativo, ai western e ai film del terrore della Hollywood classica, alla rabbia giovanile del punk, alla poesia surrealista - racconti cinematografici di vite ai margini, storie di povertà, immigrazione e tossicodipendenza ambientate in una dimensione crepuscolare tra Capo Verde e la periferia lisboneta, al confine tra sogno, incubo e realtà. 

Michael Guarneri è dottorando in storia del cinema italiano presso la Northumbria University (Newcastle upon Tyne), e collabora in qualità di critico cinematografico a riviste cartacee/online come Film Comment, MUBI Notebook, BOMB Magazine, débordements e La Furia Umana.

La solitudine e Maria Biselli

Maria Biselli scriveva nel suo bellissimo "IL MIO REGNO D'ORO Racconto della città di Cremona (1900-1945)" :
" la politica  è la capacità di compiere con "responsabilità totale, nella solitudine totale"  la scelta".

Accettare la solitudine

Nelle opprimenti condizioni di vita che pesano su di noi, le persone non domandano lucidità, domandano un oppio qualunque; e questo, grosso modo, in tutti gli ambienti sociali. Se non si vuole rinunciare a pensare, bisogna accettare la solitudine. Quanto a me, non ho altra speranza che quella di incontrare qua e là, di tanto in tanto, un essere umano, solo come me, che da parte sua si ostini a riflettere, a cui io possa dare e presso cui io possa trovare un po' di comprensione. Fino a nuovo ordine simili incontri restano possibili — prova ne è il fatto che ci scriviamo — ed è una fortuna straordinaria, di cui dobbiamo essere riconoscenti al destino. Chissà se, uno di questi giorni, un regime "totalitario" riuscirà per un lasso di tempo a sopprimere quasi del tutto la possibilità materiale di tali incontri?
 
Simone Weil, lettera a Jacques Lafitte, 14 aprile 1936

mercoledì 6 giugno 2018

"Sfascia la tua camera prima di dormire scomodo", 15 inchiostri di Sebastiano Gritti

 Sabato 10 giugno alle ore 19,00 si apre presso la Libreria Ponchielli "Sfascia la tua camera prima di dormire scomodo", esposizione di 15 inchiostri di Sebastiano Gritti.

 Sono inchiostri, quindici in tutto, che compongono una indagine solitaria, claustrofobica, allarmante forse, nera e contorta come grotte di notte.
Sono tavole riempite di tratti spessi, tratti in cui si infligge tutto un individuo, tutto il suo percorso, che potrebbe essere rappresentato da una serie di numeri, indirizzi, mansioni o da una sola linea, o una serie di linee.
Quale che sia la scelta, quell'intrico è sempre un volto.

L'esposizione sarà presente per tutto il mese di Giugno, fino al sole più caldo.






"Dismorfia come unica via di consapevolezza del proprio io. Una visione distorta, dissociata e deforme come tramite di una introspezione claustrofobica. Gli additivi chimici ci rendono fragili, ipersensibili plasmabili. Fasi maniacali violano compartimenti stagni che sigillavano pianti. Il pendolo oscilla tra piacere e dolore disegnando il simbolo dell'infinito. Il gusto per lo stile. Il piacere dell'estetica. Crogiolarsi nel disagio. La dialettica del degrado. Un linguaggio tecnico e specifico, viscerale, che ha origine da corde vocali lacerate, consumate e infine recise lentamente. L'attimo che precede un'azione innaturale e meccanica. Il momento in cui devi alzarti e le gambe cedono. L'ora di sbagliare. Sfascia la tua camera prima di dormire scomodo. Segui in maniera maniacale, morbosa, metodica e sistematica le controindicazioni per goderti gli effetti collaterali"

Sebastiano Gritti

lunedì 4 giugno 2018

Scrittura e oblio (da DOPPIOZERO che ringraziamo)

