mercoledì 5 giugno 2019

Working class: gli eroi del nuovo millennio

 Ringraziando "L'indice" e Claudio Panella, autore di questo articolo







Nella sua introduzione all’edizione italiana del romanzo Strada sdrucciolevole (Einaudi, 1977) di Max von der Grün, Cesare Cases scriveva: “Sempre mal vista e anatemizzata anche da molta sinistra, la letteratura operaia è dura a morire. Le ragioni della condanna possono essere molte e valide ed esse sembrano essere confermate dall’esperienza, che è una conferma decisiva, poiché, come dice il detto inglese caro ad Engels, la prova del pudding sta nel mangiarlo. Il pudding della letteratura operaia non ha buon sapore. Resta il fatto che la classe operaia esiste e che nessuno ne contesta l’importanza, anche se non è convinto che essa sia – o sia ancora – il soggetto potenziale di una rivoluzione atta a por fine ad ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E resta il fatto che nella produzione letteraria occidentale, almeno quantitativamente gigantesca, non se ne parla quasi mai”.
Nel romanzo citato, l’ex-minatore Grün racconta la storia di un operaio spinto a rivoltarsi contro le norme di buona condotta imposte alla sua classe dalla scoperta che le riunioni sindacali dei suoi compagni vengono spiate dalla direzione. Da più di un secolo, la letteratura stessa ha rappresentato un terreno di conflitto tra assimilazione e resistenza ai codici borghesi degli scrittori provenienti dalle fila del proletariato. Lo stesso Grün alternava libri di inchiesta a romanzi, convinto che per comunicare con la classe operaia che si stava sempre più imborghesendo e con la borghesia proletarizzata o solidale con i lavoratori bisognasse appropriarsi di ogni mezzo di produzione letteraria, compresi quelli tradizionalmente preclusi al proletariato. Negli ultimi anni, si è diffusa anche in Italia una nuova letteratura narrativa che gioca consapevolmente con le forme del romanzo e del memoir per usarle in modo da promuovere un contro-discorso antitetico a quello dominante sul destino delle lotte operaie del secolo scorso e di quelle a noi contemporanee. Con in più l’obiettivo di offrire ai lettori un pudding servito a regola d’arte, gustoso anche quando il suo sapore è dolceamaro.
Tale proposito è esplicitamente alla base di una collana inaugurata pochi mesi fa dall’editore Alegre e dal nome che è tutto un programma: “Working class”. A curarla è lo scrittore Alberto Prunetti, già autore di Amianto. Una storia operaia (Alegre, 2014) e di 108 metri. The new working class hero (Laterza, 2018). Se nel primo titolo egli aveva saputo raccontare in modo documentato ma narrativamente articolato la morte del padre Renato, ammalatosi per l’esposizione a fibre di asbesto, e la propria personale esperienza di traduttore e letterato precario, il secondo romanzo dà voce agli emigranti italiani che lavorano nelle latrine e nelle cambuse del Regno Unito neoliberale post-thatcheriano, con un piglio narrativo degno di Stevenson e un pastiche linguistico sorprendente. Difatti, il manifesto della nuova collana redatto da Prunetti annuncia la pubblicazione di testi firmati da chi ha vissuto esperienze di lotta e di lavoro ma che riescono ad “andare oltre il racconto testimoniale e vittimario” concludendosi con questa dichiarazione d’intenti: “Continueremo a spingere le scritture operaie sulla montagna dell’industria editoriale, un passo alla volta, in salita. È un lavoro da titani. È il lavoro di Sisifo. Ma nessuno può farlo meglio di noi. (Bisogna immaginare Sisifo felice)”.







I primi titoli disponibili della serie “Working class” sono Ruggine, meccanica e libertà (2018) di Valerio Monteventi e la nuova edizione del piccolo classico Figlia di una vestaglia blu (2019) di Simona Baldanzi. Monteventi, figlio di militanti comunisti emiliani, negli anni settanta volle fortemente diventare operaio trascorrendo più di dieci anni tra le linee di produzione della Ducati, da delegato di reparto, e nel 1980 subì pure una carcerazione preventiva di un anno prima d’essere prosciolto da un’accusa inconsistente di fiancheggiamento a gruppi terroristi. Nel suo romanzo autobiografico, i quaderni scritti in prigione riemergono alla vigilia di una delle iniziative sociali intraprese dal narratore ormai ex-operaio, un corso di meccanica per i detenuti della casa circondariale Dozza di Bologna, occasione di apprendere con un mestiere anche l’etica e la libertà di un lavoro d’officina di segno diverso da quello iper-sfruttato dal neoliberismo attuale.
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C. Panella è dottore di ricerca in letterature comparate
Fotografie di  Ian Beesley

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