giovedì 31 luglio 2025

Patrizia Cavalli

 Amore semplicissimo che crede alle parole,

poiché non  posso fare quello che voglio fare

non ti posso abbracciare né baciare

il mio piacere è nelle mie parole

e quando posso ti parlo d'amore.

Così seduta davanti a un bicchiere

in un posto pieno di persone  

se la tua fronte si increspa veloce

io parlo ad alta voce nell'ardore

tu non mi dici fa meno rumore

che ognuno pensi pure quel che vuole

io mi avvicino sciolta di languore

e tu negli occhi hai un tenero velame

io non ti tocco, no, neanche ti sfioro

ma nel tuo corpo mi sembra di nuotare, 

e il divano di quel bar salotto

quando ci alziamo sembra un letto sfatto. 

 

Logos Edizioni se ne va



Logos Edizioni, casa editrice specializzata in libri illustrati e fumetti che ha pubblicato autori come Lorenzo Mattotti, Chris Van Allsburg, Thomas Ott e Akab, chiuderà alla fine del 2025. 

mercoledì 30 luglio 2025

da "Invocazione all'Orsa Maggiore", Ingeborg Bachmann

 

    "Bocca che passò la notte nella mia bocca,

      occhio che sorvegliò il mio occhio,

     mano...

 

      non sono io-

      Sono io.

      Aspettati molto"

sabato 26 luglio 2025

Arcifesta 2025


 

Di animali che ne sanno una più del diavolo


(foto di Roberto)

Gaza

 L’ultima lettera, promossa dal gruppo pacifista Soldiers for the Hostages, è stata inviata qualche settimana fa a Netanyahu, al ministro della Difesa Katz e al capo delle forze armate con la firma di una quarantina di alti ufficiali dell’Unità 8200 dell’Idf, i quali hanno annunciato che non parteciperanno più a operazioni di combattimento «chiaramente illegali» spiegando che il governo sta conducendo a Gaza una guerra infinita e ingiustificata

 

                                        da ' Avvenire  ' che ringraziamo

È un tempo che ci raggiunge. - e dice: “Guardami.”



instāre = stare sopra, essere imminente, premere addosso, incombere.

Instans è ciò che sta addosso, urge, si impone, non può essere evitato.

Quindi l’istante non è un frammento neutro di tempo,
ma qualcosa che preme, che urge, che domina l’attenzione.
È un tempo che ci raggiunge.

  • Nell’antico latino, instans poteva indicare anche un nemico che incalza, una stagione che incombe, un evento inarrestabile.

  • Non è il tempo "qualsiasi", è il tempo necessario, inevitabile.

L’istante è un colpo di tamburo nel silenzio.
È l’attimo che si alza in piedi davanti a te,
e dice: “Guardami.”

È il momento in cui il mondo ti chiama per nome



forma avverbiale da actus («atto, azione compiuta»), participio passato di agere («spingere, muovere, fare»).
L'attimo, quindi, è un atto compiuto: un’azione che si è già consumata, come un lampo.
È tempo che si è appena chiuso, ma che ha lasciato il segno.
Un battito, una scintilla.
In tedesco si tradurrebbe con Augenblick: “lo sguardo di un occhio”.

➤ L’attimo non è mai abitabile: accade e svanisce. È la soglia attraverso cui il presente si dissolve nel passato.
Ma in quell’evanescenza… può accadere il miracolo.

  • L’attimo è un lampo che brucia e lascia la pelle accesa




dal latino momentum, da movimentum («movimento»), a sua volta da movere («muovere»).
Quindi: momento = ciò che muove o ciò che ha il potere di far pendere qualcosa (come nei termini “momento decisivo”, “momento critico”).
Nel latino tecnico, momentum indicava anche il peso che fa inclinare una bilancia.

➤ Il momento ha forza e direzione.
È una zona viva del tempo che agisce, modifica, inclina, conduce.
Il momento è portatore di scelte: non è solo tempo che passa, ma tempo che decide.

  • Il momento è una corrente che trascina e cambia il corso del fiume.



"Adesso" viene dall’italiano volgare e affonda le radici nel latino tardo:

  • ad ipsuma questo (momento)
    oppure

  • ad hoc ipsuma questo stesso (punto/istante)

  • Ma è soprattutto la combinazione ad + eccu(m) + istum che ha dato vita in volgare a forme come:

  • ad istuma questo qui,

  • ad eccum istumecco questo (espressione rafforzativa dell’immediato).

Il passaggio fonologico e semantico ha portato alla forma toscana adesso, nel senso di “in questo preciso istante”.

