lunedì 30 gennaio 2017

Rivista "Gli asini"


Dieci poesie mortali di Jacques Prevel


Jacques Prevel (1915-1951) viene ricordato soprattutto per essere stato uno degli ultimi e più fedeli amici di Antonin Artaud, il cui incontro nel 1946 — subito dopo che il teorico del teatro e il suo doppio era uscito dal manicomio di Rodez — fu per lui una autentica illuminazione. Prevel descrive questa amicizia in un diario dove annotava la sua vita quotidiana «in compagnia di Antonin Artaud», trascorsa alla ricerca della poesia (e di droghe). Pochi ricordano però che Prevel fu egli stesso un poeta maledetto che per tutta la vita andò «alla deriva verso l’assoluto», lontano dalle consuetudini care ad un mondo che non era il suo e contro cui lanciò le sue parole «di collera e di odio». Malato da tempo di tubercolosi, Jacques Prevel si spegnerà a soli 36 anni.


Divorato dal fuoco
Divorato dal fuoco, divorato dalle mie ombre
Città! coi tuoi dolori articolati
I tuoi dolori che promettono volti
Orbati dal riso dei miei disastri
Accecati dai miei occhi ciechi
Città! i miei giorni infranti sono i tuoi giorni
I miei giorni profanati cementati dalle tue rovine
Città! complice delle mie lussurie d'ideale
Tu raccogli le mie inquietudini come altrettante promesse
E costruisci la strada invisibile che percorro.
Mi ritrovo senza forma umana
Mi ritrovo senza forma umana
Insanguinato dalle mie rivolte e dalle mie lotte
E condannato a vivere esistenze disperse
Mi ritrovo abbandonato alla mia sola vita
Senza forza e privo di riposo
Quando vivevo della demenza delle nostre vite
E vagabondo d’un Mondo assente
Trascino con me la notte
E il dolore avido dei miei oscuri disastri
Il mio volto è distrutto e la mia infanzia in lacrime.
La mia caduta si compie nel silenzio
Dove voci strazianti e spezzate riecheggiano
La mia caduta illimitata vertiginosa e senza grandezza.
Queste gioie che sono come dolori
Queste gioie che sono come dolori
Non parliamone più
Lasciamo che questo mondo morto faccia scorrere i suoi rivoli
Di sangue fino al mare
Lasciamo che la notte salga e penetri il cielo
Di folgorante notte
Mondo oscuro e maledetto il cui peso mi solleva
Vi accuso delle paure, vi accuso dei mali
E del fuoco che mi rode
E resto un vinto sul bordo di questo presente
Fatale e privo di gloria e di rivolta.
Muoio lentamente del vivere tra me stesso
E la maledizione di questi inutili giorni.
I bei giorni che portano a tutto
I bei giorni che portano a tutto
Mi condurranno a me stesso
E mi diranno perché
Ho attraversato tanti deserti
Per raggiungerli e perderli di nuovo.
Ed io che sono schiavo di una forza potente
Che ha segnato i miei tratti
E dato al mio passo un ritmo diverso
Sono il testimone dei giorni che non fisso
Che sono belli come desideri
E rari come amori.
Sono l’inutile testimone di me stesso
E della mia solitudine di cui non comprendo 
La disumana felicità
Di cui non benedico le ore evanescenti
Troppo vile per emigrare sempre
Perdermi e trovarmi con un gesto
Orribile per la mia viltà.
Gli esseri non sono su misura del tempo
Gli esseri non sono su misura del tempo
Del tempo che non ha misura.
Puntati, contorti, volti deformati
Che reggono il patibolo dei giorni inesistenti
Riportano un passato che non ha presente
Costruiscono un presente che non ha durata
E confusi senza speranza di luce
Toccano impauriti il loro inutile volto;
Ridicoli tentativi limitati alla loro presenza
Sguardi vitrei chiusi dai contorni
- La gioia senza il silenzio e il male senza la vita -
Clamore su spazi delimitati da pietre
Oscuro amore che arrugginisce i volti
Morsa che riassume un Male che conosco.
Quando sono presente
Quando sono presente
I vivi si allontanano, le ombre si avvicinano
La gioia contrae il mio volto come un grande male
E brucia il silenzio assordante dei vivi
Ed io so che il tempo è arrivato
Le mie parole non hanno bisogno di risonanza
Per dominare il rumore delle folle
O il fragore delle acque sulle rive
Ed io so che il tempo è arrivato
E che le mie parole contengono infine la permanenza.
Vivi di negazioni
Tu vivi di negazioni e del male che porti
Il tuo sguardo è solo un sogno oscuro
Lasci scorrere questi giorni a fatica
La scelta non è per te fra la moltitudine
E questi giorni che sono belli sono giorni pieni di male
Tu parli e non hai niente da dire a tutti quei morti.
Strane voci
Strane voci
Che parlano della fine di un tempo che muore
Abbiamo spogliato i ciechi del mantello
Non è più sulla terra, non è più nel cielo
È in noi che questo mondo è morto.
Un grosso rumore
E le stelle schiantate sono disperse
Da questa morte tra due vite.
Esplosione del diluvio
Desideri nati-morti che si uccidono fra loro
Vecchie speranze all’ombra di chimere
Cattedrali dimenticate, cattedrali abbattute
Cervelli vuoti di sostanza
Costruzione dello spirito in rovina
Ricaduta dei vecchi giorni
Corpi afferrati con due braccia e lanciati nel vuoto
Coppa di sangue ai commensali bevuta fino alla feccia
E valzer stravagante d’un fuoco mai spento.
Le tradizioni perdute
E gli anelli magici degli spiriti e dei morti
I grandi cerchi brillanti, i demoni animati.
Bisognerà lavorare fino alla fine dei tempi
Bisognerà ritrovare il Gesto e la Parola.
Vi scorgerò
Vi scorgerò ogni giorno a mano a mano
Che avanzerete silenziosa e rara
Come tutte le vostre parole
E non avrò per voi che un gesto e un desiderio
E non avrò per voi che una gioia molto antica
Morta e resuscitata col vostro silenzio
E che conserva la coscienza del male e dei rimpianti
Una gioia che ha la forma imprevedibile di un raggio
Una gioia che ha la forma di due mani che si stringono
E prendono la luce e il cielo e il mare
E l’acqua dei nostri sguardi senza dir nulla
Vi scorgerò ogni giorno via via
Più precisa e più offuscata
Più luminosa e più oscura
Come la morte del sole alla fine degli anni
O come il rumore di passi perduti nell’etere
Come il male stroncato dalla presenza della morte
Questa esplosiva promessa di un’altra vita.
Mi ricorderò di te
Mi ricorderò di te
Come ci si ricorda delle sventure
Come ci si ricorda dei grandi spazi
Come ci si ricorda del mare
Mi hai colpito e il mio sangue ha disegnato il tuo viso
Ti ho colpito e il tuo sangue ha disegnato il mio viso
Abbiamo conosciuto la gioia
Sei venuta ed il mondo ha vissuto di quell’attimo
Sei venuta, sei venuta
E i ricordi mi trascinano come il fango o la sabbia
Restano solo le mie braccia ad emergere dai miei rimpianti.
da Poesie Mortali, 1945



