sabato 29 marzo 2025

Non esiste il silenzio



Raccolta di una esperienza di pensiero di gruppo nella Sicilia del '61-'62. Danilo Dolci organizza e guida riunioni in un locale di Spine Sante di Partinico, che vede lavoratori trovarsi e condividere uno spazio di pensiero comune, cucendo insieme un nuovo tessuto di coscienza civile.


Un cavallo bianco va più veloce di un cavallo nero? Il bianco rende più leggero un cavallo? Da che cosa dipende la velocità con cui si sposta un cavallo? Forse il bianco rende più leggeri, forse potrebbe essere che anche i ferri degli zoccoli non ben sistemati appesantiscano i cavalli neri; se il cavallo bianco è stanco corre piano? Ma da che cosa dipende la velocità di un cavallo?


E' possibile, suggerisce Libera, che se una cosa ci piace di più vorremmo che fosse vera. Se ci piacciono i cavalli bianchi, vorremmo che fossero anche i più veloci. Ma per essere sicuri che sia vero, dobbiamo sperimentarlo. 


E' così che Libera apre la strada ad un desiderio di pensiero profondo: cosa desideriamo? Come ci relazioniamo con quello che desideriamo e con quello che accade realmente? Qual è il nostro strumento per conoscere? Noi vorremmo che le stelle parlassero tra di loro, ma bisogna vedere se è vero.


Ed è Bruna che si aggancia ad un corale pensiero doloroso, ma necessario: diciamo che gli uomini siano fratelli, perché lo desideriamo. Ma che cosa accade attorno a noi? Che cos'è questo essere fratelli se esiste la mafia? Per essere fratelli bisognerebbe fare insieme.


Danilo Dolci, con la collaborazione di Franco Alasia, porta con pienezza e profonda consapevolezza queste conversazioni, che suggeriscono, indicano, sostengono la necessità di uno spazio comune, di confronto, di pensiero all'interno del

quale siano le domande e la necessità di dare vita ad un pensiero critico a guidare verso un cambiamento. 


F.


- Danilo Dolci

Non Esiste il Silenzio

Einaudi, Torino, 1974 -

Magico Vento


 

venerdì 28 marzo 2025

Siepe

 Saluta la siepe mentre cresce

chiedi alla siepe tutto ciò che sa

 Polly Jean Harvey

  

Infanzia di ...Nuri Doretta C.

Nella stagione calda, dopo pranzo, i nostri genitori riposavano prima di riprendere il lavoro.

Io avevo otto anni appena compiuti, lui ne aveva sedici ed era sempre scuro di sole.

Quel giorno mi ha portato in soffitta e mi ha detto "Se me la fai vedere ti do tre Tiramolla-

 Se me la fai toccare, te ne do dieci".

Infanzia di Prospero A.

 Le grida di mia madre, 

le mani insanguinate di mio padre, 

il vociare di uomini, 

urla minacciose e violente che non capivo,

 e il grande fiume sotto un ponte di barche...all'improvviso-

giovedì 27 marzo 2025

Tramonto in laguna




 






Solida terra
unisce mare e cielo.
Cala la sera.

infanzia di Gigi G.

 Iniziamo un archivio denominato Infanzia di...dove desideriamo onorare i ricordi d'infanzia delle persone che,in questi anni,hanno camminato con noi in libreria.

Li abbiamo trovati bellissimi mentre ci venivano narrati

Alcuni ci  hanno fatto ridere, altri piangere, altri turbato e non abbiamo potuto dimenticarli perchè nell'ascolto la nostra anima era aperta.

Cominciamo con quelli custoditi dentro di noi e invitiamo a scrivercene altri.

La nostra mail: libreriaponchiellicremona@fastpiu.it.

 

Infanzia di Gigi G.

 

                      A me pare di avere vissuto solo con mia madre perchè solo di lei ho ricordi perfetti.

Non camminavo ancora e lei, quando andava al piano di sopra per rifare i letti, mi prendeva in braccio e mi portava con sè.

Mi metteva sul pavimento  e mi dava un cassettino pieno di bottoni scompagnati.

Li guardavo  incantato.

E guardavo incantato lei.

Poesie d'amore 1913-1930, Vladimir Majakovskij




mercoledì 26 marzo 2025

La parola " Hijra "è una commistione Urdu-Hindustana e deriva dalla radice semitica araba hjr nella sua accezione di "lasciare la propria tribù,"

                       Hijra,  Saif ur Rehman Raja ,Fandango edizioni

 

 "Questa natura passiva non ti permetterà di sopravvivere.