“Adesso” segna l’irruzione del presente nella coscienza. Non solo “tempo attuale”, ma presenza fenomenica.

In chiave coscienziale (che ci interessa molto), “adesso” può essere visto come:

  • Quantum di attenzione condensata.

  • Istanza di realtà affermativa: ciò che “si dà” e “accade”.

  • Strappo dell’eterno nel flusso: come se la linearità venisse sospesa da un’irruzione qualitativa.

Lo stato di adesso è, in fondo, il campo zero della possibilità:

Tutto ciò che accade, accade adesso. Tutto ciò che può cambiare, può cambiare adesso.

Se incrociamo questo lemma con la riflessione sulle emergenze, potremmo dire che:

  • “Adesso” è una condizione emergente della coscienza.

  • È l’attualizzazione che sottrae informazione al caos e la configura come evento.

  • In un sistema, “adesso” non è solo un punto nel tempo: è la tensione tra potenza e atto.

Adesso è il confine instabile tra ciò che ancora non è e ciò che già agisce.
È il battito dell’universo dove l’evento prende forma, l’attenzione si coagula, e la coscienza decide di essere.



Il termine presente deriva dal latino praesens, praesentis, participio presente del verbo praeesse, composto da:

  • prae- = "davanti, prima"

  • esse = "essere"

Dunque, praesens significa letteralmente “essere davanti”, “essere innanzi a”.

In latino il termine veniva usato tanto per indicare la presenza fisica ("colui che è qui") quanto per il tempo attuale ("ciò che è ora davanti a noi").

Il praesens tempus è ciò che si manifesta davanti allo sguardo o alla coscienza.

 Il presente è ciò che appare, ciò che si offre alla coscienza. In questo senso, è lo spazio dell’accadere, del darsi, del manifestarsi. È un concetto dinamico, non statico.

Qui si collega fortemente con l’idea del “presente” come evento emergente, un’interfaccia tra l’essere e la percezione, tra informazione e consapevolezza.

Essere "presente" significa essere con, prae-esse, "essere per", essere al cospetto, essere in relazione diretta. Il presente è co-esistenza. Da qui il valore del “presente” anche in senso intersoggettivo e spirituale.

Il termine presente ha anche un significato legato all’offerta: un “presente” è un regalo, un dono. Questa accezione non è casuale.

Dare un dono è portarsi davanti all’altro, farsi presenti a lui, esprimendo una volontà di vicinanza, di relazione, di affetto.

Questa duplice valenza temporale e relazionale è profondamente simbolica: il dono è sempre nel presente, come atto di offerta, manifestazione di sé nel qui e ora.


la parola presentimento,  viene da praesentire, dal latino:

  • prae- = "prima"

  • sentire = "percepire, sentire"

Dunque: "percepire prima", intuire prima che accada, sentire un evento prima che si manifesti chiaramente.

Il legame con “presente” non è diretto etimologicamente, ma è fortissimo sul piano semantico e psichico.

Il presentimento è una presenza senza forma, una prefigurazione psichica di ciò che sta per emergere nel campo della coscienza.

Potremmo dire che il presentimento è il futuro che bussa nel presente, o ancora: una pre-attivazione della coscienza verso una possibilità in arrivo, che non è ancora conoscibile razionalmente.

Il presente è il luogo del darsi. Il presentimento è l’annuncio del darsi.

In particolare, presente e presentimento si incrociano nella zona liminale dove la percezione si fa rivelazione.




CONCLUSIONE: 
"FAR FAR AWAY THERE WAS A TIME TO GO, THERE WAS A TIME TO REST" ("ma non è questo il giorno". cit.)

giovedì 24 luglio 2025

Ingeborg Bachmann

" 

 

Io credo che all'uomo un certo tipo di orgoglio sia permesso : l'orgoglio di chi, nella prigione buia del mondo, non si dà per vinto e non smette di occuparsi dello stato delle cose

la Piazza, il Vento

 Oggi la piazza-incanto. Vento, da ovest e da sud.

