Il più grande dono che Ungaretti mi fece fu una giornata a Fiumicino. Ancora oggi non so come avesse potuto accorgersi che stavo male, fatto sta che insistette per accompagnarmi, già di primo mattino, dall'albergo all'aeroporto e aspettò fino all'ora del volo, aspettò con me un aereo che partì soltanto la sera, e così perse un'intera giornata in mezzo al rumore infernale dell'aeroporto, si occupò di me cercandomi un posto tranquillo, fece portare dello champagne e, con fare misterioso, dispiegò sul tavolo quattro portafortuna, che da allora tengo sempre con me, in viaggio e in casa, tra i quali uno antico, cinese, regalatogli una volta da Jean Paulhan e che quindi io non volevo accettare. Ma Ungaretti disse, in tono rassicurante : io non ho più bisogno di nulla, ho già avuto tutto. Lei invece ha ancora bisogno di qualcosa, e questo la proteggerà.
da " A occhi aperti ", Adelphi 2025
...dedicato al Dottor P. che tanto si è preso cura della libraia
La libraia oggi sente bisogno di ringraziare paolo nori che con le poesie raccolte in " E questo cielo e queste nuvole" Crocetti Editore 2025, è riuscito a farla ridere un giorno in cui lei aveva tanto bisogno di ridere.
La libraia oggi sente bisogno di ringraziare paolo nori che con le poesie raccolte in "E questo cielo e queste nuvole", Crocetti editore 2025, è riuscito a farla piangere un giorno in cui lei aveva tanto bisogno di piangere
Ad un certo punto, era l’estate del 2013, buona parte del jet set artistico di Manhattan sale su lussuose limousine dai vetri oscurati e si dirige verso il Bronx. Destinazione? Forest Houses, un project di
quattro torri da quattordici piani nel cuore di un complesso di
edilizia popolare da 1.400 appartamenti, abitati per il 58% da
afroamericani e per il restante da ispanici. Lo fanno per inaugurare un monumento dedicato a uno dei pensatori marxisti più influenti del Novecento, Antonio Gramsci, in una zona della metropoli dove il sottoproletariato è una realtà definitiva.
Il monumento a Gramsci di Thomas Hirschhorn
Il miracolo di questo esodo lo compie Thomas Hirschhorn,
artista svizzero di fama internazionale e spirito militante che sceglie
uno dei luoghi più periferici e stigmatizzati della grande mela per
erigere il suo Gramsci Monument. Non si tratta di una statua né di un’opera celebrativa, è il tentativo di costruire un luogo ex novo,
dentro un luogo già connotato da una evidenza sociale che è anche
economica, politica e oggi, mentre il South Bronx è in via di
gentrificazione, perfino speculativa. Con intuizione artistica unica e
geniale, Hirschhorn costruisce, insieme a diciassette giovani del
quartiere, una grande struttura in legno, con scritte e immagini fatte a
mano, seguendo il suo consueto stile “povero”, immediato e rude.
L’opera di Thomas Hirschhorn
Il monumento è
una struttura complessa, vivente, un centro culturaletemporaneo e
autogestito: bar, biblioteca, museo, scuola d’arte, sala conferenze,
radio, redazione giornalistica e un sito web costituiscono quest’opera d’arte totale e locale, comunitaria, aperta ogni giorno a incontri, letture, laboratori, dialoghi e riflessioni partecipate dagli abitanti del project. La scena dell’arte qui non esiste. Il Gramsci Monument non è pensato per essere esposto, mostrato su quel palcoscenico che è il museo, e tutti quei white cube che ne imitano lo spazio. All’epoca, Forest Houses rappresenta per l’artista un anti-luogo che semplicemente non esiste su molte mappe “che contano”. Il gesto creativo diventa un atto di presenza politica e poetica in
un contesto marginale, ma pienamente urbano e profondamente reale; è un
fare arte lì dove non arrivano il mercato, le fiere, i collezionisti, i
capitali e soprattutto non arrivano i turisti.
Thomas Hirschorn, Gramsci Monument
L’opera nel South Bronx
Creare
un luogo artistico in un anti-luogo come Forest House può cambiarne la
percezione e quindi il suo destino: è quel che si augura l’artista. Fin
dal principio, il suo intento è quello di costruire un dispositivo per “far vivere un pensiero”,
quello gramsciano, in una comunità di persone che ignorano la figura
del comunista sardo, ma ne condividono la voglia di riscatto. “Mi interessa cosa un monumento può produrre ogni giorno”, mi dice Hirschhorn quando salgo a trovarlo in una giornata afosa di quel luglio ormai lontano. “Non miro alla celebrazione passiva di una figura” continua.
