martedì 26 luglio 2016

Danilo Montaldi, Edizioni Colibri

 
«Questo saggio non intende considerare i diversi momenti della storia del Partito comunista in Italia in senso lineare e statico, in quanto mi pare che per comprendere ognuno dei periodi nei quali si è cristallizzata l’azione politica dell’organizzazione sia necessario superare i limiti cronologici nei quali un insieme di processi si è sviluppato e determinato. Tale metodo di trattare l’argomento non è esente, probabilmente, da alcuni, irrimediabili, salti logici, e da una serie di interni squilibri: può essere che a certi episodi della vita del PCdI e del PCI sia stato dato troppo spazio a scapito di altri, egualmente meritevoli di attenzione e di riflessioni. Tra questi, potrei citare diverse situazioni, grandi e piccole, del passato e di tempi più vicini a noi; certamente non ne sfuggiranno altre al lettore. Ma, da una parte, molti problemi sono stati chiariti, recentemente, con maggiore conoscenza di causa che non sia la mia, da autorevoli ricercatori e studiosi, dall’altra si tratta, in questo saggio, di una ricerca volutamente parziale, tesa a far emergere, semmai, quanto di più interno, di più vicino alla classe l’attività comunista in Italia presume, fin dalle sue origini.» 

 Inoltre, mi rendo perfettamente conto di quanto sia insufficiente una critica che si eserciti quasi unicamente nei riguardi della linea politica dell’organizzazione. Infatti, quando anche venisse dimostrato che "la linea" è tutta fondata su erronee interpretazioni della realtà italiana e internazionale (e, di questo fatto, non sono pochi i militanti del PCI, dall’alto in basso, che ne sono convinti, ma secondo loro è un problema di strategia non incrinare, in modo alcuno, l’organizzazione), rimarrebbe pur sempre il problema di capire perché e come mai il proletariato italiano ha considerato, pur tra strappi e pause, il PCI come il proprio partito rappresentativo di massa, lungo i decenni di un’incessata battaglia. È che le organizzazioni politiche hanno uno spessore, una corposità e una dimensione più vasti di quanto esprima semplicemente "la linea", la quale è uno soltanto – anche se, alla fine, determinante per il suo sviluppo a lunga scadenza – degli elementi di vita dell’organizzazione.
Nell’analisi della formazione di determinate tendenze negative nella condotta del Partito comunista in Italia, mi sono guardato dal ricorrere, sia pure involontariamente, alle facilità della retrodatazione: prima di tutto, tale modo di procedere è stato troppo usato dalla storiografia ufficiale del PCI, sia per valorizzare l’opera di determinati dirigenti sia per screditare definitivamente quella di altri, perché si possa, semplicemente e in termini capovolti, utilizzarla, oggi, nei riguardi di uomini e di particolari situazioni di movimento, contro lo stesso PCI ; poi, è un metodo che ridurrebbe ad astratta razionalità un’opera vasta, fitta, difficilmente interpretabile se si tiene conto che essa è tuttavia in relazione con la classe nuova nella storia, con il proletariato, i cui momenti organizzativi, di reazione, di coscienza e di volontà, non sono facilmente accostabili nell’uso di criteri volgarmente ammessi. Sappiamo, per esperienza, che la lotta di classe è asprezza, dissonanza; inutile cercare di ottenere, dal bronzo della storia, logiche armonie che ci soddisfino razionalmente. Nel libro, viene spesso ripercorsa la traccia delle opposizioni interne ed esterne al PCI in quanto esse costituiscono un insieme di elementi che vanno intesi in un divenire; esse consentono infatti di capire il dopo, che ha avvio dal periodo ’68-69, che stiamo vivendo.
Così si parte, nel presente saggio, da punti, molto spesso, assai lontani, per arrivare sempre, e di continuo, al presente, a questa chiara e difficile situazione, sovrastata, per quanto concerne il PCI, da una politica negativa in quanto chiusa alle possibilità cui aspira la classe operaia da quando essa ha coscienza di sé. E qui entrerebbero in causa le difficili relazioni che sono state di gruppi dirigenti dei partiti operai, in Italia, con la teoria rivoluzionaria, con il marxismo.
Dove, nel saggio, ed è tutta una prima parte di lavoro, si discute, dal passato al presente, delle caratteristiche teorizzazioni di Togliatti, si vuole anche vedere chiaramente di che si componga l’insistente interpretazione della società italiana, condotta con un metodo che sta tra lo storicistico e il positivistico, sancita da un gruppo dirigente che ha segnato di un orientamento complesso, ma tutt’altro che marxista, il divenire dell’azione comunista nel Paese. Secondo me, non si insisterà mai abbastanza sulla necessità di eliminare dalla coscienza collettiva comunista l’ipoteca posta su di essa dall’indottrinamento d’origine e derivazione staliniana e togliattiana. Frequenti saranno dunque i richiami a Bordiga, a Gramsci; ma il problema non consiste in una partigianeria di cognomi, di tendenza. E, di questo, penso ci si possa rendere conto alla lettura delle pagine che seguono, che vogliono dare materiali per una storia tuttora inconclusa. Anche per questo, ogni paragrafo tende a essere il principio e il termine del saggio.
Problema essenziale di questo lavoro è di contribuire, insomma, alla lotta in corso contro un potere disumano, nel rinnovato assalto che, dopo anni di attese tattiche, si muove alla ricerca di una visione di strategia.
Al di là della polemica contro istituti retrivi, affermati o in divenire, se dalle pagine che seguono appare, in qualche modo, l’indicazione di un utile orientamento di pensiero e di azione, esse possono pretendere al diritto di non essere state scritte invano.»

  
dalla “Premessa” di Danilo Montaldi
http://www.colibriedizioni.it/

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