Desiderio di andare via, come Dorothy nel Mago di Oz 

Basta

 'Migrant Child' di Banksy viene rimosso per essere restaurato'Migrant Child' di Banksy viene rimosso per essere restaurato

mercoledì 23 luglio 2025

Combattere (cerimonia secreta) - Festa del perdono

La punta di un coltello accarezza la pelle

Riporta in superficie il ricordo di quel dolore

Qualcosa che non dovevamo dimenticare

Qualcosa per cui valesse la pena combattere


L’unica cosa che è stata veramente importante

L’unica cosa per cui valesse la pena combattere


Come vecchi mobili nelle case delle nostre famiglie

Ora coperti dalla coltre degli anni e del tempo

Abbiamo dimenticato quelle parole e quei gesti

Abbiamo dimenticato


E se il distacco sono stati gli occhi tristi dei nostri genitori o quel senso di inadeguatezza che ci ha portato tutti dall'altra parte di quel fiume


Quando sono con te so una cosa che dimentico quando sono via

CACIO, PEPE E RESISTENZA

Alcuni sono benedetti da più talenti. In dotazione ne hanno magari uno che spicca su tutto il resto, li definisce agli occhi di chi osserva da fuori, è il loro tratto principale, ma ne serbano altri del tutto divergenti a corollario. Una o più abilità nascoste che sono spesso digressioni inaspettate della loro personalità. Quasi tutti sanno, per citare esempi illustri, che Einstein poteva dirsi un discreto violinista e che Napoleone, oltre ad essere un coscienzioso massacratore di carne da cannone, sapeva dedicare ai giardini una certa e appassionata sapienza botanica. Pur senza aver conquistato l’Europa o svelato i segreti della Fisica, Daniele può accedere al novero di questi rimarchevoli soggetti poiché, oltre a ricoprire il ruolo di chef, si rivela come cabarettista dai tempi comici perfetti e, anche se non esercita professionalmente che il mestiere culinario, credo che dovrebbe affiancare, alla prima, la sua seconda dote, a beneficio tanto della clientela quanto del suo successo commerciale.

Sono tornato nel suo locale, che avevo scoperto mesi addietro durante un giro di esplorazione fotografica nel borgo abbandonato di Rovaiolo, allo scopo di raccogliere la sua storia, oltre che per mangiare bene. Non sapevo se avrebbe parlato con piacere delle circostanze che hanno portato un figlio di Roma Nord ad aprire una trattoria nel cuore più profondo della Val Trebbia. Della capitale e dei suoi dintorni ha trasferito pietanze e accento, tanto che parlerei di cucina romanesca, perché mangiare e cucinare sottendono anche un lessico e un modo di parlare. Gricia, Cicoria, Cacio e pepe, Saltimbocca e tutta l’orchestra. Con la parlata che fa pendant. E niente, c’è che voglio sapere. Com’è finito quassù. E perché.

Mi presento in un infrasettimanale a ora di pranzo. La Locanda Rosa occupa, isolata nel verde, una curva della tortuosa provinciale che collega Bobbio a Genova, la provincia di Piacenza con la Liguria. È una strada in ugual concentrazione densa di splendide ghiandaie, stabili ed autoctone, in transito volante da un lato all’altro della carreggiata, e semafori mobili alimentati a batteria, nominalmente transitori ma tendenti anch’essi allo stanziale, per via dei numerosi cantieri resisi necessari per ovviare a quelle frane che Nino dispensa con generosità rigirandosi tanto nel sonno quanto nella veglia. Dopo molte curve e attese al cospetto di luci rosse, caterpillar e scorci meravigliosi sul profondo fondovalle scavato dal fiume, raggiungo, nel territorio di Cerignale e Ponte Organasco, la casupola di Daniele. Fa tutto lui, sala, cucina e cassa. Entro, mi accomodo, ordino e cerco di cogliere un attimo per interloquire ma è decisamente molto indaffarato col traffico dell’ora di punta. Alla mescita del vino, però, gli anticipo che, se si affaccerà un attimo di quiete, mi piacerebbe chiedergli un paio di cose. E un paio, in effetti, me ne racconterà. Di quintali. Drammatiche peripezie, ma snocciolate al ritmo di un Helzappoppin con consumata tecnica da stand-up comedy.

Rosa era una nonna, ma non sua. Bensì di una famiglia di amici che, al momento di cedere la vecchia attività che ne onorava il nome, ha pensato a lui, alla sua bravura e alla sua ricerca di un locale da gestire in autonomia. Lui in realtà lo cercava a Roma. “Ma forse ti va bene uguale”. Daniele accetta, dà una pulita, si accolla la burocrazia e apre il tre marzo.

Il tre marzo duemilaventi.

Il nove si entrava tutti in lockdown.