Abiterà il suo progetto per i 77 giorni della sua durata, accogliendo i
residenti e dando loro la parola in un luogo “protetto”. Insieme a
loro, farà crescere organicamente il “monumento”, caricandolo di
contenuti e creando ogni giorno un quotidiano, così come un sito web. A
quella data, Hirschhorn ha già creato “monumenti filosofici” dedicati a
Spinoza, Bataille e Deleuze, ma in quei progetti la sua presenza era
stata marginale.
Intervista a Thomas Hirschhorn
Realizzato con la collaborazione della Fondazione Gramsci, il monumento vanta un piccolo “museo” che espone gli oggetti usati in carcere dal fondatore de L’Unità,
l’organo ufficiale d’informazione del Partito Comunista Italiano andato
in stampa dal 1924 fino alle ripetute chiusure recenti e che per un
secolo ha accolto gli articoli dei grandi intellettuali italiani: un
giornale che neanche il regime fascista riuscì a estinguere e per il
quale sono salito anche io nel Bronx, quel giorno lontano, per
raccogliere il pensiero di Thomas. “Mi basta che conoscano il nome Gramsci, o la sua data di nascita, è un buon inizio” mi confessa, mentre un afroamericano infila occhiali da vista simili a quelli di Gandhi, e inizia un reading di poesie scritte da lui per il vicinato e mentre alcuni bambini si avvicinano per capire cosa ci faccia questo luogo extra-terrestre in mezzo al loro cortile condominiale.
Gramsci in America
Questo strano
luogo, apparso come un fungo, è un motore relazionale, un laboratorio di
possibilità: il progetto ha un’evidente valenza politica, anche se
Hirschhorn insiste sulla centralità della forma. “Sono un artista”, mi dice, “non un attivista, ma la forma deve incontrare la vita”. Ecco un topos delle
avanguardie, di un’arte che si pensa come produttrice di
“emancipazione”, un concetto per il quale Gramsci si è battuto e per il
quale è stato recentemente molto amato e molto studiato, proprio negli
Stati Uniti d’America. Ben più, forse, che nella sua Italia.
Visit Beautiful Vietnam, il cui sottotitolo originale recitava ABC delle aggressioni (ieri come oggi)
raccoglie i testi che Günther Anders ha dedicato alla guerra del
Vietnam. Membro del Tribunale Russell che nel 1967 condannò i crimini di
guerra compiuti dall’esercito statunitense, Günther Anders sostiene che
la guerra del Vietnam ha inaugurato un nuovo tipo di guerra. Una guerra
in cui la superiorità della forza armata dell’aggressore è tale che
l’esito del conflitto appare fin dall’inizio scontato, senza speranza
per l’aggredito. Ma non per annettere una nuova provincia all’impero; lo
scopo dell’aggressione è costringere la parte attaccata a riconoscere
una forma di tutela morale, accettando di entrare nella zona di
influenza politica dell’aggressore.
Di questo libro, finora inedito in italiano, proponiamo qui due voci che sembrano interpellare più che mai il nostro presente.
Secoli di devastazione capitalista e coloniale del pianeta e dei suoi
abitanti hanno prodotto la crisi ecologica, politica e sociale in cui ci
troviamo ormai da tempo. I miti del progresso e dello sviluppo che sono
alla base del progetto distruttivo della modernità hanno cancellato i
legami che ci uniscono agli altri esseri viventi, riducendo la Terra a
un bacino di risorse da mercificare. Nei saggi raccolti in "Futuro
ancestrale" Ailton Krenak attinge dal pensiero indigeno e da altre
cosmovisioni tradizionali per esortarci a prendere coscienza una volta
per tutte dei danni causati dall’antropocentrismo, da una visione del
futuro fondata sullo sfruttamento e l’oppressione di altri esseri, umani
e non. E ci invita a immaginare un altro futuro, un futuro ancestrale,
già presente nel qui e ora in ciò che esiste attorno a noi. Con un
linguaggio profondamente poetico, che possiede il ritmo e la gentilezza
dell’oralità, Krenak ci ricorda che le piante, gli animali, i fiumi che
con noi abitano il pianeta ci riconnettono al nostro passato e,
rivelando i cicli vitali della Terra, ci aiutano a ripensare i modi per
conservare e recuperare la vita.
Questa bacheca è una rappresentazione di una possibile mappa della memoria di una persona, almeno di quella della mia senza scomodare altri/e che potrebbero non apprezzare la metafora.
