Quando ci si interroga sulle ragioni che
tendono a convenire una-guerra “giusta” in una guerra ordinaria, in una
guerra tout court, e più in generale quando ci si interroga sulle
ragioni che sottraggono alle masse il controllo sulle cause elevate cui
esse si dedicano, presto ci si trova imprigionati in un circuito
allucinante. Da un lato, in effetti, l’ampiezza e la concentrazione
della vita economica moderna hanno fatto di ogni partito, di ogni
sindacato, di ogni amministrazione degli organismi quasi totalitari che
vanno per la propria strada abbandonandosi completamente al proprio peso
specifico e senza minimamente tenere conto delle cellule individuali
che li compongono. Questi partiti, questi sindacati, queste
amministrazioni statali moderne sono protetti contro le mosse della
ragione critica (come pure contro i sussulti affettivi e le ribellioni
del cuore) dalla loro sola e sovrana pesantezza. Questi edifici
sconcertanti funzionano in grazia di una umanità tutta speciale, una
umanità di iniziati. Per essere ammessi a presentare una mozione al
termine di un congresso di un partito di sinistra che tolleri qualche
scambio di opinioni, occorre un anno di manovre estremamente delicate
attraverso un dedalo di segretariati e di comitati che ricordano, al
punto da trarre in inganno, i misteri dell’inaccessibile Tribunale in
cui Kafka – ne I! processo – lascia tremolare l’immagine indefinitamente
riflessa della nostra angoscia. E se queste prove iniziatiche sono
favorevolmente superate, se nessun passo falso è giunto a inibire la
presentazione della mozione, allora indubbiamente il suo oggetto si sarà
sufficientemente diluito per suscitare oramai soltanto un interesse
retrospettivo e quasi pietà per chi si azzardasse a darle il proprio
sostegno.
D’altra parte, i cittadini chiaroveggenti ed energici, meglio ancora,
gli individui che dispongono di un certo prestigio intellettuale che
fossero tentati di intervenire per rettificare l’orientamento di un,
partito, di un sindacato o di un governo, sanno troppo bene che questi
diversi organismi hanno i mezzi per tessere loro attorno una ragnatela
mortale – una ragnatela di silenzio che non tarderebbe a tagliarli fuori
da ogni vita pubblica. Questa ragnatela di silenzio si è rinchiusa per
sempre su alcuni dei più brillanti spiriti della società sovietica –
scrittori, scienziati, giornalisti, militanti; essa stringe sempre più
dappresso, in Europa e in America, altri spiriti, resistenti e puri,
esageratamente amanti della libertà….Per l’essere civilizzato vi è qualcosa di peggio della sua perdita di potere sugli organismi che lo rappresentano e agiscono in suo nome. È la rassegnazione a questa perdita. Rassegnazione di cui ci avvertono segni innumerevoli e flagranti. Rassegnazione che – in guerra come in pace – noi riconosciamo in base all’atteggiamento standard di persone dotate, colte e portate all’azione – e tuttavia immerse nel giulebbe della loro disfatta. Questa rassegnazione sta in quattro parole : “In mancanza di meglio…”.
Se si aderisce al Partito comunista ( o a qualsiasi altro…) senza avere la minima garanzia sulla sua ‘politica presente e futura, è “in mancanza di meglio”…. Se si finisce per farsi una ragione di una- redistribuzione di territori di cui si ammette fra sé e sé che non restituirà ai popoli ne il sorriso ne l’abbondanza, è “in mancanza di meglio”. Se si vota per un candidato il cui aspetto morale vi ripugna e la cui fermezza politica si rivela dubbia, è “in mancanza di meglio”. Se ci si abbona a un giornale che sacrifica volentieri il proprio scrupolo di verità a considerazioni commerciali o pubblicitarie, è “in mancanza di meglio”.
Questa donna che si abbraccia febbrilmente farfugliando di eterni sentimenti: “in mancanza di meglio”. Questo cinema in cui ci si sprofonda a testa bassa, per risparmiarsi un’ora di presenza sulla terra: “in mancanza di meglio”. Questo libro su cui ci si attarda perché è stato premiato, quando tutto vi invita a schifarne il contenuto: “in mancanza di meglio”. Questo capo sublime a1 culto del quale ci si allinea sospirando, impregnati come si è del repertorio della sua grandezza: “in mancanza di meglio”…
“In mancanza di meglio” diventa un investimento, una filosofia, uno stato civile, un padrone, una boutade, un alibi, una preghiera, un’arma, una puttana, un singhiozzo, una sala d’attesa, una piroetta, l’arte di farsi l’elemosina, una bussola per battere il passo senza andare avanti, un epitaffio, un 8 agosto 1945…
Due uomini, prossimi per pensiero, nondimeno sono capaci di distruggersi a vicenda perché, avendo la stessa concezione del “meglio”, e difettando di questo, ripiegano su due modalità concorrenziali di esistenza di compensazione, su due sistemi di convinzioni e di gesti che sfiorano per la tangente il “meglio” comune, ma non lo sfiorano dallo stesso lato.
Allora, di approssimazione in approssimazione, di sostituzione in sostituzione, ci si trova ricacciati indietro, insensibilmente, cortesemente, verso non si sa quale abietto cantuccio dove prosperano i centogambe. Si viene presi dallo spavento, ma a torto. Non si tratta di una segreta; è una dimora… Ormai fa solo notte… Lontano, dei treni fischiano come se stessero partendo… Si vorrebbe urlare, far accorrere immaginar! guardiani… Con le proprie forze, a che punto si sarà domattina? Vi lasceranno soltanto passare? Sì, senza dubbio, vi permetteranno di fuggire, di andarvi a costruire una seconda vita in Congo, una vita su palafitte con, nell’ombra, lo stesso cancro trionfante in cui vengono a patti le forze della noia e l’orrore panico della libertà…
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3.European Newsreel, di Louis Clair, cfr. Politics, giugno 1945.
Georges Henein
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