giovedì 18 luglio 2024

Bon basta


BÒON BASTA 

 

ESCAPE THE MATRIX


La mostra è organizzata dalla scuola CR. Forma in collaborazione con Libreria Ponchielli – Piazza S.A.M Zaccaria 10, Cremona dal 16 al 31 Luglio 2024.


Il titolo della mostra si è composto specchiando la realtà quotidiana dei ragazzi e delle ragazze.

Bòon basta, buono basta, come un bene! risoluto alla fine di un lavoro, ne sancisce la fine, seppur momentanea, esprimendo dalle retrovie la soddisfazione della conclusione, accompagnata - talvolta - da una sorta di stanchezza.

Escape the matrix, fuga dal matrix. Il riferimento più comune del concetto di Matrix nasce dall’omonimo film cult fantascientifico del 1999.

Simba La Rou (nato nel 1999) canta nel suo Tunnel ‘escape the matrix’ intanto che il verde numerato compone la narrazione della clip audio. Fuggi dal sistema ingiusto e sbagliato, dalla pressa dell’esistenza, dal senso del dovere e di colpa, fuggi dai soldi tentatori, che promettono la felicità. Matrix -icis in latino è madre, utero. Come è chiamata matrice la lastra madre lavorata che poi viene stampata attraverso le tecniche incisorie della grafica d’arte.

In questo titolo parliamo il dialetto, l’italiano, l’inglese e il latino: a volte capita che le diversità linguistiche diventino vera potenza comunicativa, specialmente quando il concetto di straniero andrebbe rivisto.

Così ci siamo trovati a guardare indietro, il lavoro svolto, con un filtro matrix. E in qualche modo, ciò che ne è emerso, è emblema di questi concetti, diversi tra loro ma appartenenti tutti allo stesso punto di partenza, a vederla bene, un punto al femminile: una punta.

Come la punta della matita che abbiamo usato per autoritrarci e ritratte l’altro, scoprendolo - il compagno - nell’osservazione sempre in movimento, contemporanea e contestuale, tenendo (tendendo) lo sguardo sul soggetto e dimenticando i limiti del foglio.

Come la punta del pennello che ha scisso ed unito i colori o che ha usato solo la loro somma, il nero, che spezzato con l’acqua ha creato il bilanciamento col bianco del foglio, usato anch’esso come colore, luce, spazio, da preservare.

E arriviamo alla punta sulla matrice, sui cartoni di tetrapak del latte recuperato a scuola, rovinato o accarezzato dal chiodo, massacrato o studiato, rattoppato, tagliato e sagomato, scritto e disegnato. Poi inchiostrato, faticando, tentando, ribaltando, specchiando. Fino a passarlo, come pasta per la pasta, tra i rulli della macchina per le tagliatelle, la macchina della nonna, dove giri la manovella e tiri fuori sempre una sorpresa, questa volta una stampa. La matrice, di tetrapak così non sprechiamo nulla e notiamo che tutti i giorni buttiamo materiali che appaiono di scarto, permette di riprodurre la stessa stampa, potenzialmente infinita. Ci permette di ripetere erivedere, come la ripetizione è parte della nostra vita, del nostro processo psichico. Ripetere per sottolineare, ripetere per osservare, ripetere per riprodurre pezzi simili ma sempre diversi, come figli, gemelli, riprodurre e

lasciar andare.

Ed è nell’approccio che siamo usciti dal matrix, o almeno, ci abbiamo provato. Perché chi ha mosso le mani lo ha fatto in un contesto scolastico ma non obbligatorio, in una scuola senza voti, dove l’unico tema era l'osservazione

attenta del gruppo e la scoperta delle esigenze particolari e comunitarie. La classe come luogo di convivenza. I ragazzi e le ragazze, tra i 18 e i 20 anni, sono all’ultimo anno di un percorso professionale, in particolare negli indirizzi legati comunque e sempre a lavori manuali e al contatto col pubblico: qualcosa di diverso da ciò che fa un artista? Studiano per diventare cuochi, baristi, idraulici e meccanici. Per loro muovere le mani disegnando è stato più facile che per altri, non tanto perché vicini alla manualità, ma per l’approccio distante. In un contesto di matrix loro sono riusciti ad uscirne, forse inconsapevolmente, eppure i pensieri disegnati che si possono osservare in mostra espongono questo: loro lo hanno riconosciuto il matrix e sospettano/sanno di esserci dentro. I

disegni, le pitture e le stampe che sono nate dal tempo trascorso insieme ci insegnano, a noi nati prima del famoso 1999, che il compromesso è all’ordine del giorno, che l’idealismo va ri-studiato, che la scuola va ripensata, che a volte dovremmo (noi dietro a una qualsivoglia cattedra) imparare ad ascoltare, con ogni senso a nostra disposizione. Loro hanno ancora il fervore di dire che non ne hanno voglia, che non gli interessa, che non capiscono il perché, che non vogliono.

Si parla di desiderio e di sogno, di volontà e realtà: idoli, macchine, soldi, luoghi, esperienze, io, tu, noi, loro, ora, poi, ero, sono, sarò, chi. Ciò che c’è: è il presente presente.


In un discorso molto più ampio e apparentemente distante, Azar Nafisi scrive: L’immaginazione non offre rimedio per la mancanza di un tetto, la disperazione, le ingiustizie e le sofferenze imposte dall’incostanza della vita e dall’ineluttabilità della morte, ma ha una voce che svela e combatte queste ingiustizie, messe in luce dal fatto che non accettiamo le cose come stanno. Ciò che siamo, ovunque viviamo, dipende in gran parte da come immaginiamo di essere.1

 

 I disegni pensati sono di: Agbontaen Blessing Jadesola, Albab Aya, Arienti Chiara, Avalone Katia, Buscema Stefano,
Carta Pietro, El Harti Ayoub, Falbo Rosi, Fallanaj Jurgen, Filippi Kevin, Fiorini Fabio, Gambazza Mirko, Imtiaz Fahad,
Kaur Jaskiran, Lazzarini Thomas Simone, Malchiodi Crystal, Masella Emanuele, Quindi Andrea, Reoletti Riccardo,
Rizzo Caterina Alessia, Rizzi Andrea, Rutella Kevin, Singh Harshpreet, Sououdi Mohsin, Adrian


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Azar Nafisi, La Repubblica dell’immaginazione, Adelphi, Milano, 2015, p. 56.

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