È così che inizia l’assurdodissea di questo ragazzone trovatosi ad avviare la sua enclave gastronomica in territorio straniero nell’esatto momento in cui divampava il circo di restrizioni dovute alla pandemia. C’è un ritaglio di giornale, lo storico Libertà di Piacenza, attaccato a uno scaffale dietro il bancone. È un articolo dell’epoca su di lui, con tanto di foto. Titolo:

Ristorante romano in piena montagna. “Ho aperto il tre marzo, non mi butto giù”

La quarantena la passa a scoprire la fauna selvatica, a passeggiare liberamente nei boschi e a costruire arredi per l’esterno del ristorante. Ogni tanto un uomo anziano che vive da solo, lì vicino, si fa passare le sigarette dalla finestra come se fossero barre di uranio, con guanti, maschera e visiera. L’attività più emozionante del periodo è, però, il regolare confronto con i piantoni di un check point Charlie improvvisato che è, allo stesso tempo, poesia, letteratura popolare, apparizione felliniana e testimonianza delle vette di abdicazione alla logica e al buonsenso raggiunte in quei mesi. Vale la pena di raccontare almeno il primo incontro con questa improbabile istituzione.

C’è che, virus o no, ogni tot Daniele deve fare la spesa e il centro più vicino è il comune di Ottone, a qualche chilometro di distanza. Parte in auto e, curva dopo curva, raggiunge l’ingresso del paese, che trova pericolosamente sbarrato da dei new jersey di cemento e presidiato da due non ben connotati soggetti, istruiti da un sindaco, zelante oltre il suo, a richiedere documenti e autorizzazioni di transito. Ma siete carabinieri? No, impiegati del comune. Ah. Riferisce Daniele della sua ammirazione per la scelta del personale di questo estemporaneo posto di blocco, ricaduta su due carachter in netto contrappunto fisico tra loro, tanto da essere ribattezzati da lui stesso “Stanlio e Ollio”. Dopo qualche attimo di esitazione, in difetto di magici lasciapassare e ponderati il bisogno improrogabile di generi di prima necessità e la scarsa se non nulla liceità della dogana di controllo, il coraggioso ristoratore opta per una strategia in stile Omaha beach e spinge (a moderata, se non lentissima velocità) il suo automezzo oltre le barriere fino a raggiungere, venti (20) metri dopo, il piccolo supermercato che è la sua destinazione. Sgasa quel pelo per far ringhiare torvo il motore, Ollio fa un saltello e la via è libera. Credo sia stata la forzatura di posto di blocco più al rallentatore della Storia. Una volta poggiati trionfalmente i piedi sul suolo appena conquistato viene avvicinato dal duo di guardia, che però non può profferire parola allorché il nostro eroe gli intima: “Oh, attenzione che non siete a due metri di distanza”. Dpcm canta. Chissà se mai dimenticheremo questo cacofonico acronimo e tutte le meravigliose acrobazie compiute attorno ai suoi dettami, tanto da chi lo dispensava, quanto da chi lo riceveva. Fu comunque in questo modo che Daniele scavalcò i draghi, ebbe accesso alle vettovaglie e, per farla breve, strinse amicizia con le guardie fuori ordinanza, con il sindaco e con il maresciallo dei carabinieri (che cazzierà il primo cittadino per l'arbitrario posizionamento dei pericolosi bastioni di cemento sulla carreggiata della strada principale). Si convergerà verso un patto di non belligeranza fondato sul buon senso e il rilascio delle autorizzazioni necessarie.

Per il resto, la valle censisce e registra il forestiero alla stregua di una barzelletta o di un personaggio della Commedia dell'arte.

“Ue’ romano, figa, ci hai portato la pandemia”

“Ue’ romano, belìn (siamo al confine con tre province), ci hai fatto cadere la neve”

“Ue’ romano, ci hai bloccato la strada”