             Se vuoi vivere scatena una tempesta"

 

                               Allama Iqbal, poeta 


" Prenderò le vostre purezze e le sporcherò di nuove possibilità incerte.

Io sono contaminato.

E sono in armonia "

 Saif ur Rehman Raja presenta “HIJRA”, storia di un ragazzo in bilico tra  due culture e ostaggio di un doppio pregiudizio

 

martedì 25 marzo 2025

Ferdinand Grimm

 «Una profonda oscurità velava ormai la Terra, la luna saliva rossa in cielo. Leggero, senza sforzare un solo muscolo, il cavallo filava rapido per selve silenziose, paeselli, città dormienti, cime innevate svettanti fino alle nubi, e poi ancora oltre, librandosi su templi torreggianti, rosoni variopinti, regali cripte a cielo aperto in cui riposavano sovrani dalle corone ingioiellate che rilucevano al chiaro di luna… E ancora, sopra pascoli verdi e flutti spumeggianti abitati da creature marine, sopra il volo stesso degli uccelli, sopra cimiteri solitari in cui vagavano pallide figure spettrali…»

 

La montagna dei gatti

 

Nella famiglia Grimm a scrivere fiabe furono in tre. Oltre ai celebri Jacob e Wilhelm, infatti, anche il fratello minore Ferdinand raccolse e compose storie tratte dalla fantasia popolare. Ma di quella stessa famiglia Ferdinand fu anche la pecora nera. L’indubbio talento narrativo, l’assidua attività di scrittore e il lavoro di redattore delle edizioni di autori come Heinrich von Kleist non bastarono a garantirgli la stima degli illustri fratelli, che giunsero anzi a misconoscerlo per via della personalità anticonformista e dell’omosessualità che probabilmente dichiarò in un burrascoso Natale del 1810.
Le fiabe e le leggende che compongono La montagna dei gatti presentano per la prima volta in italiano il meglio dell’opera letteraria del «terzo Grimm»: un universo magico e sorprendente, popolato di nani e re scontrosi, di gigantesse bambine e prodi cavalieri, dove i castelli sorgono sul fondo dei laghi e i cavalli spiccano il volo verso i Campi Elisi. Una scoperta letteraria affascinante che riporta alla luce un tesoro di immaginazione e incanto.

Ferdinand Philipp Grimm (1788-1845) fu scrittore, redattore e studioso del folclore europeo. 

Rispondere

 --- mi si formava qualcosa da giorni, e come dici tu stessa e come dice anche Olmo tra l'altro, rispondere quando si ha la fortuna di avere la risposta è meglio di rispondere e basta.

e poi tu entrassi dentro la mia bocca,senza temere baci diseguali---

 

lunedì 24 marzo 2025

Volo libero su una terza minore



La foto non c’entra niente con oggi, è una rondine che ho sorpreso a Sant’Agata dei Goti due anni fa. La metto in omaggio all’equinozio appena trascorso, alle melodie degli uccelli tutti e a una, in particolare, che ha scoperchiato un piccolo vaso di Pandora pieno di pensieri, che riverso di seguito.

Uscendo stamattina alle sei per andare al lavoro, nella fretta delle operazioni di routine si è insinuato per pochi secondi il canto deciso di un invisibile e zelante pennuto. Probabilmente un merlo, che è tra i più virtuosi, melismatici rappresentanti dell’avifauna urbana. La sua performance ha avuto buon gioco nell’imporsi alla mia attenzione, nonostante fosse un elemento di contorno alle  frenetiche e patetiche faccende umane in cui ero immerso, perché consisteva in una frase musicale molto catchy, degna di un tormentone pop: essenziale, martellante, ben definita ritmicamente e composta da due sole note. Si-Re, intervallo ascendente di terza minore, ripetuto per quattro volte sulle crome di un metro in 4:4 il cui passo era scandito a una velocita di circa 120 battiti al minuto. Mi rendo conto che, a descriverlo così, potresti non riuscire a “sentirlo”. Ti fornisco allora un indizio, un elemento che riprenderò tra poco: prova a pensare a “Somewhere Over the Rainbow”, un classico estratto dal Mago di Oz e trasmigrato più volte nel jazz, e a cantare, anche a bassa voce o nella tua testa, non il ben noto chorus ma il passo della sezione B, che esordisce dopo due ripetizioni del tema principale e recita: “Someday I’ll wish upon a star and wake up where the clouds are far behind...”. Si-Re-Si-Re-Si-Re-Si-Re. È tutto giocato su quelle due note ripetute più volte. Ed è con questa canzone che arrivo al punto.

