mercoledì 23 luglio 2025

CACIO, PEPE E RESISTENZA

Alcuni sono benedetti da più talenti. In dotazione ne hanno magari uno che spicca su tutto il resto, li definisce agli occhi di chi osserva da fuori, è il loro tratto principale, ma ne serbano altri del tutto divergenti a corollario. Una o più abilità nascoste che sono spesso digressioni inaspettate della loro personalità. Quasi tutti sanno, per citare esempi illustri, che Einstein poteva dirsi un discreto violinista e che Napoleone, oltre ad essere un coscienzioso massacratore di carne da cannone, sapeva dedicare ai giardini una certa e appassionata sapienza botanica. Pur senza aver conquistato l’Europa o svelato i segreti della Fisica, Daniele può accedere al novero di questi rimarchevoli soggetti poiché, oltre a ricoprire il ruolo di chef, si rivela come cabarettista dai tempi comici perfetti e, anche se non esercita professionalmente che il mestiere culinario, credo che dovrebbe affiancare, alla prima, la sua seconda dote, a beneficio tanto della clientela quanto del suo successo commerciale.

Sono tornato nel suo locale, che avevo scoperto mesi addietro durante un giro di esplorazione fotografica nel borgo abbandonato di Rovaiolo, allo scopo di raccogliere la sua storia, oltre che per mangiare bene. Non sapevo se avrebbe parlato con piacere delle circostanze che hanno portato un figlio di Roma Nord ad aprire una trattoria nel cuore più profondo della Val Trebbia. Della capitale e dei suoi dintorni ha trasferito pietanze e accento, tanto che parlerei di cucina romanesca, perché mangiare e cucinare sottendono anche un lessico e un modo di parlare. Gricia, Cicoria, Cacio e pepe, Saltimbocca e tutta l’orchestra. Con la parlata che fa pendant. E niente, c’è che voglio sapere. Com’è finito quassù. E perché.

Mi presento in un infrasettimanale a ora di pranzo. La Locanda Rosa occupa, isolata nel verde, una curva della tortuosa provinciale che collega Bobbio a Genova, la provincia di Piacenza con la Liguria. È una strada in ugual concentrazione densa di splendide ghiandaie, stabili ed autoctone, in transito volante da un lato all’altro della carreggiata, e semafori mobili alimentati a batteria, nominalmente transitori ma tendenti anch’essi allo stanziale, per via dei numerosi cantieri resisi necessari per ovviare a quelle frane che Nino dispensa con generosità rigirandosi tanto nel sonno quanto nella veglia. Dopo molte curve e attese al cospetto di luci rosse, caterpillar e scorci meravigliosi sul profondo fondovalle scavato dal fiume, raggiungo, nel territorio di Cerignale e Ponte Organasco, la casupola di Daniele. Fa tutto lui, sala, cucina e cassa. Entro, mi accomodo, ordino e cerco di cogliere un attimo per interloquire ma è decisamente molto indaffarato col traffico dell’ora di punta. Alla mescita del vino, però, gli anticipo che, se si affaccerà un attimo di quiete, mi piacerebbe chiedergli un paio di cose. E un paio, in effetti, me ne racconterà. Di quintali. Drammatiche peripezie, ma snocciolate al ritmo di un Helzappoppin con consumata tecnica da stand-up comedy.

Rosa era una nonna, ma non sua. Bensì di una famiglia di amici che, al momento di cedere la vecchia attività che ne onorava il nome, ha pensato a lui, alla sua bravura e alla sua ricerca di un locale da gestire in autonomia. Lui in realtà lo cercava a Roma. “Ma forse ti va bene uguale”. Daniele accetta, dà una pulita, si accolla la burocrazia e apre il tre marzo.

Il tre marzo duemilaventi.

Il nove si entrava tutti in lockdown.

È così che inizia l’assurdodissea di questo ragazzone trovatosi ad avviare la sua enclave gastronomica in territorio straniero nell’esatto momento in cui divampava il circo di restrizioni dovute alla pandemia. C’è un ritaglio di giornale, lo storico Libertà di Piacenza, attaccato a uno scaffale dietro il bancone. È un articolo dell’epoca su di lui, con tanto di foto. Titolo:

Ristorante romano in piena montagna. “Ho aperto il tre marzo, non mi butto giù”

La quarantena la passa a scoprire la fauna selvatica, a passeggiare liberamente nei boschi e a costruire arredi per l’esterno del ristorante. Ogni tanto un uomo anziano che vive da solo, lì vicino, si fa passare le sigarette dalla finestra come se fossero barre di uranio, con guanti, maschera e visiera. L’attività più emozionante del periodo è, però, il regolare confronto con i piantoni di un check point Charlie improvvisato che è, allo stesso tempo, poesia, letteratura popolare, apparizione felliniana e testimonianza delle vette di abdicazione alla logica e al buonsenso raggiunte in quei mesi. Vale la pena di raccontare almeno il primo incontro con questa improbabile istituzione.