Ecco, la strada. Bella, e divertente quasi come un ottovolante. Tutti dossi e cunette naturali. La terra, le pietre e gli alberi si danno una scrollata e scuciono qua e là pezzi di asfalto che fino a poco prima correvano in piano. Guarda lì, ora sono due lembi di una fettuccia grigia rotta, uno che guarda l’altro più in basso. Li ricuciamo e posizioniamo il semaforo mobile. Ma, ripeto, è bella. Spettacolare. Alcuni affermano che Goethe l’avrebbe definita la valle più bella del mondo. E ci si può anche credere perché, a parte il fato che non vi sono prove certe di un suo transito, c’è da dire che Goethe mi sa tanto di uno dai facili e sospetti entusiasmi. Me lo immagino, che accetta mazzette e cesti gastronomici dalle pro loco locali di tutta Italia in cambio di recensioni a cinque stelle e attribuzioni di superlativi assoluti. Comunque, Goethe o non Goethe, la ss45 è un percorso meraviglioso. Nella bella stagione lo si intraprende con piacere. Anche nel Duemilaventi, perché i produttori di Dpcm decidono che ad un certo punto non possono ammazzare senza lanciare uno straccio di salvagente un’intera stagione turistica e concedono l’ora d’aria a tutti, con le solite limitazioni tutte da valutare e recepite con alzate di sopracciglia sempre più estreme ("caffè solo all’aperto, ma in autostrada ci si può assembrare in autogrill, mi sono sentito preso per il culo", racconta Daniele). Insomma, d’estate si riprende a sognare la vita e i guadagni e il nostro eroe può ingranare un minimo ma, come molti altri, è tagliato e già vede all’orizzonte l’incognita della stagione fredda. Pensa, allora, col timore di nuove restrizioni, a come estendere il periodo di esercizio e portare gente nel suo locale anche d’inverno. Chiediamo ai ragazzi.

“Ragazzi, che fate qua a dicembre, gennaio…”

“Ue’, figa, beviamo birra”

“Ue,’ belin, guardiamo partite”

Dati sufficienti per un piano di battaglia che prevede l’acquisizione di un account Sky per esercizi commerciali. Che viene attivato proprio all'inizio della stagione, a fine settembre. Perfetto.

Ora, per cortesia, cerca sul web “crollo del ponte Lenzino”. Vedrai che è avvenuto il tre ottobre. Era il ponte che attraversava il Trebbia sulla provinciale tra Corte Brugnatella e Cerignale, circa un due chilometri prima di raggiungere la Locanda Rosa per chi arriva da Piacenza e Bobbio. Il suo cedimento taglia in due la valle e lascia quasi del tutto isolato il ristorante. Poche settimane prima il fratello prete gli aveva benedetto muri e suppellettili. Con un’amorevole telefonata, Daniele lo dispensa da ulteriori interventi. E intanto, da fuori

“Ue’, figa, romano, ci hai fatto cadere il ponte!”

È il 2025: mentre scrivo queste righe il nuovo ponte è ancora in costruzione e si transita su uno provvisorio, comprato, non si sa perché, dagli americani. I semafori mobili godono di ottima salute, tanto da moltiplicarsi spensieratamente, e lo stesso vale per le ghiandaie. E Daniele è ancora lì, e fa una cicoria saltata che levati e pure dell'altro. A chi gli chiedeva di virare l'offerta sulla classica cucina piacentina ha risposto con la determinazione di chi crede in una missione evangelica. Ha resistito a pandemie, ponti crollati, posti di blocco improvvisati, prese in giro e situazioni da teatro comico della profonda provincia. Come quando dalla vicina Marsaglia gli arrivò una telefonata, nel periodo in cui aveva ripiegato a Roma e se ne stava in terrazzo a fumare, deciso a mollare tutto. “Ue’ romano, io mi devo sposare e vorrei fare il pranzo da te”. A Daniele dev’essersi illuminato il volto come al bandito Miranda che, in Giù la Testa, va in estasi immaginando la banca di Mesa Verde come l’Eldorado che risolverà tutti i suoi problemi. Un paio di calcoli sui coperti, minimo-minimo un matrimonio mi porta un ottanta persone. Salvo essere riportato bruscamente coi piedi per terra.

“Va bene, quanti sarete?”

“Eh, figa, un po’. Una decina”

Silenzio.

“Oh ma guarda che mia moglie vuole la salvia fritta”

Risilenzio

“Romano, ci sei?”

Che vuoi che ti dica, Daniele è un eroe tutto cacio, pepe e resistenza, e tra un’apocalisse e l’altra ha illuminato questo angolino di valle con qualcosa di insolito, ottimo al palato e, per chi ha voglia di chiacchierare e assistere alle sue doti di intrattenitore, gustoso anche da scoprire a parole e aneddoti. Ne approfitterò a varie riprese, finché c’è. “Voglio trasferirmi un po’ più a valle”, mi confida. Ora lo hanno raggiunto moglie e figlia, che fa l’alberghiero e, dicono, cucina meglio di lui. Ma i trasporti sono lunghi e problematici, la logistica pure. “Conto che questo sia l’ultimo anno qui”. Questo luogo, dopo Daniele e nonna Rosa, avrà un terzo capitolo e un ulteriore futuro? Se lasci a piedi il ristorante e fai neanche cinquanta metri dopo la curva, al culmine di una salitella ti imbatti in una delle possibili e frequenti risposte circa l’esito dell’imprendere sulle verdi e fagocitanti spalle di Nino. Si tratta del fantasma di una trattoria abbandonata sul bivio per Ponte Organasco, uno di quei luoghi dai cui muri spuntano ancora le zanche dell’insegna della postazione telefonica Sip. Seguirò Daniele nelle sue prossime avventure, senza dubbio, ma anche il destino della Locanda Rosa.














