Sentendomi profugo, cerco rifugi e, nel farlo, so di dover contare sui soli interstizi, gli spazi di giunzione tra i diversi mattoni della confusione, ampi come masse continentali.
La libreria, questa libreria, è uno di questi esigui anfratti in cui, nel fragoroso mondo, il "silenzio" mi si va a nascondere. Scacciato e raro, rifiutato e dignitoso, ne ho ritrovato un pezzo qui. Ecco, l'ho evocato, non so farne a meno, tanto mi sento minacciato dal frastuono. L'ho corredato di quelle virgolette che dovrebbero sempre essere necessarie per questa parola un po' ingenua che, tra le mie mani, sintetizza e sottende altro rispetto alla sua accezione più prossima alla fisica acustica, ossia l’idea di un habitat ideale del raccoglimento e della scoperta.
Mi indirizzo alla quiete come un Graal inafferrabile, un cancello aperto su una migliore dimensione e su possibili rivelazioni, ma so quanto sia sciocco pretendere che la sua realizzazione e la relativa schiusa di questo varco passino da un'improponibile sottrazione assoluta di decibel. È confortevolmente silente anche la giusta collocazione di pochi, carezzevoli impulsi. Possono essere centellinati, come accade tra queste pareti, da un discreto impianto di riproduzione audio impegnato a sussurrare il suo ruscello di Coltrane o clavicembali temperati, o provenire da una conversazione densa ma breve ed essenziale, che non indulge a ridondanti affastellamenti di mezze frasi e botta e risposta impilate in crescendo, una sull’altra.
Dall'esperienza in questo specifico ambiente non posso trarre un postulato valido per ogni altro luogo simile o ad esso apparentato, poiché non tutte le librerie restituiscono la stessa percezione, e questo dipende da vari fattori, alcuni dei quali eludono la volontà di chi le conduce e le frequenta. Pur nella sua dimensione ridotta, questo avamposto di scaffali pieni mi appare ampio e solido, tanto da distinguersi come un landmark, un riferimento rispetto ad altre bolle di pace che mi si rivelano fragili, costantemente assediate, ennesimi rifugi provvisori a cui ricorrere e dai quali fuggire una volta che il loro guscio viene incrinato dal rumore, case e abitazioni comprese.
Mi comporto come un nomade che passa da uno all’altro di questi luoghi, frustrato e senza requie. Accampo una tenda anche qui, per un po', dopo che con Franca, parlando, abbiamo finito col pattuire il germoglio di una mostra, una narrazione per immagini, prossima a venire, in cui cercherò di raccontare proprio di questa incessante rincorsa.
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