C’è che, virus o no, ogni tot Daniele deve fare la spesa e il centro più vicino è il comune di Ottone, a qualche chilometro di distanza. Parte in auto e, curva dopo curva, raggiunge l’ingresso del paese, che trova pericolosamente sbarrato da dei new jersey di cemento e presidiato da due non ben connotati soggetti, istruiti da un sindaco, zelante oltre il suo, a richiedere documenti e autorizzazioni di transito. Ma siete carabinieri? No, impiegati del comune. Ah. Riferisce Daniele della sua ammirazione per la scelta del personale di questo estemporaneo posto di blocco, ricaduta su due carachter in netto contrappunto fisico tra loro, tanto da essere ribattezzati da lui stesso “Stanlio e Ollio”. Dopo qualche attimo di esitazione, in difetto di magici lasciapassare e ponderati il bisogno improrogabile di generi di prima necessità e la scarsa se non nulla liceità della dogana di controllo, il coraggioso ristoratore opta per una strategia in stile Omaha beach e spinge (a moderata, se non lentissima velocità) il suo automezzo oltre le barriere fino a raggiungere, venti (20) metri dopo, il piccolo supermercato che è la sua destinazione. Sgasa quel pelo per far ringhiare torvo il motore, Ollio fa un saltello e la via è libera. Credo sia stata la forzatura di posto di blocco più al rallentatore della Storia. Una volta poggiati trionfalmente i piedi sul suolo appena conquistato viene avvicinato dal duo di guardia, che però non può profferire parola allorché il nostro eroe gli intima: “Oh, attenzione che non siete a due metri di distanza”. Dpcm canta. Chissà se mai dimenticheremo questo cacofonico acronimo e tutte le meravigliose acrobazie compiute attorno ai suoi dettami, tanto da chi lo dispensava, quanto da chi lo riceveva. Fu comunque in questo modo che Daniele scavalcò i draghi, ebbe accesso alle vettovaglie e, per farla breve, strinse amicizia con le guardie fuori ordinanza, con il sindaco e con il maresciallo dei carabinieri (che cazzierà il primo cittadino per l'arbitrario posizionamento dei pericolosi bastioni di cemento sulla carreggiata della strada principale). Si convergerà verso un patto di non belligeranza fondato sul buon senso e il rilascio delle autorizzazioni necessarie.

Per il resto, la valle censisce e registra il forestiero alla stregua di una barzelletta o di un personaggio della Commedia dell'arte.

“Ue’ romano, figa, ci hai portato la pandemia”

“Ue’ romano, belìn (siamo al confine con tre province), ci hai fatto cadere la neve”

“Ue’ romano, ci hai bloccato la strada”

Ecco, la strada. Bella, e divertente quasi come un ottovolante. Tutti dossi e cunette naturali. La terra, le pietre e gli alberi si danno una scrollata e scuciono qua e là pezzi di asfalto che fino a poco prima correvano in piano. Guarda lì, ora sono due lembi di una fettuccia grigia rotta, uno che guarda l’altro più in basso. Li ricuciamo e posizioniamo il semaforo mobile. Ma, ripeto, è bella. Spettacolare. Alcuni affermano che Goethe l’avrebbe definita la valle più bella del mondo. E ci si può anche credere perché, a parte il fato che non vi sono prove certe di un suo transito, c’è da dire che Goethe mi sa tanto di uno dai facili e sospetti entusiasmi. Me lo immagino, che accetta mazzette e cesti gastronomici dalle pro loco locali di tutta Italia in cambio di recensioni a cinque stelle e attribuzioni di superlativi assoluti. Comunque, Goethe o non Goethe, la ss45 è un percorso meraviglioso. Nella bella stagione lo si intraprende con piacere. Anche nel Duemilaventi, perché i produttori di Dpcm decidono che ad un certo punto non possono ammazzare senza lanciare uno straccio di salvagente un’intera stagione turistica e concedono l’ora d’aria a tutti, con le solite limitazioni tutte da valutare e recepite con alzate di sopracciglia sempre più estreme ("caffè solo all’aperto, ma in autostrada ci si può assembrare in autogrill, mi sono sentito preso per il culo", racconta Daniele). Insomma, d’estate si riprende a sognare la vita e i guadagni e il nostro eroe può ingranare un minimo ma, come molti altri, è tagliato e già vede all’orizzonte l’incognita della stagione fredda. Pensa, allora, col timore di nuove restrizioni, a come estendere il periodo di esercizio e portare gente nel suo locale anche d’inverno. Chiediamo ai ragazzi.

