Di tanto in tanto, dietro una foto, ci sono storielle buffe e ho pensato che potesse essere divertente raccontare quella relativa a questo scorcio notturno di Pacentro, fotogenico centro abitato ai piedi della Majella.
Solitamente, scatto senza premeditazione e scelgo i soggetti e li inquadro mentre vado in giro, man mano che mi ci imbatto, siano essi viventi o inanimati. In certi casi, però, capita che pianifico. In questa circostanza, ancora prima di raggiungere la destinazione, avevo studiato la mappa per stabilire le coordinate del miglior avamposto panoramico sopra il paese e, avendolo localizzato nei pressi del periglioso curvone di una strada provinciale, mi ero riservato di verificare in loco i rischi e la fattibilità del blitz documentativo.
Raggiungendo a piedi il punto prescelto, ho quindi avuto modo di notare una sorta di sentiero in salita che, attraverso alcune rampe di scalini, conduce a una stretta balconata sulle rocce, sulla quale trova dimora stabile una statua di Sant’Antonio da Padova, che dall’alto veglia mite sulla piccola municipalità abruzzese. Mi è sembrata un’ottima e più sicura alternativa al curvone della morte e, una volta raggiunta la meta, ho avuto modo di constatare che la vista era anche migliore di quella offerta dal luogo scelto in origine. Dopo aver realizzato una prima serie di scatti diurni e osservato la direzione in cui sarebbe calato il sole, ho stabilito che sarei tornato in prossimità del crepuscolo armato di treppiede per tentare di realizzare al meglio una panoramica notturna con i mezzi non professionali a mia disposizione. Mi sono quindi intrattenuto in paese fin verso le otto, reperendo interessanti informazioni tra bar, vicoli e piazze, e ho poi recuperato l’attrezzatura per dirigermi di nuovo al piccolo belvedere. Dopo aver sistemato e orientato il supporto e aver provato le inquadrature, ho consumato lì la mia cena in attesa della luce giusta.
Ora, è problematico, per me, ottenere una notturna appena decente. Dico sempre di non avere competenze fotografiche e di stare bene così, felicemente libero e ignorante, ma in casi come questi raccolgo tutte le informazioni utili per ovviare, nel modo più ortodosso possibile, alle carenze sia tecniche che tecnologiche. Ho, infatti, a disposizione una macchina bridge dal sensore piccino e approssimativo, roba che i 'veri" fotografi storcono il naso ma mi consente di muovermi agile e spensierato, e uno smartphone che si impegna per quanto può ma ha anch’esso i suoi ovvi limiti. Una volta impostati i tempi di esposizione, ISO, rapporto focale e bilanciamento del bianco al meglio delle possibilità offerte dal mio equipaggiamento, non avevo che da preparare un breve tempo di autoscatto per non trasmettere nessuna vibrazione al momento della ripresa e poi incrociare le dita.
Avevo appena effettuato quest’ultima, scaramantica operazione, quando, traditore e nascosto tra le rocce e i cespugli, più in basso rispetto al balconcino, un insensibile faro mi entra puntualmente e diligentemente in funzione inondando di gloriosa luce elettrica la già idealmente fulgida figura di Sant’Antonio e mandando a ramengo tutti i miei piani. Io ho al mio attivo una certa disponibilità di paranoie e nevrosi, che custodisco con cura, ma ancora non credo di aver avuto allucinazioni. Sono però quasi certo di aver udito la statua soffocare a stento una risata di fronte al mio silente disappunto. Apostrofandolo di rimando, ho chiesto all'illustre Dottore della Chiesa che cosa trovasse tanto divertente, visto e considerato che era certamente condannato a trascorrere notti insonni con un simile fascio di luce proiettato negli occhi. Tutti segni di perfetta salute mentale, da parte mia, per non parlare di quanto realizzato in seguito.
Tutt’altro che incline alla resa, infatti, ho stabilito di scavalcare la balaustra, calarmi sulle rocce sottostanti nella semioscurità, raggiungere il faro, coprirlo con la mia giacca a vento il tempo necessario per realizzare un paio di riprese, riarrampicarmi sulla balconata e utilizzare le due fotocamere a tempo di record, montandole e smontandole in successione sul treppiede. Come operazione preliminare, ho ritenuto opportuno chiedere scusa per l’affronto a Sant’Antonio, assicurandogli che l’incidente sarebbe stato archiviato in pochi minuti, e, subito dopo, domandargli assistenza e apposite preci nelle alte sfere affinché non precipitassi nel dirupo sottostante durante la mia scriteriata impresa.
Ero ben conscio anche di un altro rischio, ossia che dal paese qualcuno potesse notare la mancanza di illuminazione al belvedere. Ero, in pratica, contemporaneamente in odore di scomunica, eresia, arresto per turbativa di pacifica comunità e relativa sanzione amministrativa. A tutto questo pensavo, dialogando con la statua, mentre mi districavo tra i cespugli e raggiungevo la maledetta luce bianca. Conclusa con successo l’operazione di oscuramento e riguadagnata la postazione, mi sono prodotto in una performance che non ho timore di definire olimpica, ben sapendo che il risultato finale non sarebbe stato minimamente degno di una medaglia o di un premio in denaro, né in nessun altro modo redditizio (altri dati utili per la mia profilazione presso le accademie di investigazione scientifica).
Avevo appena realizzato la prima serie di scatti con la prima fotocamera che, lanciando lo sguardo verso la strada provinciale, un cento metri più in basso, ho notato la figura di un uomo anziano, fermo a bordo strada che guardava in alto, scrutando nella mia direzione. “Ecco, lo sapevo, ci dobbiamo sbrigare Sant’Antò…”. Ormai comunicavo a getto continuo con il pio autore dei celebri Sermoni, poiché sentivo che era dalla mia parte e faceva il tifo per me, e con lui il bambinello che teneva in braccio. Del resto, era pur sempre un francescano, un ex aristocratico che aveva abbracciato la povertà evangelica e si era schierato a favore dei disgraziati. Un mentecatto come me non poteva che suscitare le sue simpatie. Daje, Anto’, ancora una e poi ti riporto alla luce.
Nonostante temessi di veder spuntare dalla strada i lampeggianti blu dei carabinieri e, perché no, di un’auto medica pronta a trasferirmi al più vicino reparto neurologico, l’intera operazione è stata portata a termine con l’approssimativo risultato che si può qui osservare e senz’altro incidente che il resoconto di un anziano signore, all’improvviso comparso tra i tavolini dei bar della piazza del paese a riferire. Mi piace pensare che il faro sia tornato a illuminare la statua nel momento esatto in cui tutti si sono voltati a guardare in su nella sua direzione, sancendo così la nomea di visionario, probabilmente dedito all’alcol (“Te l’ho sempre detto che non mi è mai piaciuto quello lì”) dell’unico testimone del misterioso caso dell’eclissi di Sant’Antonio, in una tranquilla e silenziosa sera di fine giugno.
P.S.: A riprova della veridicità degli avvenimenti narrati, si rende disponibile scatto ultragrandangolare supplementare che documenta l'effettiva presenza del santo.
Degno di una menzione nei Sermoni del Santo che titolerebbe piùo meno cosi:"Di quella volta che per traguardare uno scatto degno di nota un pellegrino si inerpica ad oscurare il cielo"...ah ah
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