I libri per l’estate
Come le “canzoni per l’estate”, che sono spensierate e ballabili, le “letture estive”
vengono quasi sempre associate a qualcosa di distensivo. Libri
riposanti e appassionanti: i gialli sembrano l’ideale. O anche
arzigogolate storie d’amore, meglio se a lieto fine. Eppure, per molti,
l’estate è l’unico momento che si può dedicare alla lettura: un tempo
dilatato, assai più ampio di quello durante il periodo lavorativo, che
lascia briciole di orette, soprattutto nei finesettimana.
Confesso che sulla questione della lettura e del tempo libero ha qualche problema sin dall’adolescenza. Provengo da una famiglia dove la letteratura di finzione era considerata un passatempo, e il passatempo uno spreco. I romanzi furono tollerati in età scolare, soprattutto quelli italiani. Per imparare a scrivere bene. Poi, quando scoprii, grazie a una fidanzatina che se la tirava da intellettuale tormentata, i romanzi russi, che hanno condizionato la mia visione del mondo, mi veniva raccomandato di leggere solo “quelli molto ben tradotti” e appuntarmi su un quadernetto le frasi più importanti. Poesia, poca. Almeno che non venisse mandata a memoria. Allora poteva tornare utile.
Non è stato facile liberarmi in parte da questi condizionamenti. Ancora oggi, quando me ne sto comodamente sdraiato sul divano, leggendo un romanzo e ascoltando una musica di sottofondo, in compagnia di un buon sigaro toscano (una delle situazioni nelle quali si può toccar con mano la Serenità), mi sento un po’ a disagio. Per troppi anni i libri da leggere sono stati quasi solo quelli che ti insegnano qualcosa, che trasmettono informazioni e idee. Il piacere del testo, sul quale insisteva Roland Barthes, è per me una concessione tardiva. Non sono abituato a scegliere un libro per la trama, e abbandonarmi a una storia appassionante. Troppe volte mi è stato detto, quando ero ragazzo, che un libro serve ad arricchirsi e che quando, alla fine ne termini la lettura, devi essere un po’ un’altra persona. E questo vale anche per un film, uno spettacolo teatrale, un quadro. Per la musica, l’unica forma di arte universale, è po’ diverso: anche le canzonette ti cambiano, per sempre.
Dato che la nostra vita è breve, non c’è tempo da perdere leggendo cose effimere. Fa sgomento riflettere su quante ore, mediamente, abbiamo in una settimana da dedicare alla lettura (non professionale o per studio). Dieci, quindici al massimo. Se si soffre di insonnia, qualcosina di più. Durante le vacanze ancora qualche oretta; quando si lavora anche molto meno. La letteratura serve a rilassarsi, sostengono in molti. E infatti, in questi anni di “bonaccia” letteraria, si leggono soprattutto romanzi gialli, o scritti secondo questo genere. Niente da obbiettare. Un po’ li invidio. A me non riesce: anche se la storia mi cattura sin dalle prime pagine e vado avanti per capire chi sia l’assassino, mi sento a disagio come se fossi io a compiere un delitto. Mi pare di utilizzare male quelle quindici ore settimanali che ho già la fortuna di poter dedicare alla lettura.
Per questo motivo, sono convinto che proprio l’estate (vacanza significa “non esserci”, ma anche “più tempo” senza limiti fissati dall’orario e dagli impegni di lavoro) debba essere il periodo nel quale si fanno letture più impegnative, si colmano lacune, si recuperano libri lasciati sul comodino in attesa di tempi migliori.
Insomma, un’impostazione molto diversa dai consigli, altrettanto legittimi e utili, che dà Antonio D’Orrico su “Sette” del Corriere della Sera del 27 giugno.
Indicherò per chiarire meglio il mio punto di vista, telegraficamente, una ventina di libri, scelti tra quelli usciti di recente, ma anche degni di essere “recuperati”.
Per imparzialità, e buon gusto, ho evitato di segnalare i bei libri dei miei amici, pubblicati di recente.
Passiamo quindi ai miei consigli dei “libri per l’estate”:
– Angelo Ferracuti, Addio (Chiarelettere, pp. 248, euro 16,60). Un romanzo-reportage sul lavoro perduto che sarebbe piaciuto a Ryszard Kapusciński: le storia della gente del Sulcis-Iglesiente, terra di miniere (Carabonia) ora abbandonata e depressa. Ferracuti segue con passione le tracce della delocalizzazione delle multinazionali dell’alluminio fino a un’Islanda meno ridente di quanto la si vuol fare apparire.