Il fatto è che percepire distrattamente lo stimolo lirico di questo simpatico volatile mi ha dato modo di riflettere sulla nostra capacità di evocare, automaticamente e persino distrattamente, quasi inconsciamente, mondi ed entità preziose che al momento non so come altro definire se non “fantasmi pertinenti”. E non mi riferisco all’immediato richiamo ad una ben nota melodia fornito da due note esplicite e squillanti, ma all’architettura niente affatto scontata che ricostruiamo a partire da esse.  È un procedimento tanto normale quanto eccezionale, che avviene in virtù dell’educazione istintiva all’armonia che il mondo sensibile offre a tutti, anche a coloro che non masticano la sintassi musicale. In quei pochi secondi di ascolto passivo, infatti, ho sovrapposto a quell’intervallo disperso nell'aria, praticamente senza accorgermene e senza intenzione, un terzo suono complementare in grado di spostare quello che si potrebbe definire l'angolo di prospettiva dell'ascolto, un suono le cui vibrazioni erano effettivamente assenti nell’ambiente, e tutto ciò grazie a un lontano condizionamento.

Mentre giravo la chiave dell’avviamento e facevo retromarcia, un angolo del mio cervello, dopo aver riconosciuto la frase del merlo come coincidente con quella resa famosa da Judy Garland, non si è accontentato di creare la connessione tra i due scampoli melodici (che è piuttosto semplice da realizzare, in realtà) ma ha prodotto un miracolo che sta un passo oltre. Rievocando quel passo di canzone, infatti, la mente ha automaticamente sovrapposto a ciò che era effettivamente udibile la tonica, ovvero la nota fondamentale dell’intera tonalità del brano, della quale le note intonate dal merlo sono satelliti. In questo caso è un Sol, che va a comporre con la ripetizione insistita dei primi due suoni, una limpida e rassicurante triade maggiore, Sol-Si-Re. Ecco che non è più solo una terza minore, ma due terze sovrapposte. La prima maggiore, Sol-Si, e la seconda minore, Si-Re. Insieme costituiscono la “nuce” del più stabile degli accordi. Ormai è fatta. Da qui in poi, la mente si imposta automaticamente sulla scala maggiore di Sol, sulla quale è costruito il brano e la cui sonorità, inespressa fisicamente, finisce col tracimare nel pensiero e riempirlo. È stata creata una profondità aggiuntiva, una dimensione espansa. Fidati quando ti dico che non serve aver studiato musica per innescare questo processo: a sperimentarlo sono, se non posso osare dire tutti, davvero in molti.

Sol, quindi, non c’è. Però c’è. Nessuno lo ha pronunciato ma è il “fantasma pertinente”, una sorta di convitato di pietra, di forza gravitazionale che si manifesta come uno spettro, ma solo in presenza della consapevolezza, da parte del soggetto che ascolta, del legame tra questa cellula minima del merlo e quel brano musicale di Hollywood. Mancando questa consapevolezza, questo scatto, la percezione della profondità armonica è totalmente differente. In quel caso, nel nostro cervello risuonano solamente Si e Re, e quando ascoltiamo una spoglia successione di due note, senza essere influenzati da altri condizionamenti, siamo portati istintivamente a identificare il suono più grave come fondamentale e quello più acuto come suo satellite, e ricostruiamo gli altri gradi di una possibile armonia attorno al primo. Se, quindi, Over the Rainbow non si fosse insinuato nella mia memoria, se avessi avuto in me il vuoto più totale e fossi stato esposto alla sola e cruda luce dell’intervallo propinatomi dal merlo, avrei accolto dentro di me non più la sonorità della scala maggiore di Sol, bensì quella di una qualunque scala in Si, contenente al suo interno la terza minore Re. Niente di male o di peggiore. Sarebbe comunque stata una fioritura del pensiero. Ma l’infiorescenza sbocciata dal sopravvenire di uno spirito generato dalla memoria, dalla sensibilità agli stimoli dell’armonia, fa apparire il tutto, se ci si sofferma davvero a pensare, come la prova che gli universi immateriali che creiamo anche solo infilandoci di corsa in macchina per andare al lavoro alle sei del mattino, non sono meno vasti e rimarchevoli di tutte le frequenze emanate dalle pulsar e dalle galassie che popolano il cosmo, e di tutte le altre forme di energia. Io direi di non essere superbi, ma nemmeno di sentirci troppo piccoli. Finché ci sono orecchie che ascoltano, l’universo contempla se stesso. Aiutamolo, in questo. E, pertanto, aiutiamoci.

(Breve nota puntigliosa: la tonalità di Over the Rainbow sarebbe, in realtà, La bemolle maggiore. Ma fare l'esempio in Sol veniva più semplice)