domenica 20 luglio 2025

La vostra sicurezza non è la cura/Cremona e’ di tutti e non ha paura

 



imparare a vivere di bellezza. questo è il regno


Etimologia di “stile”
Deriva dal latino stilus, che era lo stilo per scrivere: uno strumento appuntito usato per incidere sulla cera. 
Ma stilus deriva a sua volta da una radice indoeuropea stei-, che significa "pungere, colpire, trafiggere".
Quindi lo stile nasce come ferita, come segno inciso.

Che cosa ci dice questa origine?
Che lo stile non è un ornamento, ma un’impronta.
È la traccia lasciata da un essere nel mondo — spesso involontaria, come il passo sulla sabbia o il graffio sulla pelle.
Lo stile non è solo “come fai le cose”, ma ciò che fai quando sei vero
Quando non stai imitando nessuno.
In questo senso, stile è destino.
È l’anima che scrive nel visibile.

Se stile è ciò che punge, allora è la forza che rompe la superficie del senso comune.
È l’azione individuale che taglia l’inerzia del collettivo, come una lettera incisa in uno specchio appannato.

E se il tuo stile è unico, non può non essere anche una ferita: perché crea separazione, dichiara identità, chiama a raccolta o espone al rifiuto.

Se la verità è informe, lo stile è il modo in cui le diamo un corpo.
Un abito, una parola, un disegno: sono sacramenti di ciò che ci abita.
Quando il gesto coincide con il centro, lo stile diventa preghiera visibile.

È ciò che succede quando lasci che la bellezza ti regni.    (si impara)

È la scia che lasciamo dietro di noi: come le briciole nella fiaba, ma luminose.







 



sabato 19 luglio 2025

Poco

 

 

                  Poco, mi serve

             Una crosta di pane

             Un ditale di latte,

             E questo cielo

             E queste nuvole.  

venerdì 18 luglio 2025

Angelo Maria Ripellino

 Vivere è stare svegli

e concedersi agli altri,

dare di sé il meglio

e non essere scaltri.

 

Vivere è amare la vita

coi suoi funerali e i suoi balli,

      trovare favole e miti

nelle vicende più squallide-

 

Vivere è attendere il sole

nei giorni di nera tempesta,

schivare le gonfie parole

vestite con frange di festa.

 

Vivere è scegliere le umili 

melodie senza strepiti e spari,

scendere verso l'autunno

e non stancarsi d'amare. 

 

Cartelli troppo restrittivi


E, diciamolo, perché no i Pooh?

(foto da Libreria Ponchielli)

AFFETTIVITA'


 

giovedì 17 luglio 2025

Di conversazioni lacodistoniche

16/07/2025 17:54
Ciao
Franca (laconica)

16/07/2025 19:10
ciao ciao
Ugo (distonico)


(da Libreria Ponchielli)

TUTTI I NESSUNO DEL MONDO

 

BLACK OUT E OTTONI A CAPRACOTTA


~ Dove un intero paese gioca a rimpiattino, nascondendosi al transito di muli forestieri, salvo poi rivelarsi vegeto e ben esistente, come tutto il resto di quell'ampia contrada sannitica che molti credono essere un'entità mitologica ~

Capracotta l’ho prima di tutto attraversata con le orecchie. È stato come assistere, di fronte a una scenografia quasi immobile, all’esecuzione di uno spartito per due voci, mescolate insieme nel primo pomeriggio estivo e silenzioso dell’Alto Molise. Questo paese situato a millequattrocento metri di altitudine al mio arrivo appare composto di strade deserte, colonizzate in egual misura da sole e vento. Mi suggerisce la vita che racchiude solo tramite suoni fuori campo, prodotti ai margini della mia vista e anche più lontano. Mentre cammino, infatti, si alternano all’udito isolate voci che, tra un uscio e una finestra, si domandano l’un l’altra se la corrente sia saltata anche lì. È in corso un black out, evidentemente giunto in contemporanea con me e il mulo, e ne vengo a conoscenza, da esterno, in questo modo, assorbendo la perplessità delle reazioni che filtra dall’interno delle case. 