– Stefano Massimi, Lavoro (il Mulino, pp. 132, euro 12,00). Dall’autore di Lehman Trilogy (l’ultima regia teatrale di Luca Ronconi) una brillante e intelligente riflessione sul “lavoro”, partendo dai suoi contraddittori significati cercando di capire perché ornai “il lavoro è percepito come un giogo, come l’esito di un compromesso al ribasso con le proprie vocazioni, se non addirittura come la lotro tomba”.
– Czesław Miłosz, La mia Europa (Europa familiare) (trad. Pietro Marchesani, Adelphi, pp. 362, euro 26,00). Uno dei libri più affascinanti e convincenti sul significato e i valori dell’Europa. Scritto dal grande poeta polacco-lituano, premio Nobel per la letteratura del 1980, nel 1952 quando si rifugiò in Francia: l’Europa l’hanno capita e amata di più coloro che, sotto i regimi totalitari, l’avevano perduta.
– Elena Loeventhal, Miti ebraici (Einaudi, pp. 212, euro 15,00). Il bel racconto delle storie e della tradizione ebraica: miti e figure cento volte riraccontate nei secoli e ancora carichi di sorprese e scoperte (come la figura della saggia Berurya o la località polacca di Chełm, foriera di mille storie).
– Per coloro che si recheranno in Grecia:
a) Costantino Kavafis, Le poesie (a c. di Nicola Crocetti, Einaudi, pp. 318, euro 14,00). Un poeta straordinario dell’amore fisico, del dolore classico, figlio delle complicazioni della sfaccettata cultura mediterranea. Da leggere e meditare guardando il mare Aspettando i barbari (pp. 77-79): “Si è fatta notte e non son venuti i barbari/(…) E ora senza i barbari che sarà di noi?/ Era una soluzione, quella gente.”;
b) Dino Baldi, Marina Ballo Charmet, Oracoli, santuari, prodigi. Sopralluoghi in Grecia (Quodlibet Humbolt, pp. 200, euro 19,00). Una guida inconsueta ricca di curiose annotazioni, lucenti fotografie e persino un curioso dizionarietto culinario (a cura di Alberto Saibene);
c) Donatella Puliga e Silvia Panichi, In Grecia. Racconti dal mito, dall’arte e dalla memoria (Einaudi, pp. 252, euro 11,05). Un’affascinante, e rigorosa, guida al mondo antico, ricca di preziose indicazioni, racconti, preziose citazioni e riferimenti ai testi classici, associati ai luoghi archeologici descritti con contagiosa passione.
– Jean-Paul Manganaro, Liz Taylor. Un’autobiografia (trad. massimo Fumagalli, il Saggiatore, pp.142, euro 19,00). La fragilità dell’ultima vera diva di Hollywood, raccontata in modo assai partecipato, dopo un bellissimo saggio su Fellini (Saggiatore 2014), da un professore dell’Università di Lille esperto di letteratura italiana.
– Alina Bronsky, L’ultimo amore di baba Dunja (trad. Scilla Forti, Keller editore, pp. 174, euro 14,50). La poetica e malinconica storia, spesso persino divertente, di una anziana donna che torna tra le prime a vivere nel suo villaggio abbandonato dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl del 2004. In tarda età Dunja vuole realizzare, con una corte di bizzarri personaggi, il suo personale paradiso terrestre nel più disastrato posto del mondo.
– Mauro Orletti, Piccola storia delle eresie (Quodlibet, pp. 164, euro 14,00). Le geniale storie – raccontate in brevi, godibili e erudite schede – di quasi tutti i gruppi dissidenti del Cristianesimo, dal primo secolo al grande scisma del 1054: Abeliani, Circoncellioni, Marcioniti, Formosiani, Retoriani, Dattilorichiti (che giravano con il dito sul naso e sulla bocca perché convinti che Dio per potersi nuovamente manifestare avesse bisogno di molto silenzio).
