lunedì 20 giugno 2016

Se non si balla non è rivoluzione

«Durante le danze ero la più instancabile, la più allegra ero sempre io. Una sera un ragazzo, un cugino di Sasha, mi prese da parte e con un'espressione grave, come se stesse per annunciarmi la morte di un caro compagno, mi sussurrò che una rivoluzionaria non avrebbe dovuto abbandonarsi alle danze. Perlomeno, non così sfrenatamente come facevo io. Non era dignitoso per una che stava per diventare un elemento importante nel movimento. La mia frivolezza avrebbe nuociuto alla Causa.
L'impudente intromissione del ragazzo mi fece andare su tutte le furie. Gli dissi di badare ai fatti suoi, che ero stufa di sentirmi sempre sbattere in faccia la Causa. Non credevo assolutamente che una causa ispirata a un magnifico ideale, all'anarchismo, alla libertà da ogni convenzione e pregiudizio, presupponesse il rifiuto della vita e della felicità. La Causa non poteva pretendere che mi tramutassi in una suora e neppure che il movimento poteva trasformarsi in un convento. Se il suo significato era questo, non volevo averci nulla a che fare. "Voglio la libertà, io, voglio che tutti abbiano il diritto di esprimere se stessi, di godere le cose belle". Questo era il significato che attribuivo all'anarchismo e così l'avrei vissuto, a ogni costo — prigione, persecuzioni, qualsiasi cosa».
 
Emma Goldman

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