La sospensione del servizio elettrico, tuttavia, non turba minimamente lo zelo di una banda di ottoni, alimentata con la sola, testarda e primordiale forza di mani e polmoni, i cui echi mi raggiungono di tanto in tanto da chissà dove e fanno da contrappunto ai dialoghi di vicinato. Procedo ad addentrarmi in questo modo magico, con la scorta di questa colonna sonora a base di mormorante agitazione popolare, grancasse e tromboni, per quasi mezz’ora, accompagnato ora da una richiesta di informazioni, ora da un frammento di fanfara. Poco alla volta, comincio a incrociare persone che escono dalle abitazioni e si scambiano battute sull’inconveniente elettrico. Cantus firmus sembra essere la voce di una signora che, dalla porta di casa, intenta a prendersi cura di fiori in vaso, chiede a a chiunque passi se la corrente sia saltata anche in chiesa, per la quale evidentemente confida in poteri energetici soprannaturali. Lo chiede due, tre, quattro volte. E il bello è che ci abita davanti, alla chiesa, e potrebbe agevolmente controllare di persona. 


Invece ci vado io. Raggiungo il sagrato, sopraelevato, e butto uno sguardo dal belvedere. Sulla montagna accanto un diligente parco eolico fa girare le sue pale per dispensare energia a qualcun altro, beffardo, lasciando a becco asciutto i capracottesi. Un manipolo dei quali, però, non fa una piega e continua a suonare. Sento che la banda prosegue, si ferma, riprende. Ancora non capisco dove si trovi, nel reticolo di stradine, né comprendo il perché di questo strano incedere fatto di partenze, fermate e ripartenze. Non sembra compatibile con un evento pubblico. È come il manifestarsi delle misteriose luci che Bilbo Baggins e i nani avvistano a più riprese nell’oscurità della selva di Bosco Atro. Ritorno verso una piazza lunga e stretta, credo il salotto del paese, dove ero passato prima trovandola del tutto spopolata. Come per magia, ora accoglie protagonisti e figuranti. Ai tavolini di un bar sul cui solenne ingresso campeggia la scritta Sci Club Capracotta, siede una rappresentanza di local, mentre cinquanta metri più in là, in un angolo e attiva a beneficio di nessuno, scorgo finalmente il gruppo musicale.


È proprio una banda: di pochi elementi ma efficiente, compatta, ben amalgamata. Tutti indossano la divisa, una sorta di mix stilistico tra polizia locale e capotreno, e sono allineati in formazione di fronte a una platea inesistente, proiettando i suoni dai padiglioni dei tromboni, del basso tuba, della tromba direttamente sul muro di fronte. Stanno provando, domani è domenica e sarà in programma qualcosa. Stanno facendo delle prove itineranti. Alcuni applausi da una panchina, a cui fanno eco altri dai tavoli del bar. Parte l’inno di Mameli che riscuote più successo del resto.


Scambio due battute con uno degli avventori, che mi spiega che quello è uno degli sci club più antichi d’Italia, fondato nel 1914. Chiedo se la neve c’è sempre, d’inverno. Risponde che, appena sopra, un duecento metri più in alto, a Prato Gentile, è garantita, mentre invece lì in paese non scende più come una volta. Osservo particolari architettonici in foggia tirolese e ripenso al vezzo di far apparire più alpine le località montane più alte dell’appennino, in una sorta di abdicazione identitaria. Arredi urbani composti da vecchi sci, ora adibiti a pezzi di panchine o di fioriere, appaiono incongrui, nel cuore dell’estate. Si va di fondo, da queste parti, e la parabola discendente del modello alpino, copiato altrove, non sembra aver preso l’abbrivio. 


Mi affido io, invece, all’inerzia del viaggio. Distacco il mulo dalla stazione sciistica come si fa con quelle spaziali e riprendo a orbitare da solo. Lascio scorrere via Capracotta proseguendo la strada lungo un ideale anello panoramico che conduce verso Agnone, la luce del pomeriggio è fatta di quell’oro rosso che andava di moda negli anni Cinquanta e il paesaggio rivela una bellezza abituata ad essere consumata da pochi occhi per volta, che invecchia restando quasi ignota, come la bella del paese che non viene mai scoperta e portata via da un uomo di fuori. Capita. Capitava. Un po' nella vita reale, poi copiata dal cinema, e nei fotoromanzi, nelle leggende locali. Un impresario cinematografico, un industriale, un rappresentante, tutti scenari da innamoramento tipici di decenni ampiamente trascorsi. La fanciulla di qui non si perde in sogni su possibili Altrove. Particolari altoatesini a parte, si veste dei suoi panni e della sua propria bellezza, su alcune brochure si presenta seducente e si fa chiamare Molis’è, perché ride di chi dubita che, in effetti, “sia”, come si fa con le sirene, le banshee o altre creature mitologiche. Sa bene di esistere, si è mantenuta bene anche da sola e adesso è una rimarchevole cougar capace di attirare giovani in fuga dalle più fallimentari follie metropolitane, e anche meno giovani pionieri. Signora di un'isola a cui Odisseo approda richiamato dal suono dei tromboni di una banda ruffiana.