Socrate – Ho sentito narrare che a Naucrati d’Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio a cui è sacro l’uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l’inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell’astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell’alfabeto. Re dell’intero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell’Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all’alfabeto: “Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”. E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E così ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”.
Fedro – O Socrate, ti è facile inventare racconti egiziani e di qualunque altro paese ti piaccia!
Socrate – Oh! ma i preti del tempio di Zeus a Dodona, mio caro, dicevano che le prime rivelazioni profetiche erano uscite da una quercia. Alla gente di quei giorni, che non era sapiente come voi giovani, bastava nella loro ingenuità udire ciò che diceva “la quercia e la pietra”, purché dicesse il vero. Per te, invece, fa differenza chi è che parla e da qual paese viene: tu non ti accontenti di esaminare semplicemente se ciò che dice è vero o falso.
Fedro – Fai bene a darmi addosso anch’io son del parere che riguardo l’alfabeto le cose stiano come dice il Tebano.
Socrate – Dunque chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno d’una grande ingenuità, e deve ignorare assolutamente la profezia di Ammone se s’immagina che le parole scritte siano qualcosa di più del rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto.
Fedro – È giustissimo.
Socrate – Perché vedi, o Fedro, la scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. I prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l’intende tanto di chi non ci ha nulla a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato ed offeso oltre ragione esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non può difendersi né aiutarsi.
Fedro – Ancora hai perfettamente ragione.
Socrate – E che? Vogliamo noi considerare un’altra specie di discorso, fratello di questo scritto, ma legittimo, e vedere in che modo nasce e di quanto è migliore e più efficace dell’altro?
Fedro – Che discorso intendi e qual è la sua origine?
Socrate – Il discorso che è scritto con la scienza nell’anima di chi impara: questo può difendere se stesso, e sa a chi gli convenga parlare e a chi tacere. [...]

Composto probabilmente nel 370 a.C., è l’unico dialogo platonico che si svolga fuori dalle mura della polis di Atene, lontano dai luoghi pubblici dove Socrate era solito confrontarsi con i suoi interlocutori. Sotto l’ombra di un platano, distesi nell’erba, i piedi immersi nelle acque dell’Ilisso, mentre un dolce venticello diffonde il coro delle cicale, Socrate discute con Fedro sul modo in cui l’anima può volgersi alla Bellezza. Tramite verso le Idee è eros, la divina mania, che spinge l’anima verso ciò che è bello: la tensione verso un corpo bello aiuta a recuperare, nel profondo dell’anima, il ricordo dell’idea del Bello. A sostegno della tesi, Socrate illustra il mito dell’anima immortale come biga alata: l’auriga, che rappresenta la componente razionale, cerca di tenere a freno gli impulsi passionali del cavallo nero, come pure lo slancio del cavallo bianco, irascibile e temerario. La biga cerca di gettare uno sguardo al di là del cielo, nell’iperuranio, dove si stende la “pianura della verità” ed hanno sede le Idee: le anime dei filosofi possono contemplarle a lungo, mentre le altre anime riescono a coglierne solamente una fugace impressione. Pur breve, l’istante di conoscenza lascia nell’anima il ricordo delle Idee, una traccia della verità che può essere recuperata pienamente, attraverso l’anamnesi e la sollecitazione dei sensi.
  
Nel finale del dialogo, Socrate sviluppa il mito di Theut (o Thot, il dio che i Greci identificarono con Ermes, da cui nacque in età ellenistica la figura di Ermete Trismegisto) l’inventore della scrittura alfabetica, a cui sono indirizzati i rimproveri del re egiziano. La scrittura riporta la voce dell’assente con cui non è possibile il dialogo, il faccia a faccia che costituisce lo stimolo essenziale per la ricerca. Solo la comunicazione diretta tra maestro e allievo è capace di innalzare l’anima di questi alla conoscenza; le parole non rispondono, lo scritto induce all’oblio, mentre l’oralità, non lasciando traccia visibile, costringe a esercitare la memoria.