Ringraziando "L'indice" e Claudio Panella, autore di questo articolo
Nella sua introduzione all’edizione italiana del romanzo Strada sdrucciolevole (Einaudi, 1977) di Max von der Grün, Cesare Cases scriveva: “Sempre mal vista e anatemizzata anche da molta sinistra, la letteratura operaia è dura a morire.
Le ragioni della condanna possono essere molte e valide ed esse
sembrano essere confermate dall’esperienza, che è una conferma decisiva,
poiché, come dice il detto inglese caro ad Engels, la prova del pudding
sta nel mangiarlo. Il pudding della letteratura operaia non ha buon
sapore. Resta il fatto che la classe operaia esiste e che nessuno ne
contesta l’importanza, anche se non è convinto che essa sia – o sia
ancora – il soggetto potenziale di una rivoluzione atta a por fine ad
ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E resta il fatto che nella
produzione letteraria occidentale, almeno quantitativamente gigantesca,
non se ne parla quasi mai”.
Nel
romanzo citato, l’ex-minatore Grün racconta la storia di un operaio
spinto a rivoltarsi contro le norme di buona condotta imposte alla sua
classe dalla scoperta che le riunioni sindacali dei suoi compagni
vengono spiate dalla direzione. Da più di un secolo, la letteratura
stessa ha rappresentato un terreno di conflitto tra assimilazione e
resistenza ai codici borghesi degli scrittori provenienti dalle fila del
proletariato. Lo stesso Grün alternava libri di inchiesta a romanzi,
convinto che per comunicare con la classe operaia che si stava sempre
più imborghesendo e con la borghesia proletarizzata o solidale con i
lavoratori bisognasse appropriarsi di ogni mezzo di produzione
letteraria, compresi quelli tradizionalmente preclusi al proletariato.
Negli ultimi anni, si è diffusa anche in Italia una nuova letteratura narrativa che gioca consapevolmente con le forme del romanzo e del memoir per usarle in modo da promuovere un contro-discorso antitetico a quello dominante sul destino delle lotte operaie
del secolo scorso e di quelle a noi contemporanee. Con in più
l’obiettivo di offrire ai lettori un pudding servito a regola d’arte,
gustoso anche quando il suo sapore è dolceamaro.
Tale
proposito è esplicitamente alla base di una collana inaugurata pochi
mesi fa dall’editore Alegre e dal nome che è tutto un programma:
“Working class”. A curarla è lo scrittore Alberto Prunetti, già autore
di Amianto. Una storia operaia (Alegre, 2014) e di 108 metri. The new working class hero
(Laterza, 2018). Se nel primo titolo egli aveva saputo raccontare in
modo documentato ma narrativamente articolato la morte del padre Renato,
ammalatosi per l’esposizione a fibre di asbesto, e la propria personale
esperienza di traduttore e letterato precario, il secondo romanzo dà
voce agli emigranti italiani che lavorano nelle latrine e nelle cambuse
del Regno Unito neoliberale post-thatcheriano, con un piglio narrativo
degno di Stevenson e un pastiche linguistico sorprendente. Difatti, il manifesto della nuova collana redatto da Prunetti annuncia la pubblicazione di testi
firmati da chi ha vissuto esperienze di lotta e di lavoro ma che
riescono ad “andare oltre il racconto testimoniale e vittimario”
concludendosi con questa dichiarazione d’intenti: “Continueremo a
spingere le scritture operaie sulla montagna dell’industria editoriale,
un passo alla volta, in salita. È un lavoro da titani. È il lavoro di
Sisifo. Ma nessuno può farlo meglio di noi. (Bisogna immaginare Sisifo
felice)”.
I primi titoli disponibili della serie “Working class” sono Ruggine, meccanica e libertà (2018) di Valerio Monteventi e la nuova edizione del piccolo classico Figlia di una vestaglia blu
(2019) di Simona Baldanzi. Monteventi, figlio di militanti comunisti
emiliani, negli anni settanta volle fortemente diventare operaio
trascorrendo più di dieci anni tra le linee di produzione della Ducati,
da delegato di reparto, e nel 1980 subì pure una carcerazione preventiva
di un anno prima d’essere prosciolto da un’accusa inconsistente di
fiancheggiamento a gruppi terroristi. Nel suo romanzo autobiografico, i
quaderni scritti in prigione riemergono alla vigilia di una delle
iniziative sociali intraprese dal narratore ormai ex-operaio, un corso
di meccanica per i detenuti della casa circondariale Dozza di Bologna,
occasione di apprendere con un mestiere anche l’etica e la libertà di un
lavoro d’officina di segno diverso da quello iper-sfruttato dal
neoliberismo attuale.
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C. Panella è dottore di ricerca in letterature comparate
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