– Paul Celan, La sabbia delle urne (a c. di Dario Borso, Einaudi, pp. 184, euro 14,00). Il volume di poesie in tedesco che Celan tentò invano di pubblicare nel 1948 a Vienna, dopo esser andato via dalla Romania. Recuperata solo in anni recenti, questa raccolta presenta già chiaramente la cifra poetica di uno dei maggiori poeti del Novecento, così duramente segnato dalla tragedia dell’Olocausto.
– Diego Marani, Nuova grammatica finlandese (Bompiani, pp. 208, euro 8,50) Un romanzo inconsueto e sorprendente, pubblicato per la prima volta nel 2000, tradotto in dieci lingue, e riproposto da pochi anni negli agili tascabili Bompiani. Marani lavora alla Commissione europea di Bruxelles dove di occupa di politica del multilinguismo. La storia è quella di un uomo che ha perso completamente la memoria ed è rinvenuto a bordo di una nave militare tedesca a Trieste, nel 1943. Il medico che lo cura ritiene da alcuni indizi che sia finlandese e quindi gli insegna la lingua e poi lo fa trasferire a Helsinki dove tentano di farlo parlare per fargli tornare la memoria.
– Robert Neumann, I bambini di Vienna (trad. Silvia Albesano, Guanda, pp. 214, euro 16,50). Romanzo bellissimo che ricorda Germania anno zero di Rossellini o Il quarto uomo con Orson Wells. Tra le macerie di una Vienna sconfitta, un gruppo di bambini che vivono nelle cantine, stanno assieme per sopravvivere. Un reverendo nero americano in divisa tenta di farli tornare a una vita normale, quasi impossibile a causa delle profonde ferite lasciate nel loro animo dalla guerra, ma anche dall’educazione autoritaria ricevuta a scuola.
– Nikolàj Leskov, Tre giusti (a cura di Paolo Nori, Marcos y Marcos, p. 256, euro 13,00). Il più russo dei grandi scrittori russi (1831-1895), quello che forse meglio conosceva quel popolo, tradotto e presentato da un bravo scrittore-affabulatore italiano, profondo conoscitore della letteratura russa. Il terzo racconto, A proposito della sonata a Kreutzer (pubblicato postumo nel 1899), è un vero gioiello che merita di esser letto assieme al famoso racconto di Tolstoj, al quale si riferisce (magari ascoltando in sottofondo la sonata di Beethoven).
– Se andate per mostre e gallerie e sentite il bisogno di riflettere sull’arte contemporanea:
a) Mario Perniola, L’arte espansa (Einaudi, pp. 108, euro 11,00). Indispensabile chiave di interpretazione critica di come si sia modificato il mondo dell’arte nell’epoca contemporanea, con, inoltre, una lettura assai suggestiva delle due ultime Biennali d’arte di Venezia;
b) Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Cultura visuale. Immagini, sguardi, media, dispositivi (Einaudi, pp. 294, euro 28,00). La rapida evoluzione delle tecnologie digitali ha determinato la comparsa di nuove tipologie di immagini e di nuovi dispositivi di visione, introducendo forme inedite di visualizzazione e di spettacolarità. Nello “sciame” digitale l’arte annulla i confini tra l’opera e i suoi friuitori che possono interagire con le immagini stesse ed esserne “modificati”.
– Richard Mabey, I doni della natura (Vallardi, pp. 256, euro 18,00). Un agile e ben illustrato manualetto, da portarsi dietro nelle passeggiate in campagna e montagna, che insegna come riconoscere, raccogliere e degustare i prodotti selvatici commestibili: piante, erbe, fiori, frutti, bacche e funghi.
– Orhan Pamuk, Il museo dell’innocenza (Einaudi, pp. 586, euro 15,00). Questo bellissimo romanzo di passione e memoria sta alla base di un’“operazione creativa” unica nel suo genere e di estremo interesse. Mentre scriveva il suo romanzo, Pamuk ha inventato e costruito il museo degli oggetti ricordo di quella storia d’amore. Oggi, a Istambul, è possibile visitare quel museo, ricco di foto e oggetti, reperiti dai rigattieri, e persino centinaia di mozziconi di sigarette, ognuno a testimonianza di un momento irripetibile di quella passione amorosa tra Kemal e la giovane Füsun. Il volume illustrato – Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti (Einaudi, pp. 268, euro 32,00) – ne costituisce una sorta di catalogo. E, recentemente, è comparso anche nei cinema italiani, seppur per pochi giorni, il film-documentario c he racconta la storia del romanzo e del museo: Istambul e il museo dell’innocenza di Pamuk, film di Grant Gee (2015).
