venerdì 16 maggio 2025

Il figlio di Chiarugi

 




L'apice della carriera agonistica di Luciano Chiarugi fu raggiunto nella sera di questo giorno, 52 anni fa, nello stadio di Salonicco. Fu lui, con la maglia numero 11 del Milan, a calciare la punizione vincente contro il Leeds, nella finale di Coppa delle Coppe di quella stagione. Sono andato a cercare una testimonianza filmata di quell'evento su YouTube e, benché non sia un abile moviolista, devo ammettere che nutro più di un dubbio sulla correttezza della decisione dell'arbitro. Bigon se la corre, palla al piede, fin verso i sedici metri dell'area di rigore e manco cade a terra. Viene sbilanciato dal numero 5 avversario, forse in un spalla contro spalla che, da quel che ricordo, dovrebbe essere un contrasto consentito. Credo che a Leeds, città dello Yorkshire settentrionale con un importante passato nell'industria laniera, ci sia ancora qualche anziano incazzato che ne parla (verosimilmente da solo, ubriaco, in un pub). C'è da dire che gli inglesi ci misero del loro schierando una barriera imbarazzante, giustamente perforata dal sinistro dell'attaccante di Ponsacco.

Aveva 26 anni, Chiarugi, detto Cavallo Pazzo. Oggi ne conta 78 e credo che neanche faccia più l'allenatore. Sono pronto a scommettere che la vita gli avrà riservato altri gratificanti approdi, dopo il ritiro, ma mi piace pensare che condividiamo quella data come un landmark. Un punto di arrivo per lui, quello di partenza per me, che in quelle ore mi trovavo a familiarizzare con un'incubatrice, macchina che mi mantenne in vita nei miei primi, difficili, giorni su questo pianeta, nel reparto ostetricia dell'ospedale San Carlo di Milano. 

La leggenda vuole che a casa, abbandonati a loro stessi, mio fratello e le mie due sorelle, abbiano cercato invano di rendermi istantaneamente figlio unico, arrivando a tanto così dal provocare un incendio, nel tentativo di friggere delle patate in padella. Sono lieto che l'impresa non sia finita in tragedia, se non altro perché così ho avuto modo di ringraziarli di persona per aver messo nel cappello i tre voti fondamentali per l'assegnazione del mio nome di battesimo. Contro i due di mamma e papà, costituirono la maggioranza assoluta che relegò "Giancarlo" a ingombrante comprimario da utilizzare tassativamente a ogni compilazione di generalità, pena l'attribuzione di un codice fiscale errato.

Per via di Chiarugi e della sua pedata vincente, si sarebbe detto che ero destinato a ingrossare le fila della tifoseria milanista e che, arrivata l'età in cui le partite in tv iniziano a interessare più dei cartoni animati, avrei dovuto legare il mio innato, italico e cattocalcistico senso di appartenenza ai colori rossoneri. Ma, giunto quel giorno, non ero ancora uno che si lascia impressionare da segni del destino, rovi ardenti e romanticherie varie e trovai naturale diventare un convinto interista, lasciando intravedere già in fase preadolescenziale una preoccupante vocazione all'autolesionismo. Smisi presto, per fortuna, all'età in cui le partite in tv iniziano a interessare meno delle femmine (scatto non automatico), per cercare nuove e più interessanti forme di dipendenza. Ovviamente l'Inter vinse lo scudetto l'anno dopo. 

Non ho mai pensato di scrivere a Chiarugi per informarlo di questo nostro sodalizio astrale. So che è superfluo. Un giorno ci incontreremo nel bar di un autogrill e ci riconosceremo. Io gli dirò sottovoce la data del sedici maggio millenovecentosettantatré e lui scuoterà la testa, rivelandomi che in realtà il suo successo più importante è stato lo scudetto con la Fiorentina nel '69.

(foto scattata nel parcheggio di un Decathlon, fine estate 2018)

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