giovedì 30 giugno 2022
Leonora Carrington. Enciclopedia delle donne ( ringraziamo profondamente )
Non avevo tempo di essere la musa di nessuno… Ero troppo occupata a ribellarmi alla mia famiglia e imparare a essere un’artista. [Leonora Carrington]
Sogni, miti, esoterismo, alchimia, agli occhi di Leonora Carrington niente ha confini, tutto si trasforma in arte.
Nasce il 6 aprile 1917 nel Lancashire, a nord-ovest dell’Inghilterra, in una famiglia agiata. Il padre Harold Carrington è un magnate del tessile tra i più ricchi della zona e la madre, Maureen Moorhead – di origini irlandesi – è figlia di un medico.
È proprio l’Irlanda, attraverso racconti di fate e antichi re celtici, a ispirarla sin da bambina. La nonna materna e la tata, entrambe irlandesi, sono per lei generose cantastorie di un immaginario suggestivo e pieno di simboli. È il primo contatto con quel mondo soprannaturale tanto amato da Leonora e protagonista di tutta la sua arte.
Accanto alle fiabe e ai miti, un altro mondo più tangibile – ma non per questo meno attraente – cattura l’interesse della piccola Leonora: il mondo animale. Lo zoo di Blackpool è il suo luogo preferito e ne diventa presto un’assidua visitatrice:
In quel periodo ero solita andare al parco zoologico. Vi andavo tanto spesso che conoscevo più gli animali che le bambine della mia età.
L’unione profonda tra l’essere umano e l’animale è un tema ricorrente nella sua arte. Il cavallo e la iena diventano per lei delle guide spirituali e incarnazioni del suo mondo interiore e istintivo:
Ognuno di noi possiede un’anima animale… Ognuno di noi ha un proprio bestiario interiore.
Bizzarra e intelligentissima con abilità particolari – capace di scrivere con entrambe le mani e anche al contrario – già da bambina disegna i protagonisti dei suoi sogni.
L’eterno conflitto con la figura paterna e la critica nei confronti degli ideali alto borghesi della sua famiglia e della società dell’epoca, la spingono a ribellarsi. Molto presto inizia a collezionare una lunga serie di espulsioni da vari collegi, prima di riuscire a trovare la sua vocazione nelle Accademie d’arte.
Dopo i cinque anni di formazione a Firenze, presso l’Accademia internazionale del disegno, torna a Londra per iscriversi nel 1935 alla Chelsea College Art and Design. Sono i tempi in cui inizia ad avvicinarsi alla lettura di testi esoterici.
Nel 1936 l’ammissione alla nuova Ozenfant Academy of fine Arts di Kensington cambia la sua vita: appena diciannovenne ha l’opportunità di imparare nuove tecniche e l’uso di nuovi materiali. Inizia a delinearsi la sua arte in una felice unione tra arte quattrocentesca italiana ed elementi di alchimia ed esoterismo, tra folclore celtico e arte egizia. Manca solo l’incontro con l’arte surrealista a completare il suo universo artistico.
La lettura del libro Surrealism di Herbert Read – regalo materno – sarà una scoperta fulminante:
Ho sentito che era un universo a me familiare, dove era possibile collegare mondi diversi attraverso sogni e l’immaginazione.
Nel 1937 la visita alla mostra surrealista del pittore tedesco Max Ernst determina il passo decisivo. Leonora è subito attratta dall’arte e dalla figura di Max Ernst, senza averlo ancora conosciuto di persona. Il destino rimedia subito: Leonora e Max si incontrano a una cena organizzata dall’Ozenfant Academy. Ed è amore a prima vista.
I due, da subito inseparabili, trascorrono l’estate del 1937 a Lamb Creek presso la casa di un amico di Ernst: Roland Penrose. Qui Leonora conosce la compagna di Penrose, la fotografa Lee Miller. È l’inizio di incontri e trasferte con il gruppo surrealista, anche in terra parigina, in compagnia di Ernst.
Nell’estate del 1938 Saint Martin d’Ardèche, un villaggio a sud della Francia, diventa la nuova casa di Leonora e Max; vivono il loro amore, fatto di arte condivisa, in quella che Leonora considera la loro “era del paradiso”. Ormai stabilizzata in Provenza, dipinge il suo famoso Self Portrait (1938), dove si ritrae in tenuta da cavallerizza con capelli folti e arruffati – simili ad una criniera – e intenta a porgere la mano a una iena in compagnia di due cavalli.