Confesso che sulla questione della lettura e del tempo libero ha qualche problema sin dall’adolescenza. Provengo da una famiglia dove la letteratura di finzione era considerata un passatempo, e il passatempo uno spreco. I romanzi furono tollerati in età scolare, soprattutto quelli italiani. Per imparare a scrivere bene. Poi, quando scoprii, grazie a una fidanzatina che se la tirava da intellettuale tormentata, i romanzi russi, che hanno condizionato la mia visione del mondo, mi veniva raccomandato di leggere solo “quelli molto ben tradotti” e appuntarmi su un quadernetto le frasi più importanti. Poesia, poca. Almeno che non venisse mandata a memoria. Allora poteva tornare utile.
Non è stato facile liberarmi in parte da questi condizionamenti. Ancora oggi, quando me ne sto comodamente sdraiato sul divano, leggendo un romanzo e ascoltando una musica di sottofondo, in compagnia di un buon sigaro toscano (una delle situazioni nelle quali si può toccar con mano la Serenità), mi sento un po’ a disagio. Per troppi anni i libri da leggere sono stati quasi solo quelli che ti insegnano qualcosa, che trasmettono informazioni e idee. Il piacere del testo, sul quale insisteva Roland Barthes, è per me una concessione tardiva. Non sono abituato a scegliere un libro per la trama, e abbandonarmi a una storia appassionante. Troppe volte mi è stato detto, quando ero ragazzo, che un libro serve ad arricchirsi e che quando, alla fine ne termini la lettura, devi essere un po’ un’altra persona. E questo vale anche per un film, uno spettacolo teatrale, un quadro. Per la musica, l’unica forma di arte universale, è po’ diverso: anche le canzonette ti cambiano, per sempre.
Dato che la nostra vita è breve, non c’è tempo da perdere leggendo cose effimere. Fa sgomento riflettere su quante ore, mediamente, abbiamo in una settimana da dedicare alla lettura (non professionale o per studio). Dieci, quindici al massimo. Se si soffre di insonnia, qualcosina di più. Durante le vacanze ancora qualche oretta; quando si lavora anche molto meno. La letteratura serve a rilassarsi, sostengono in molti. E infatti, in questi anni di “bonaccia” letteraria, si leggono soprattutto romanzi gialli, o scritti secondo questo genere. Niente da obbiettare. Un po’ li invidio. A me non riesce: anche se la storia mi cattura sin dalle prime pagine e vado avanti per capire chi sia l’assassino, mi sento a disagio come se fossi io a compiere un delitto. Mi pare di utilizzare male quelle quindici ore settimanali che ho già la fortuna di poter dedicare alla lettura.
Per questo motivo, sono convinto che proprio l’estate (vacanza significa “non esserci”, ma anche “più tempo” senza limiti fissati dall’orario e dagli impegni di lavoro) debba essere il periodo nel quale si fanno letture più impegnative, si colmano lacune, si recuperano libri lasciati sul comodino in attesa di tempi migliori.
Insomma, un’impostazione molto diversa dai consigli, altrettanto legittimi e utili, che dà Antonio D’Orrico su “Sette” del Corriere della Sera del 27 giugno.
Indicherò per chiarire meglio il mio punto di vista, telegraficamente, una ventina di libri, scelti tra quelli usciti di recente, ma anche degni di essere “recuperati”.
Per imparzialità, e buon gusto, ho evitato di segnalare i bei libri dei miei amici, pubblicati di recente.
Passiamo quindi ai miei consigli dei “libri per l’estate”:
– Angelo Ferracuti, Addio (Chiarelettere, pp. 248, euro 16,60). Un romanzo-reportage sul lavoro perduto che sarebbe piaciuto a Ryszard Kapusciński: le storia della gente del Sulcis-Iglesiente, terra di miniere (Carabonia) ora abbandonata e depressa. Ferracuti segue con passione le tracce della delocalizzazione delle multinazionali dell’alluminio fino a un’Islanda meno ridente di quanto la si vuol fare apparire.