Vi si trova frammenti di ricordi più o meno grandi fissati più o meno solidamente e che, come tessere di un puzzle, costruiscono le storie che noi ricordiamo vere ma che sono più probabilmente sceneggiature ampiamente rimaneggiate di ciò che abbiamo o che oggi crediamo di aver vissuto. Ogni tanto un frammento cade e rimane solo una puntina metallica a sottolineare che lì c’era un ricordo ormai perduto.
Adulti, provati dal tempo, ma luminosi. Semitrasparenti.
Due numeri zero: senza passato, senza peso, senza somma.
Si incontrarono in un punto qualsiasi del mondo.
Il maschio disse: "Non porto ricordi. Sono vuoto come un uovo non deposto."
La femmina rispose: "Non porto progetti. Sono vuota come la parola taciuta."
Si sedettero l’uno di fronte all’altra.
Nel vuoto che li circondava, iniziarono a parlare a voce bassa, di niente e di tutto.
Ogni parola che scambiavano era un fiore che sbocciava per pochi secondi, poi svaniva.
Non fecero patti. Non cercarono definizioni.
Solo respiravano insieme, e ogni respiro era un frammento di storia che si scriveva e si dissolveva.
A un certo punto lei disse: "Abbiamo fatto un giardino."
Lui guardò intorno e non vide nulla. (Ma sentì — che c’era.
Camminarono via.
Due numeri zero, ancora zero.
Eppure infinitamente pieni.
Camminarono via portati dal rigirarsi delle reciproche presenze. Uno nell'altra. Non era un ricordo ma una nuova fioritura. Si erano scambiati lo sguardo più puro e ora ognuno vedeva con gli occhi dell'altro. Mentre si allontanavano sapevano chiaramente che ogni passo li avvicinava a un luogo ignoto in cui si sarebbero incontrati di nuovo. E il cuore accelerava, i passi acceleravano, erano sempre più distanti e non avevano altra meta che trovarsi ancora.
EPILOGO
(L'amore ci salva dalla filosofia).
Due numeri zero, due cerchi, due anelli congiunti.
Sono il simbolo dell'infinito? Il paradiso è un giardino a due posti?
Avrebbe tutti i colori del mondo — ma meravigliosi.
Due benedetti, radioattivi. non contengono radio, ma emettono radiazioni d'amore, radiazioni di verità, radiazioni di mistero, radiazioni di magia. Sono spettacolari.
Immaginiamo:
Un poveretto usurato dall'apatia sente la folata di uno strano vento e si volta.
(L’apatia lo aveva arrotolato su sé stesso come un bozzolo che non promette più alcuna farfalla)
Sente colpo di vento — ma non un vento normale. Non porta né freddo né polvere. Una folata strana, che sembra accarezzargli la pelle dall’interno
"Cos’è stato?"
Vede allora due figure che si allontanano, leggere come un suono.
Ma l’aria che li segue… scintilla.
Non è un’illusione: il suo cuore fa un piccolo, incerto battito in più. Come un bambino che si risveglia da un lungo sonno e chiede, ancora addormentato: "Posso venire anch’io?"
Il poveretto resta lì, fermo.
Non li raggiungerà mai.
Ma ormai il vento è dentro di lui
La propagazione è cominciata.
Next Stop: La vita quotidiana nello Stato di Grazia
I numeri zero si incontrano quando cadono fuori dalle rispettive storie vissute e iniziano a fluttuare nel sogno
Quando cadono fuori dalle rispettive storie vissute, iniziano a fluttuare nel sogno.
O
Gli amanti zero si costituiscono infinito. Tutti gli zero sono buchi nelle storie altrui. Quando qualcuno intercetta uno zero la sua storia in quel punto perde la trama. Quando più zeri intrecciano le loro narrazioni si crea una larga smagliatura nella coscienza collettiva.
Lo zero è un buco narrativo ambulante.
Non forza la trama, non la distrugge: ne sospende temporaneamente la coerenza.
Effetti tipici quando qualcuno intercetta uno zero:
improvvisa dimenticanza di intenti
lapsus comportamentali
emozioni incongrue
aperture improvvise di significato o illuminazioni intuitive
senso di vertigine e di libertà
Guardiamo una città. Due zero accorpati in situazioni prolungate risultano in prima battuta interessanti poi divertenti poi sospetti poi sgraditi. ma: illeggibili. ma: troppo impegnativi per essere presi in considerazione, ma: troppo ingombranti per rientrare nel campo cognitivo.
VA A FINIRE CHE GLI ZERO STANNO MEGLIO IN PARADISO.