giovedì 19 maggio 2016

Caffè e amaro

«Quando allarga la coda questo uccello,
bellissimo da vedere con le penne che strascicano a terra,
sembra ancor più bello ma si scopre il sedere»
Guillaume Apollinaire, Il pavone

Mentre al di fuori c'è tempesta, la nave dell'omogeneità non riesce a scrollarsi un mondo di morte. Esprimere fin da subito cosa non va è una questione etica che fa i conti con la propria esistenza. Continuare ad esprimere un'identità fittizia è la solita cantilena sensoriale del rimosso.
A quando le vibrazioni delle passioni?
Una storia si chiude. La chiusura comporta delle riflessioni e riflettere, oggi, è sempre più difficile. Emma Goldman diceva, a buon ragione, che la mente umana è abituata a giudicare piuttosto che riflettere. Una frase che suona, come non mai, in opposizione totale al circostante.
Apparire è senza dubbio meno complicato che essere o negare di apparire. Essere comporta, prima o poi, entrare nel magico mondo della fantasia di creare, del tentare di liberarsi dalle gabbie, del gioco continuo del comporre e dello scomporre in seno ad ogni rivolta autentica.
Un punto che incrocia qualcosa per cui vale la pena battersi: la libertà.
Chi ha posto un'affascinante sperimentazione come Lapisvedese nel baratro del linguaggio politicante, oggi paga le conseguenze di quelle scelte. Oggi con un autistico al bispensiero qualcuno deve fare i conti.
Chi aveva già visto le crepe di queste scelte e aveva criticato alcune uscite (come si fa a risolvere il problema dell'inquinamento andando in bicicletta con chi fa soldi con l'aria irrespirabile, senza mettere in discussione tutto l'edificio sociale che ci uccide lentamente...), in tempi non sospetti aveva avuto delle risposte al quanto discutibili. Della serie, il meno peggio che avanza...
Le strade, come era ovvio, si sono divise con alcuni, nel momento che, anche nel territorio dove viene prodotto Lapisvedese, scoppiò quello che tutte e tutti con un minimo di coscienza si aspettano dal presente: l'ammutinamento degli esclusi.
Se la coscienza è l'incontro leggero fra intelligenza e sensibilità, diciamo che la redazione di Lapisvedese, questo Moloch in antitesi con Non chiederci la parola*, pecca di percezione sensoriale.
Se una redazione non esiste più ma vuol fare uscire l'ultimo numero, come si fa a censurare degli scritti? Non sarebbe stato onesto inserirli tutti, dato che nessuno poteva decidere al momento di comporre Ferro?
Naturalmente dico che una redazione non esiste perché scritto e detto al sottoscritto da EGAP e JFN, persone che conosco e stimo.
Eppure, chi scrive, si era proposto di spiegare lo scritto in questione davanti a una redazione che... non c'era più, scavalcando il muro invalicabile dei rapporti da tastiera.
Le esplosioni delle diversità non possono essere solo concepite quando si parla di educazionismo; se fosse così, un sinonimo di Lapisvedese dovrebbe essere menzogna.
La critica radicale a ciò che viviamo non può essere messa in disparte a proprio piacimento per compiacere i lettori. Se non si è capaci a scrivere, si diventa giornalisti, sussurra un saggio dei nostri tempi.
Purtroppo si è persa un'occasione, con l'ultimo numero chiamato Ferro, di affilare le armi della critica, quella sana vena della provocazione che, anche oggi, può ribaltare radicalmente il modo e la visione di interpretare la realtà. E tutto questo è veramente becero, perché per cambiare la realtà, diceva Danilo Montaldi, bisogna sognare.
Purtroppo oggi è la servitù volontaria ad essere contagiosa non la libertà.
Un altrove, però, che rivendica la questione della trasformazione dell'esistente esiste ancora ed è estraneo al modo di concepire la critica come ha fatto ultimamente la redazione fantasma di Lapisvedese.
Se voi siete una frontiera ci vedremo sulle barricate, avendo la sofferenza come compagna di danza.
I muri ribaltati diventano ponti, consigliava Angela Davis.
Detto questo, preferisco le parole che aiutano le gesta a sovvertire questo mondo, al potere delle parole e di certi slogan filosofici mal assemblati.

* Non chiederci la parola, Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.



Ecco il testo censurato dalla redazione fantasma di Lapisvedese per l'ultimo numero:

Je ne suis pas Elle

«Negare: niente di meglio per emancipare lo spirito»
Emil Cioran, La tentazione di esistere

Elle ha il fetore dell'esistente. Elle pedala con chi è complice della devastazione della natura. Elle non prende parte, si fa da parte perché essere partigiani di una sensazione più che da un'idea sensata è un rischio. Elle è un idolo sociale, giammai divenire furia iconoclasta. Elle è alla perenne ricerca di bisognosi, si sa che i desideranti hanno altri luoghi. Elle parla con chi è compiacente di essere in linea. Elle non scatena le cattive passioni ma fomenta la morale della bontà. Elle informa ma non ci fa sapere granché. Elle si esprime costruendo, non decostruisce per sperimentare l'espressione. Elle è pacifista, riconosce la pace armata, si dice contro le armi, torna ad armarsi di pace, ma pacificamente è un falso critico dell'armamentario societario. Elle sa che la pace è il fine non un mezzo, ma chi lo dice poi agli amici da aperitivo di prendermi? Elle vuole parlare alla cittadinanza, non chiedendosi perché essa fa rima con sudditanza. Elle dice che la libertà è contagiosa, ma è infetta da servitù volontaria. Elle è in perenne con/vers/azione, ma aborra l'azione diretta. Elle parla la lingua tecnologica, allergica al sudore delle relazioni umane. Elle si presenta, ma si parla addosso. Elle non abbatte i muri, se li vedesse... Elle è una vetrina chic, prova disgusto per gli spacca-vetrine ispirati da Benjamin e da Turgenev. Elle è una maschera, anche se sarà dura continuare ad ingannare se stessi. Elle si esprime ma si esprime meno bene di un qualsiasi onesto delinquente. Elle batte gli altri ma non vince se stesso. Elle si da tono, non canta per chi non ha voce. Elle non ha niente a che fare con il fuoco greco. Elle è reale, non vuole sognare. Elle è una prestazione sociale, obbedisce senza la fatica di dire di si. Elle vota il candidato preferito barattando il suo diritto di lamentarsi. Elle non decide, lascia scegliere agli altri, giustificando la sua ingombrante presenza nel putrido spettacolo contemporaneo. Elle vive la sua comodante quotidianità con una catastrofe ad un battito di ciglia. Elle si aggrappa alla costrizione di esistere. Elle non rischia, non ha mai sentito il male di vivere. Elle non conosce la leggerezza del negativo, ma la frivolezza del positivo. Elle da la buonanotte ai suonatori, giocare e ribellarsi è da bambini. Elle è abitudinaria, è certa, è comprensibile ed ha paura dell'ignoto e del vuoto perché sono incompresi. Elle è percorso definito, non è avventura e imprevisto. Elle sta morendo affossata alla sua totale adesione al dominio, se ne accorgerà?

AGNT

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