Da subito la casa a Saint Martin d’Ardèche è punto di ritrovo per gli amici surrealisti. Nell’estate del 1939 la fotografa Lee Miller immortala in una serie di foto Leonora e Max. Al gruppo si aggiunge anche Leonor Fini, amica di Leonora dai tempi di Parigi, che ritrae l’amica in due dipinti a olio The Alcove: an interior with three women (1939) e Portrait of Leonora Carrington (1939-40).
Nonostante la critica la consideri da sempre un’artista surrealista, Leonora non si sentirà mai completamente parte del movimento. Per lei sarà più importante mantenere una propria indipendenza artistica, un personalissimo modo di fare arte:
Anche se le idee dei surrealisti mi attiravano, non mi piace che oggi mi classifichino come surrealista. Preferisco essere femminista.
Agli occhi di Leonora, artista irrequieta e consapevole del proprio talento, anche il surrealismo mostrerà presto i suoi limiti: il gruppo capitanato da Breton considerava le donne degli strumenti d’ispirazione per l’artista, il loro ruolo, infatti, non andrà mai oltre l’essere musa. A riguardo Leonora dirà con sarcasmo:
Essere una donna surrealista significava, per lo più, preparare la cena per gli uomini surrealisti.
Con l’inizio della Seconda guerra mondiale, la Francia dichiara guerra alla Germania. È il 1939 e la nazionalità tedesca di Max Ernst è considerata una minaccia per le nuove leggi francesi. Viene deportato nel campo di concentramento per stranieri di Largentière dove vi rimane a lungo. Gli amanti sono costretti a dividersi. Leonora, rimasta sola, lascia la Francia e la casa con tutti gli averi – incluse le opere d’arte – in cambio di un permesso di espatrio. Arriva a Madrid, ma durante il viaggio, manifesta i primi segnali di un grave crollo emotivo. La famiglia Carrington decide di farla internare al manicomio di Santander, dove viene giudicata “pazza incurabile”.
Il destino di Leonora sembra ormai confinato all’interno delle mura di un manicomio, eppure lei non si arrende: durante un trasferimento verso una nuova struttura sanitaria, riesce a fuggire dalla custodia degli infermieri e si rifugia a Lisbona dove chiede aiuto al diplomatico messicano Renato Leduc, conosciuto a Parigi. Leduc le offre asilo, per poi sposarla e darle, così, immunità diplomatica e la possibilità di viaggiare liberamente.
A Lisbona Leonora è finalmente libera dalla minaccia di un altro internamento. Nella capitale portoghese il destino la fa incontrare di nuovo con Max Ernst, dopo la separazione forzata in Francia. Entrambi però non sono più liberi da legami, anche Max, infatti, si è sposato con la famosa collezionista d’arte Peggy Guggenheim. I due ex amanti riprendono i contatti sia a Lisbona sia a New York, dove Leonora si trasferirà al seguito del marito. Nonostante il ritrovarsi e il frequentarsi con una certa assiduità – situazione che susciterà non pochi timori in Peggy Guggenheim – tra Leonora e Max si è ormai alzato un muro che non andrà oltre la reciproca ammirazione. Almeno così sarà per Leonora, che presto volterà di nuovo pagina.
Durante lo scoppio della guerra in Europa, la città di New York diventerà il nuovo centro culturale per gli artisti esiliati. Leonora riprende a collaborare con i surrealisti pubblicando testi e disegni sulla rivista «VVV». Risale a questo periodo il dipinto Green Tea (1942) che segna il passaggio da una vita dolorosa di recente passato a una nuova fase più serena in America. Con la serenità ritrovata, torna anche l’ispirazione e la possibilità di esporre.
Nel 1942 partecipa alla mostra surrealista curata da Duchamp, First papers of Surrealism – accanto alle opere di Picasso, Klee, Chagall, Matisse, Delvaux, Giacometti – con il disegno Brothers and Sisters have I none e nel 1943, su invito della prestigiosa galleria Art of Century di Peggy Guggenheim, il suo dipinto The horses of Lord Candlestick (1938) è esposto alla mostra collettiva femminile Thirty-one women. Su incoraggiamento dell’amico Breton, nel febbraio del 1944, pubblica sulla rivista «VVV» il racconto Down Below, testimonianza dei suoi dolorosi mesi di internamento.
