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Storicamente, la «natura» dell’archivistica
rimanda alla concezione gerarchica propria degli archivi di Stato,
monoliti ammantati di rigore giurisprudenziale e modellati su esigenze
di centralizzazione che hanno profondamente influenzato la dottrina e la
prassi tradizionali. Tuttavia, a partire dalla seconda metà del
Novecento è esplosa una varietà di forme archivistiche inedite e
orizzontali che mettendo al centro gli individui e le comunità, a
discapito delle istituzioni, hanno operato un ribaltamento di
prospettiva rivoluzionario. E così, scorrazzando felicemente
fuori da steccati disciplinari troppo rigidi e incapaci di contenerli,
questi archivi liberati – non solo «dei movimenti sociali» ma anche «di
comunità», «partecipati», «living archives» – hanno messo in discussione
con le loro carte irrequiete l’idea stessa di un sistema archivistico
governato dall’alto, giocando un ruolo decisivo nella costruzione di una
memoria «altra». Un allargamento radicale dell’idea di archivio
che senza rinunciare a un orizzonte disciplinare propone
un’archivistica al passo con i tempi: trasversale, partecipativa, aperta
al dialogo e immersa nella società.
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