 
	Stanno lì. Ad osservarci guardinghe. Raccolte di ciò che siamo stati 
nel corso della nostra vita. Raccolte di ciò che avremmo voluto 
esplorare. Lande desolate che avremmo voluto attraversare. Vette del 
pensiero che avremmo voluto scalare.
Cosa farne di quelle rocche 
adamantine dell’essere? E di quelle frasi, sequela di segni pregni di 
sensazioni che non abbiamo mai avuto il coraggio di esperire?
Diventano
 torri d’avorio abitate da sirene. Il loro canto ci attrae fuori dal 
mondo, ci invita ad abbandonare la melma per battezzarci nella purezza 
di altri esseri. Siamo eterne inadeguatezze rispetto a ciò che è stato e
 a ciò che vorremmo essere.
Ma non è la nostra vita. Non sono i 
nostri fallimenti e le nostre debolezze. Sono solo librerie. Sono 
accumuli quantitativi di vite altrui.
La vigliaccheria di cui diamo 
prova ogni giorno non trova riscontro nella loro limpidezza. E che fare 
di ciò che vorremmo a volte ridurre ad un semplice ricordo, che fare di 
quel mondo insanguinato in cui sgusciamo ogni giorno?
I caratteri
 a piombo hanno lasciato il loro segno funereo sull’immacolata carta. Il
 nero si contende la pagina con il vuoto, delineando glifi che andiamo 
ad inseguire col dito. Sogni, utopie, desideri. Incubi, massacri, 
bisogni. Di questo si riempiono quegli scaffali. Oltre alla polvere.
Vorremmo
 essere libellule, leggere sulle rive dei ruscelli. A bagnarci le ali 
nelle fresche acque. Ma siamo falene che girano intorno alle poche luci.
 A volte ci bruciamo semplicemente le ali in una candela che abbiamo 
scambiato per il sole. Una fine che avrebbe fatto sorridere perfino 
Icaro. In fondo, però, è più facile padroneggiare una candela che una 
stella.
Dove sta l’eccedenza? In ciò che non ritroviamo già scritto 
da mani altrui, sconosciute, estranee? Perché è così difficile 
semplicemente esistere per sé stessi, senza ragione alcuna? Siamo forse 
rose che cercano costantemente la loro giustificazione altrove?
Barricate,
 quello possono diventare le librerie. Ostacoli da frapporre alla vita 
che ci circonda, o meglio alla sopravvivenza che filtra attraverso gli 
infissi. Questo cumulo di miserie ed infamie, battiti e processi 
fisiologici che meccanicamente proseguono, questi sì, senza un perché.
E
 noi, qui, pronti a vivere sempre un’avventura diversa, scorrendo con 
gli occhi i dorsi sempre allineati sullo scaffale. Sull’attenti 
nell’attesa di incrociare il nostro sguardo addolorato.
Ma chi ci dirà che è ora di chiudere il libro e vivere da noi?

 































 I fotografi rubano le anime, è vero,ma la Gilda dell'ombra, in qualche forziere nascosto, le conserva con cura.
   I fotografi rubano le anime, è vero,ma la Gilda dell'ombra, in qualche forziere nascosto, le conserva con cura.