sabato 28 gennaio 2017

Omaggio a Luca Ferrari e alla Libreria a cui devo l'incontro

 
 



 

 


Mi si conceda il gioco faceto, serio come tutti i giochi, di una personale interpretazione del testo di Robbins, pubblicato nella collana Millelire della casa editrice Stampa Alternativa.

Vincent van Gogh si tagliò il suo orecchio e lo spedì a Marilyn Monroe.
Marilyn Monroe ne fu così toccata che rinunciò a tutto - la sua carriera, la sua piscina, il suo ondeggiare, il suo telefono, il suo suicidio, tutto- e si trasferì nel sud della Francia per stare con Vincent van Gogh.
Potevano forse vivere insieme felicemente per sempre, dopo? No, nessuno lo fa.
Ma pretesero di vivere felicemente perfino per sempre, dopo.
E dal momento che tutte le cose diventano ciò che pretendiamo che esse siano, la falsa-gioia è buona quanto la roba reale.

giovedì 26 gennaio 2017

Letteratura coreana, Claudia Durastanti

La new wave della letteratura coreana

Una nuova ondata di scrittori sudcoreani sta producendo libri belli e originali: su tutti The Vegetarian, vincitore del Man Booker Prize e prossima uscita Adelphi.


Nel patinato ma intuitivo Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch, una coppia di vampiri vive una fase di stanca dovuta alla mancanza di stimoli provenienti dalla cultura occidentale. Lui abita a Detroit in una casa derelitta piena di libri tra cui spiccano Endgame di Samuel Beckett e Infinite Jest di David Foster Wallace. La vampira invece si è trasferita a Tangeri per rigenerare l’intelletto oltre al sangue, e l’unico momento in cui il suo compagno abulico ha un luccichio di vitalità è quando la raggiunge e assiste alla performance di una band locale.
Quel luccichio è qualcosa di cui il devoto alla letteratura angloamericana va alla ricerca spasmodica da tempo, lamentando la sua totale mancanza di inventiva e di sperimentalismo (quelli che dicono che gli americani non stanno facendo niente di buono da vent’anni sono gli stessi che dichiarano che il romanzo è morto, e la coincidenza non è innocente). Ma si scrive anche altrove, e se c’è un Paese che sta producendo libri belli e nervosi è la Corea del Sud.
È l’unica Corea di cui sappiamo, ma è anche quella che viene costantemente offuscata dalle vicissitudini politiche della gemella del Nord: libri come Il signore degli orfani di Adam Johnson, vincitore del Pulitzer nel 2013, la graphic novel Pyongyang di Guy Delisle o il recente How I Became a North Korean di Krys Lee, sono inevitabilmente incentrati sul Grande Leader e sulla violazione dei diritti umani. Un argomento rischioso per uno scrittore, perché la sua importanza rischia di offuscare il contenuto e la letteratura diventa quasi subito civile, anche se i libri citati sono riusciti a preservare margini poetici.
Ma per quanto siano cupe queste storie, c’è una letteratura altrettanto inquietante e spettrale che proviene dalla Corea democratica, ormai emancipata dai grandi argomenti della sua storia: la guerra e l’urbanizzazione che tra anni Settanta e Ottanta ha devastato le campagne e disgregato le strutture familiari. Si tratta di libri alieni ma non irriconoscibili, spesso scritti da donne e riscoperti ad anni dall’uscita, in cui persino la stereotipata equazione sesso e morte, tipica della letteratura orientale, viene reinventata.