– Stefano Massimi, Lavoro (il Mulino, pp. 132, euro 12,00). Dall’autore di Lehman Trilogy (l’ultima regia teatrale di Luca Ronconi) una brillante e intelligente riflessione sul “lavoro”, partendo dai suoi contraddittori significati cercando di capire perché ornai “il lavoro è percepito come un giogo, come l’esito di un compromesso al ribasso con le proprie vocazioni, se non addirittura come la lotro tomba”.
– Czesław Miłosz, La mia Europa (Europa familiare) (trad. Pietro Marchesani, Adelphi, pp. 362, euro 26,00). Uno dei libri più affascinanti e convincenti sul significato e i valori dell’Europa. Scritto dal grande poeta polacco-lituano, premio Nobel per la letteratura del 1980, nel 1952 quando si rifugiò in Francia: l’Europa l’hanno capita e amata di più coloro che, sotto i regimi totalitari, l’avevano perduta.
– Elena Loeventhal, Miti ebraici (Einaudi, pp. 212, euro 15,00). Il bel racconto delle storie e della tradizione ebraica: miti e figure cento volte riraccontate nei secoli e ancora carichi di sorprese e scoperte (come la figura della saggia Berurya o la località polacca di Chełm, foriera di mille storie).
– Per coloro che si recheranno in Grecia:
a) Costantino Kavafis, Le poesie (a c. di Nicola Crocetti, Einaudi, pp. 318, euro 14,00). Un poeta straordinario dell’amore fisico, del dolore classico, figlio delle complicazioni della sfaccettata cultura mediterranea. Da leggere e meditare guardando il mare Aspettando i barbari (pp. 77-79): “Si è fatta notte e non son venuti i barbari/(…) E ora senza i barbari che sarà di noi?/ Era una soluzione, quella gente.”;
b) Dino Baldi, Marina Ballo Charmet, Oracoli, santuari, prodigi. Sopralluoghi in Grecia (Quodlibet Humbolt, pp. 200, euro 19,00). Una guida inconsueta ricca di curiose annotazioni, lucenti fotografie e persino un curioso dizionarietto culinario (a cura di Alberto Saibene);
c) Donatella Puliga e Silvia Panichi, In Grecia. Racconti dal mito, dall’arte e dalla memoria (Einaudi, pp. 252, euro 11,05). Un’affascinante, e rigorosa, guida al mondo antico, ricca di preziose indicazioni, racconti, preziose citazioni e riferimenti ai testi classici, associati ai luoghi archeologici descritti con contagiosa passione.
– Jean-Paul Manganaro, Liz Taylor. Un’autobiografia (trad. massimo Fumagalli, il Saggiatore, pp.142, euro 19,00). La fragilità dell’ultima vera diva di Hollywood, raccontata in modo assai partecipato, dopo un bellissimo saggio su Fellini (Saggiatore 2014), da un professore dell’Università di Lille esperto di letteratura italiana.
– Alina Bronsky, L’ultimo amore di baba Dunja (trad. Scilla Forti, Keller editore, pp. 174, euro 14,50). La poetica e malinconica storia, spesso persino divertente, di una anziana donna che torna tra le prime a vivere nel suo villaggio abbandonato dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl del 2004. In tarda età Dunja vuole realizzare, con una corte di bizzarri personaggi, il suo personale paradiso terrestre nel più disastrato posto del mondo.
– Mauro Orletti, Piccola storia delle eresie (Quodlibet, pp. 164, euro 14,00). Le geniale storie – raccontate in brevi, godibili e erudite schede – di quasi tutti i gruppi dissidenti del Cristianesimo, dal primo secolo al grande scisma del 1054: Abeliani, Circoncellioni, Marcioniti, Formosiani, Retoriani, Dattilorichiti (che giravano con il dito sul naso e sulla bocca perché convinti che Dio per potersi nuovamente manifestare avesse bisogno di molto silenzio).
– Paul Celan, La sabbia delle urne (a c. di Dario Borso, Einaudi, pp. 184, euro 14,00). Il volume di poesie in tedesco che Celan tentò invano di pubblicare nel 1948 a Vienna, dopo esser andato via dalla Romania. Recuperata solo in anni recenti, questa raccolta presenta già chiaramente la cifra poetica di uno dei maggiori poeti del Novecento, così duramente segnato dalla tragedia dell’Olocausto.
