Libro della Memoria. Libro terzo.
Fu nel 1965 a Parigi che sperimentò per la prima volta le infinite possibilità di uno spazio limitato. [...] Cominciavano allora i suoi ricordi di quella città, dove in seguito avrebbe trascorso tanta parte della vita, e sono indissolubilmente legati all'idea di una stanza.
Place Pinel, nel tredicesimo arrondissement, dove abitava S., era un quartiere popolare, e una delle ultime testimonianze della vecchia Parigi: quella Parigi di cui si parla ancora ma che ormai non esiste più. S. viveva in uno spazio così angusto che all'inizio sembrava sfidarti, resistere al tuo ingresso. Bastava una persona a gremire la stanza: due la facevano scoppiare. Era impossibile muoversi senza ridurre il proprio corpo alle minime dimensioni, e la mente ad un punto indefinitamente piccolo all'interno di se stessa. Soltanto allora cominciavi a respirare, sentivi la stanza dilatarsi e vedevi la mente esplorare le distese insondabili, pletoriche di quello spazio. Perché la stanza racchiudeva un intero universo, una cosmologia in miniatura racchiudente a sua volta quanto c'è di più vasto, lontano, inconoscibile. Era un santuario poco più grande di un corpo a gloria di tutto ciò che esiste oltre il corpo: la rappresentazione del mondo interiore di un uomo, fin nei minimi dettagli. S. era riuscito a circondarsi delle cose che aveva dentro. La stanza dove abitava era uno spazio onirico, le mura intorno a lui la pelle di un secondo corpo, quasi che il suo si fosse tramutato in mente, come in un mantice di puro pensiero. Quello era il grembo, il ventre della balena, il luogo in cui ha origine ogni immaginazione.
Paul Auster, L'invenzione della solitudine, trad. it. a cura di Massimo Bocchiola, Torino: Einaudi, 1997.
un profondo grazie a chiunque abbia scritto queste parole
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