Il caso più eclatante è quello di The Vegetarian di Han Kang, di imminente pubblicazione per Adelphi. Uscito nel 2007, all’epoca fu un caso nazionale ma è tornato alla ribalta con la traduzione di Deborah Smith, arrivando a vincere l’ultimo Man Booker Prize. Senza il termine di paragone dell’originale, definire la traduzione di Smith stupefacente forse è improprio, ma è giusto che per le regole del concorso Kang abbia dovuto dividere il premio di cinquantamila sterline con la traduttrice: sia come sia, la lingua del libro è magnifica.
Deborah Smith, tra le altre cose, ha co-fondato una casa editrice no profit Tilted Axis Press che si propone di scuotere la letteratura contemporanea internazionale e scegliere testi dotati di «originalità artistica, visione radicale e senso del nuovo». The Vegetarian, ma anche un romanzo storico e ormai datato come Fox Girl di Nora Okja Keller (le fox girl sono le vampire coreane che usano la pelle di una ragazza morta per diventare bellissime) soddisfano tutti i requisiti in questione.
Se poco tempo fa mi avessero detto che avrei apprezzato un libro in cui la protagonista sogna di diventare vegetariana e lentamente si convince di essere diventata un albero e finisce internata, probabilmente mi sarei messa a ridere: ho visto La Mosca di Cronenberg a cinque anni e non andò a finire benissimo. Tra me e il body horror non è mai scattato l’amore, eppure a primo acchito The Vegetarian è esattamente questo: come lo scienziato interpretato da Jeff Goldblum dice «sono un insetto che aveva sognato di essere un uomo, e gli era piaciuto. Ma adesso il sogno è finito, e l’insetto è sveglio», la protagonista del libro di Han Kang si sogna fuori dal suo corpo, e al suo sistema sanguigno, triste e inetto che non l’ha preservata da un matrimonio silenzioso e da una famiglia fatta di percosse, sostituisce la fotosintesi clorofilliana.
A leggere il libro di Han Kang, si ha la stessa reazione del vampiro depresso di Jarmusch: a mesi di distanza, capita di sognarlo e di essere ancora esaltati da una storia indecifrabile, potente, cattiva. Come scrive l’autrice, a un certo punto «la familiarità sanguina nella stranezza, e la certezza diventa impossibile». Persino nelle parti in cui le interazioni tra i corpi sono più vegetali che sessuali, c’è una forma di eccitazione subdola, ipnotica. Quando la protagonista smette di mangiare, viene trattata da anoressica e, anche se la sua «malattia» così come la risposta clinica non sono diverse da quelle occidentali – la negazione del corpo risolta con l’alimentazione forzata e il manicomio – c’è un approccio letterario inedito, meno individualista, come se l’integrità psichica e fisica della persona non contasse e la sua trasformazione fosse possibile: diventare un albero non è poi così di assurdo. Han Kang scrive «È il tuo corpo, puoi trattarlo come ti pare. L’unica area in cui sei libera di fare come preferisci. Eppure neanche questo va a finire come volevi».