– Diego Marani, Nuova grammatica finlandese (Bompiani, pp. 208, euro 8,50) Un romanzo inconsueto e sorprendente, pubblicato per la prima volta nel 2000, tradotto in dieci lingue, e riproposto da pochi anni negli agili tascabili Bompiani. Marani lavora alla Commissione europea di Bruxelles dove di occupa di politica del multilinguismo. La storia è quella di un uomo che ha perso completamente la memoria ed è rinvenuto a bordo di una nave militare tedesca a Trieste, nel 1943. Il medico che lo cura ritiene da alcuni indizi che sia finlandese e quindi gli insegna la lingua e poi lo fa trasferire a Helsinki dove tentano di farlo parlare per fargli tornare la memoria.
– Robert Neumann, I bambini di Vienna (trad. Silvia Albesano, Guanda, pp. 214, euro 16,50). Romanzo bellissimo che ricorda Germania anno zero di Rossellini o Il quarto uomo con Orson Wells. Tra le macerie di una Vienna sconfitta, un gruppo di bambini che vivono nelle cantine, stanno assieme per sopravvivere. Un reverendo nero americano in divisa tenta di farli tornare a una vita normale, quasi impossibile a causa delle profonde ferite lasciate nel loro animo dalla guerra, ma anche dall’educazione autoritaria ricevuta a scuola.
– Nikolàj Leskov, Tre giusti (a cura di Paolo Nori, Marcos y Marcos, p. 256, euro 13,00). Il più russo dei grandi scrittori russi (1831-1895), quello che forse meglio conosceva quel popolo, tradotto e presentato da un bravo scrittore-affabulatore italiano, profondo conoscitore della letteratura russa. Il terzo racconto, A proposito della sonata a Kreutzer (pubblicato postumo nel 1899), è un vero gioiello che merita di esser letto assieme al famoso racconto di Tolstoj, al quale si riferisce (magari ascoltando in sottofondo la sonata di Beethoven).
– Se andate per mostre e gallerie e sentite il bisogno di riflettere sull’arte contemporanea:
a) Mario Perniola, L’arte espansa (Einaudi, pp. 108, euro 11,00). Indispensabile chiave di interpretazione critica di come si sia modificato il mondo dell’arte nell’epoca contemporanea, con, inoltre, una lettura assai suggestiva delle due ultime Biennali d’arte di Venezia;
b) Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Cultura visuale. Immagini, sguardi, media, dispositivi (Einaudi, pp. 294, euro 28,00). La rapida evoluzione delle tecnologie digitali ha determinato la comparsa di nuove tipologie di immagini e di nuovi dispositivi di visione, introducendo forme inedite di visualizzazione e di spettacolarità. Nello “sciame” digitale l’arte annulla i confini tra l’opera e i suoi friuitori che possono interagire con le immagini stesse ed esserne “modificati”.
– Richard Mabey, I doni della natura (Vallardi, pp. 256, euro 18,00). Un agile e ben illustrato manualetto, da portarsi dietro nelle passeggiate in campagna e montagna, che insegna come riconoscere, raccogliere e degustare i prodotti selvatici commestibili: piante, erbe, fiori, frutti, bacche e funghi.
– Orhan Pamuk, Il museo dell’innocenza (Einaudi, pp. 586, euro 15,00). Questo bellissimo romanzo di passione e memoria sta alla base di un’“operazione creativa” unica nel suo genere e di estremo interesse. Mentre scriveva il suo romanzo, Pamuk ha inventato e costruito il museo degli oggetti ricordo di quella storia d’amore. Oggi, a Istambul, è possibile visitare quel museo, ricco di foto e oggetti, reperiti dai rigattieri, e persino centinaia di mozziconi di sigarette, ognuno a testimonianza di un momento irripetibile di quella passione amorosa tra Kemal e la giovane Füsun. Il volume illustrato – Orhan Pamuk, L’innocenza degli oggetti (Einaudi, pp. 268, euro 32,00) – ne costituisce una sorta di catalogo. E, recentemente, è comparso anche nei cinema italiani, seppur per pochi giorni, il film-documentario c he racconta la storia del romanzo e del museo: Istambul e il museo dell’innocenza di Pamuk, film di Grant Gee (2015).
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