Trascorsi gli anni americani, a ventisei anni si trasferisce nella terra che sarà per lei fonte inesauribile di ispirazione, nonché sua nuova patria adottiva per oltre sessant’anni: il Messico. È il 1943 e un mondo affascinante le si presenta davanti agli occhi:
Fu come incontrarsi improvvisamente con un mondo totalmente nuovo. Si respirava un’atmosfera esotica, questo avveniva negli anni Quaranta, quando ancora si vedeva la gente girare a cavallo con grandi sombreros…
Al suo arrivo a Città del Messico troverà una fertile “colonia surrealista” che le sarà di supporto e di stimolo. Ormai nel posto giusto al momento giusto, è libera di raggiungere la sua maturità artistica. In terra messicana produce gran parte della sua opera artistica alternandosi con disinvoltura in creazioni di quadri, di sculture, di arazzi, di opere in cartapesta, di litografie, di scenografie e di costumi per il teatro.
Costruisce legami con altri artisti presenti sul posto, tra i quali Frida Kahlo, Diego Rivera e, in particolare, Remedios Varo, che diventa da subito sua inseparabile amica: in sua compagnia dipinge, sperimenta pozioni magiche e condivide l’interesse per gli studi a tema esoterico e alchemico. Sulla loro sorellanza il poeta Octavio Paz scriverà:
Vi sono in Messico due streghe stregate: non hanno mai ascoltato voci d’elogio o di biasimo, di scuole o di partiti e molte volte hanno riso del padrone senza faccia. Indifferenti alla morale sociale, all’estetica e al prezzo, Leonora Carrington e Remedios Varo attraversano la nostra città con un’aria di indicibile e ineffabile leggerezza. Dove andranno? Dove le chiama l’immaginazione e passione…
Nel 1946 un’altra grande svolta nella vita di Leonora: l’incontro con il fotografo di origini ungheresi Chiki Weisz, amico di Robert Capa e Gerda Taro. Lo sposa dopo il divorzio da Leduc. Nello stesso anno nasce il primo figlio, Gabriel e nel 1948, il secondogenito Pablo. L’esperienza della maternità è d’ispirazione per due opere piene di luce ed entusiasmo: Amor che move il Sole et l’altre Stelle (1946) – omaggio al “Paradiso” di Dante – e The Giantess (1950).
Il 1963 è l’anno della prima commissione pubblica: il nuovo Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico le commissiona un’opera destinata alla sala della civiltà Maya contemporanea.
Prima di avventurarsi nella realizzazione di questa importante opera, sente però la necessità di approfondire di persona la cultura Maya. Grazie all’amica antropologa Gertrude Duby, trascorre un periodo nei villaggi a Oaxaca e in Chiapas, dove assiste ad alcuni rituali di guarigione sciamanica.
L’opera destinata al Museo Nazionale di Antropologia si intitolerà El Mundo Magico de los Mayas (1963) ed è il frutto dei preziosi appunti presi durante il periodo trascorso tra gli indigeni. Il quadro, di grandi dimensioni (213 x 457 cm), è animato da immagini tratte dai miti del testo sacro degli antichi Maya dove non esiste alcuna differenza tra realtà e sovrannaturale: le scene di vita quotidiana sono scandite dai ritmi della natura e dalla presenza delle divinità celesti.
Con l’arrivo del ‘68, il mondo intero si trova al centro di rivolte e proteste che in Messico si tingeranno di rosso cupo. Per proteggere i suoi figli ormai ventenni, Leonora è nuovamente costretta a fuggire, scegliendo come rifugio momentaneo Chicago. Il suo allontanamento è breve e dura solo un anno.
Al suo ritorno in Messico inizia per lei una nuova fase che la vede attiva nella causa del movimento femminista messicano. Realizza un poster Mujeres Conciencia (1972) con lo scopo di promuovere l’indipendenza femminile. Sull’onda di questa coscienza femminista, partecipa anche alla mostra collettiva femminile La mujer como creadora y tema del arte (Museo di Arte Moderna di Città del Messico) accanto a opere di Frida Kahlo e della cara amica Remedios Varo.
Durante gli anni Ottanta e Novanta continuerà a esporre: le sue opere saranno visibili in vari musei sparsi nel mondo tra USA, Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera.
Nel 2000 lo Stato messicano le consegna il titolo di mujer distinguida, consacrandola personalità di spicco nella comunità messicana.
Con il suo proverbiale gusto per la provocazione e la saggezza di chi ha sempre avuto lo sguardo rivolto al futuro, alla domanda se apprezzasse un momento storico in particolare, con tono profetico risponderà:
Quasi nessuno o forse sì. C’è un momento storico che mi piace. Per esempio la Caduta del Patriarcato che accadrà nel XXI secolo.
Muore a Città del Messico il 25 maggio del 2011 all’età di novantaquattro anni.
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