venerdì 19 agosto 2016

Max Stirner, un mondo altro

 

«Di tutte le azioni, quelle secondo un fine vengono capite meno di tutte, poiché esse sono state sempre considerate come le più comprensibili e, per la nostra coscienza, sono la cosa più quotidiana che vi sia. I grandi problemi se ne stanno sulla strada».

(F. Nietzsche, Aurora, II, 127)

 

Introduzione


Nessun libro come questo ha forse meno bisogno di una introduzione. Si presenta da solo, come ogni libro maledetto che si rispetti. Ne consegue che molti, se non proprio tutti, prima di prenderlo in mano, oppure dopo averlo letto anche più volte con supponenza, credono di sapere la potenziale dirompenza contenuta nelle sue pagine. Non è così. E non è nemmeno questione di capire quello che Stirner dice, entrando fra la spesso non facile tecnica di datate discussioni filosofiche. Piuttosto si tratta di quello che uno intende fare della propria vita.

Ebbene, può un libro avere a che fare con la vita di chi lo legge? Quasi sempre no, rarissimamente sì. L’“unico” è uno dei pochi casi in cui questa affermazione assume le caratteristiche di un estremo coinvolgimento. O questo c’è, penetrando fino in fondo, fino alle lacrime, nelle nostre miserie quotidiane, oppure è bene che riponiamo il libro nello scaffale da cui lo abbia improvvidamente prelevato.

Pochi altri libri hanno questa carica distruttiva da cui – più o meno – tutti dobbiamo difenderci se non vogliamo mettere a soqquadro le nostre regole e i nostri soliloqui quotidiani, conforti per moribondi quasi sempre. Se accettiamo la sfida, allora è un altro discorso.

Naturalmente abbiamo un’altra soluzione, quella di tornare indietro, e qualche volta la cosa è accaduta anche ad infuocati stirneriani di lungo corso, che si erano sentiti torcere le budella per tanti anni, fin da quando la loro barba stentava a presentarsi sulle guance mai rasate.

Pochezza dell’animo umano. No. Direi, naturale svolgimento degli equivoci e delle esperienze che impregnano la vita come uno straccio da rigovernatura.

Se Stirner ci dice qualcosa, e la dice fuori dei denti, al di là di qualsiasi biforcuta formulazione filosofica, riguarda l’unicità della nostra vita, il modo in cui possiamo costruirla, fornirla di connotazioni qualitativamente significative, evitando di trasformarla in una serie di acquisizioni e di possessi che ci fanno morire a poco a poco senza darci molto in cambio.

Quella “proprietà” che costituisce l’“unico” è proprio la sua esperienza qualitativa. Qui si sono smarrite tante coscienze rivoluzionarie, partite col piede giusto, con le letture ortodossamente fondate delle tesi di Stirner, ed atterrate col piede sbagliato nel territorio dell’assommazione dove tutte le vacche sono grigie nel far della sera.

Perché? Facile la risposta. Perché i risultati immediati, quelli tangibili, quelli imposti dal buonsenso dilagante, della misurazione in centimetri dell’andare avanti, se non in millimetri, si impongono e fanno perdere il senso del ridicolo che, in fondo, dovrebbe potersi ricavare dalle tante battute umoristiche che lo stesso Stirner dedica agli spettri e ai fantasmi del suo tempo. Simili ectoplasmi non è che poi siano tanto diversi ai nostri giorni, è sempre la solita melma, il solito imbroglio “politico”.

Ma che c’entra la politica con chi pensa di essere rivoluzionario? Lasciamo da parte Stirner – consentitecelo solo per un momento – anche chi non lo digerisce non per questo è un miope accumulatore di consensi e di collezioni di figurine e pupazzetti, può benissimo essere un rivoluzionario con altre idee, quali resta da vedere, comunque diamole per buone almeno per quel momento di sospensione che ci siamo concessi. Non siamo ancora al di là delle colonne d’Ercole della politica, siamo al di qua. Possiamo fare progetti sbagliati, ma che restano rivoluzionari perché sono nostri progetti e non prevedono né l’avallo né la condiscendenza di forze che della politica hanno fatto la loro stessa ragione di esistere. Andando oltre, la melma rende l’atmosfera irrespirabile. In altri termini, sembra che si vada avanti, verso la costruzione di un movimento che riesce a contrastare il nemico, ma tutto si risolve in un balletto di comparse che gridano forte solo per farsi sentire prima di tutti da loro stesse, per dichiarare la propria esistenza in vita.

Stirner e il suo libro sono lontani da tutto ciò. Mantengono una dirittura e una scelta che non ammettono cedimenti. Per questo si sono attirati, nel corso del tempo, gli strali di tutti coloro che li hanno visti come sovvertitori di ogni tipo di ordine costituito, perfino di quell’ordine logico che è la base di tutti gli altri.

Che me ne faccio della logica, sia pure di quella stirneriana, afflitta, per non dire altro, da una certa tabe dialettica, se poi non sono capace di giocarmi la vita e tiro al risparmio allo scopo di tesaurizzare quella crescita quantitativa che dovrebbe condurre il movimento rivoluzionario alla distruzione del nemico, a poco a poco, a piccoli passettini, mostrando muscoli e petti gonfi che ormai fanno solo sorridere.

In effetti, è che la melma politica, una volta che ci si mette il piede sopra, è come le sabbie mobili, ti tira giù e non si riesce facilmente a cavarsene fuori.

O, forse, il paragone non è azzeccato. Molti vivono questa soffusa bambagia in cui si sono andati a cacciare come una coltre di riconoscimenti che giustifica e regge il proprio comportamento. Che importa che a riconoscerci siano forze ben piantate nel terreno politico? Sempre di un riconoscimento si tratta. Trovarsi a tu per tu con il nulla non è piacevole per nessuno, nemmeno per i tanti sapienti frequentatori di sofismi filosofici di stampo più o meno giovane-hegeliano.

L’“unico”, se vogliamo, dice una sola cosa, ma la dice bene e fino in fondo. La responsabilità dell’esistenza dello sfruttatore è dello sfruttato. Se questo vuole veramente sbarazzarsi del padrone che tiranneggia – come di ogni manutengolo che serve il tiranno anche sotto le spoglie di un feroce rivoluzionario – non ha che farlo e basta, stare a chiacchierare a lungo su questo argomento è una presa in giro.

Che ogni compagno si renda conto di questa verità e che ci rifletta sopra. Il senso dell’“unico” sta tutto qui.

Pubblichiamo la terza edizione di quest’opera convinti di mettere a disposizione dei compagni uno strumento di liberazione, non solo un certo numero di fogli di carta stampati più o meno bene.

Con buona pace di chi ha pensato che accanto alla selvaggia solitudine di Stirner ci potesse stare una qualche cattiva compagnia.

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