Nella raccolta Drifting House, Krys Lee sostiene che i tentativi di definire se stessi sono ridicoli, mentre nel pluripremiato Please Look after Mom di Kyung-Sook Shin, l’autrice spiega che «persino ciò che si considera inusuale è solo una cosa che doveva succedere. Imbattersi in eventi inusuali significa solo che non averci pensato abbastanza». Per quanto si voglia resistere alla tentazione di uniformare questi libri, c’è qualcosa di ricorrente nel loro approccio. Una preferenza per il formato breve – The Vegeterian può essere considerato una composizione di tre novelle legate in una – e una costante attrazione per l’intangibile; non sono storie fantastiche ma non potrebbero essere definite come il contrario. E soprattutto c’è un’attenzione costante al ruolo della donna nella società coreana, in cui ancora oggi arrivare single a quarant’anni incoraggia la pratica di noleggiare fidanzati da presentare ai familiari per scongiurare non tanto la diceria di essere una zitella quanto quella di essere una iettatrice, per rinnegare la lenta trasformazione e combustione del proprio corpo in quello della strega, anche se la donna in questione vive in un techno-park.
Ma tolte le riflessioni su una società che dissimula il suo essere ancora patriarcale e gerarchica, tra usi e abusi del corpo, tecniche di sopravvivenza botaniche e sparizioni della mente, la letteratura coreana contemporanea è priva di orientalismi. La sua familiarità, anzi, ha proprio a che fare con il nome dell’autrice di The Vegetarian, han, una di quelle parole che finiscono negli elenchi dei vocaboli quasi intraducibili. La definizione che più le si avvicina è un miscuglio di miseria, rancore e rimpianto che originariamente aveva un connotato politico, legato a un senso di oppressione dovuto all’ingerenza dello straniero in Corea. E così come la guerra diventa sempre più assente dal romanzo coreano, così la parola han si riconfigura come un desiderio insoddisfatto di vendetta sul piano sentimentale e privato. E qui davvero, per il lettore occidentale insoddisfatto dalla quiete della letteratura americana, non c’è nulla di più appetibile e meno lontano.


Cremona Città della Musica, Ugo Pierri, il Grande

"la cameriera poliartritica del reading non ama mozart perchè diceva le parolacce e senza prove certe lo accusa di aver stuprato una sua lontana parente"

mercoledì 25 gennaio 2017

A noi Michele Mari piace molto


http://s3-eu-west-1.amazonaws.com/iltascabile/wp-content/uploads/2016/12/13165532/m_mari_intervista_ver_2-25-edit.jpg Con lo scrittore marziano che si pone fuori dalla società e la fustiga siamo di nuovo in piena estetica romantica-decadente. E la curiosità di questa società che però poi lo premia, l’artista arrabbiato.


Ma io non è che la fustighi per fare il byroniano. Io mi difendo, nel senso che vorrei vivere in una specie di bunker come nel racconto La casa di Gadda, quella fortezza col filo spinato… Sono molto a disagio sul piano politico-morale e infatti mi astengo da qualsiasi dibattito, da qualsiasi pronunciamento, perché in questo periodo in cui si parla di muri e non muri io istintivamente solo alla parola muro godo. Non perché penso al muro in Messico o nel canale di Sicilia, penso a The Wall intorno a me. Per me muro è tutto ciò che mi separa dagli altri. A me solo la parola “social” fa vomitare. Io sogno un mondo di gente silenziosa triste e implosa, un mondo autistico dove non ci siano happy hour, feste di laurea, feste di compleanno, feste aziendali, cazzeggi, risse, ubriachi. Fondamentalmente come modello di vita ho la DDR di Honecker, un mondo depresso dove tutti hanno la Trabant o la bici, dove non ci sono SUV, non ci sono stronzi, dove tutti i depressi tornano a casa la sera alle sei, si chiudono dentro col coprifuoco, si mangiano una minestra di cavolo e sentono Brahms. Mi sembra la cosa più vicina alla mia idea di paradiso.
                        (intervista a Michele Mari  a cura di Carlo Mazza Galanti, "il Tascabile) 

Cremona Città della Musica, Ugo Pierri


venerdì 20 gennaio 2017

"Voci di tenebra azzurra", Mariangela Gualtieri

Risultati immagini per migranti disegni
"Ma guardate la specie: è a capo chino, ora."

A Trento venerdì prossimo, sempre senza misure...

Omaggio a Giulio Lacchini e Tancredi Nicoletti

L'eternità sta nel vino, coppiere, a me                                       
    versane l'ultima goccia:
lassù non fiorita è radura, non quale
    a Shiraz riva d'acque.

Di liuti parlatemi solo, parlatemi solo
    di coppe: il segreto
di questo mondo è un enigma che mai
   saprà scioglier sapienza.

                                                 Hafez








Foto tratte da L'ascolto, una mostra immaginaria

venerdì 6 gennaio 2017

Incontro con Alberto Mori


Domenica  15  Gennaio  
 ore  16:30

Sala del Municipio, via G.Garibaldi 14, Grumello Cremonese


Parola     Luogo      Interazione     Sperimentazione

Incontro  con  la poesia  di  Alberto Mori



d'inverno



Si sta
d'Inverno
come
le pàléé
dè fééròò

(idiOzie di primo inverno)

Le parole che TeseRo



ce le TeseRo a memoria
non perchè non dimenticassimo
ma perchè non ci venissero aspettative

tutto un altro anno ancora

di solito è alla seconda portata che ci si conferma di aver cannato ristorante