“Ragazzi, che fate qua a dicembre, gennaio…”

“Ue’, figa, beviamo birra”

“Ue,’ belin, guardiamo partite”

Dati sufficienti per un piano di battaglia che prevede l’acquisizione di un account Sky per esercizi commerciali. Che viene attivato proprio all'inizio della stagione, a fine settembre. Perfetto.

Ora, per cortesia, cerca sul web “crollo del ponte Lenzino”. Vedrai che è avvenuto il tre ottobre. Era il ponte che attraversava il Trebbia sulla provinciale tra Corte Brugnatella e Cerignale, circa un due chilometri prima di raggiungere la Locanda Rosa per chi arriva da Piacenza e Bobbio. Il suo cedimento taglia in due la valle e lascia quasi del tutto isolato il ristorante. Poche settimane prima il fratello prete gli aveva benedetto muri e suppellettili. Con un’amorevole telefonata, Daniele lo dispensa da ulteriori interventi. E intanto, da fuori

“Ue’, figa, romano, ci hai fatto cadere il ponte!”

È il 2025: mentre scrivo queste righe il nuovo ponte è ancora in costruzione e si transita su uno provvisorio, comprato, non si sa perché, dagli americani. I semafori mobili godono di ottima salute, tanto da moltiplicarsi spensieratamente, e lo stesso vale per le ghiandaie. E Daniele è ancora lì, e fa una cicoria saltata che levati e pure dell'altro. A chi gli chiedeva di virare l'offerta sulla classica cucina piacentina ha risposto con la determinazione di chi crede in una missione evangelica. Ha resistito a pandemie, ponti crollati, posti di blocco improvvisati, prese in giro e situazioni da teatro comico della profonda provincia. Come quando dalla vicina Marsaglia gli arrivò una telefonata, nel periodo in cui aveva ripiegato a Roma e se ne stava in terrazzo a fumare, deciso a mollare tutto. “Ue’ romano, io mi devo sposare e vorrei fare il pranzo da te”. A Daniele dev’essersi illuminato il volto come al bandito Miranda che, in Giù la Testa, va in estasi immaginando la banca di Mesa Verde come l’Eldorado che risolverà tutti i suoi problemi. Un paio di calcoli sui coperti, minimo-minimo un matrimonio mi porta un ottanta persone. Salvo essere riportato bruscamente coi piedi per terra.

“Va bene, quanti sarete?”

“Eh, figa, un po’. Una decina”

Silenzio.

“Oh ma guarda che mia moglie vuole la salvia fritta”

Risilenzio

“Romano, ci sei?”

Che vuoi che ti dica, Daniele è un eroe tutto cacio, pepe e resistenza, e tra un’apocalisse e l’altra ha illuminato questo angolino di valle con qualcosa di insolito, ottimo al palato e, per chi ha voglia di chiacchierare e assistere alle sue doti di intrattenitore, gustoso anche da scoprire a parole e aneddoti. Ne approfitterò a varie riprese, finché c’è. “Voglio trasferirmi un po’ più a valle”, mi confida. Ora lo hanno raggiunto moglie e figlia, che fa l’alberghiero e, dicono, cucina meglio di lui. Ma i trasporti sono lunghi e problematici, la logistica pure. “Conto che questo sia l’ultimo anno qui”. Questo luogo, dopo Daniele e nonna Rosa, avrà un terzo capitolo e un ulteriore futuro? Se lasci a piedi il ristorante e fai neanche cinquanta metri dopo la curva, al culmine di una salitella ti imbatti in una delle possibili e frequenti risposte circa l’esito dell’imprendere sulle verdi e fagocitanti spalle di Nino. Si tratta del fantasma di una trattoria abbandonata sul bivio per Ponte Organasco, uno di quei luoghi dai cui muri spuntano ancora le zanche dell’insegna della postazione telefonica Sip. Seguirò Daniele nelle sue prossime avventure, senza dubbio, ma anche il destino della Locanda Rosa.














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