venerdì 17 maggio 2013

Shouyu


    Il Viandante, dormendo su un giaciglio per strada, fece un sogno.                                                                                   Era in cima ad una costruzione primitiva, di pietra, lavorata solo quel tanto che serviva per elevarsi oltre il suolo. Sotto di lui una giungla urlante di foglie, soffice alla vista, e una rupe che lo spaventava, tanto era simile ad una piramide. Sopra, una sfera argentea che rifletteva placida il suo sguardo, dipinta sul cielo, intrecciato di segni e macchie d’inchiostro.                           
Ora mi butto, pensò il Viandante, ma sentì la gola riarsa e, tossendo, si  ricordò della sete che in viaggio da sempre lo accompagnava.
    Il cielo si rovesciò, e piovve acqua nera. Il Viandante, felice e sospettoso, allungò la mano per prendere qualche goccia. Carezzò l’acqua nel palmo, ma invece di berla, le parlò. Le raccontò il suo viaggio, infinito, e sempre alla ricerca di un’Idea da amare. La pioggia lo ascoltò pazientemente, e tante altre accorsero presto ad ascoltare quel viaggiatore incantato. 
    L’Idea che stava cercando, disse il Viandante un poco arrossendo,  doveva essere dolce e forte al tempo stesso, così come sperava fosse amata da tutti, ma nel profondo solo sua, e le grandi fauci del Tempo non dovevano renderla rugosa con gli anni, ma temerla e riverirla, perché la sua Verità potesse fare l’amore con lui oltre ogni cosa. 
Ormai argentea, la pioggia gli solleticò la mano, desiderosa di sapere altro, mentre festosa venava schizzi sul volto dell’amico. Il vecchio, stanco, si sedette e scoppiò a piangere. Non chiedo molto, singhiozzò, mi basterebbe trovare un focolare di cui appagare la mia Sete, che non sia un altro dio d’acqua o ragnatele. Sono stanco di viaggiare. Stanco nei piedi, nella mente, nel cuore, nel ventre, disse. 
Intorno, il silenzio dell’abisso. Anche la pioggia si era acquietata. 
   Allora vi fu il rombo. Un suono secco, lontano, come di mascelle scattanti e ingranaggi, di un’agilità antica quanto il mondo e forse più. Il Viandante sorrise e carezzò la pioggia. Anche le sue lacrime confuse erano argentee. Vi lascio andare, disse benevolo alle gocce preoccupate, e con una mano debole le lanciò per aria. Si alzò, si rassettò le vesti; era pronto ad andare, andare oltre. Ormai la macchina che aspettava era vicina, lo sentì.  Volle dare uno sguardo a quel firmamento bizzarro per l’ultima volta, ma si accorse, stupito, che la sfera argentata non c’era più, e il cielo di simboli pulsava, come se stesse per spirare. 
   Poi, la luce lo travolse.



  Il Viandante si svegliò di soprassalto. Sudava freddo, era molto agitato; inoltre gli doleva la schiena. Prese un fazzoletto lurido dalla bisaccia e si asciugò la fronte. Un ragno gli passò sopra, mentre il canto estatico di un usignolo lo inebriava nella notte senza stelle. 
  Sorrise.      

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