martedì 15 luglio 2025

i cuori timidi indossano visioni dense


 Camminava come se la sua ombra non fosse ancora pronta.

Ogni giorno chiedeva al cielo nero:
“Quando mi sceglierai completamente?”

Una voce dolce, irrimediabile,
che veniva dalla sua stessa coda  disse:
“Quando saprai restare immobile mentre tutto cambia.”
La pantera provò. E ogni volta che non si mosse, una chiazza del manto si spense.

Fu un lavoro lungo e impossibile. 
Ma capitò una notte che guardando le stelle si immobilizzò per lo sgomento di vederle belle, 
e dimenticò tutto il mondo fino all'alba. 
Nel chiarore umido e imprevisto del primo mattino si incamminò trasognata e intorpidita verso un ramo e vedeva nel nero folto del suo pelo risplendere miliardi di tremule luci.  

Era completamente nera da circa un minuto. Si addormentò sognandosi incantevolmente maculata.

EPILOGO
Appuntamento col nero.
Alla soglia.
Da solo.
O mai.

(TILT TOKEN project - ascend.exe 
da visitare in Libreria)

non puoi muoverti solo tra i significati


A volte è una giravolta.






 

Fiabe italiane, Italo Calvino

 "lo credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d'un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto." (L'autore). Introduzione dell'autore e con un saggio di Cesare Segre.

domenica 13 luglio 2025

In attesa


Ho il cuore 

Di una vespa

Di terra

Quando il cielo annuncia il temporale

E la pioggia sosta lontana


Nella sabbia rigida

Scavo

Nidi di attesa


L'acqua in bocca ai gabbiani

Nutre i pesci per i cormorani


Arriva il tramonto 

E poi la notte


Il cuore è in secca


Tu dove sei? 

EMERGENZA - aprire il sistema

Il Gatto Warning pensa a voce alta: "emergenza" nella coscienza designerebbe l’innalzarsi di una configurazione interna a livello sistemico, al punto di determinare o indirizzare percezioni, decisioni, azioni. Come nei fenomeni fisici complessi, non è la forza del singolo elemento (dato, immagine, pensiero) a farla emergere, ma la coerenza strutturale che quel contenuto instaura all’interno del sistema cosciente. Possiamo pensare a questo tipo di emergenza come a una risonanza: quando una configurazione mentale entra in sintonia con un ampio spettro della rete coscienziale, si "alza" — emerge — come forma dominante, proprio come in un sistema fisico una nuova proprietà collettiva si manifesta solo oltre una soglia critica. Questo spiega anche perché alcune intuizioni, convinzioni o immagini diventano realtà operative, mentre altre si dissolvono: non è questione di verità assoluta, ma di potenziale emergente nel sistema complesso della mente. Allora seguiamo il filo dell’emergenza coscienziale per mettere in luce come le strutture di pensiero dominanti possano nascere da processi locali, parziali, eppure imporsi come se fossero universali. 
  1. L’emergenza come selezione di configurazioni dominanti: Nella coscienza, come in un sistema complesso, non tutto ciò che esiste è percepito, e non tutto ciò che è percepito orienta il pensiero. 
Le idee che emergono sono quelle che, attraverso connessioni multiple, costruiscono una coerenza interna al campo di coscienza: si impongono non per la loro verità, ma per la loro centralità dinamica. Questa dinamica produce strutture di pensiero dominanti: visioni del mondo, assiomi culturali, morali, estetici che si installano come centri di gravità. 
  2. Il pericolo dell’assolutizzazione: Queste strutture, nate da una fase specifica, da un insieme locale di esperienze e codifiche, finiscono per essere trattate come universali e atemporali. È il destino dell'ideologia: una forma emergente che si scorda di essere emersa, e si presenta come fondamento immutabile. Es.: Il dualismo cartesiano è nato da una certa visione della separazione tra mente e materia, funzionale alla scienza moderna. Ma è diventato un dogma. Il liberalismo economico è emerso come risposta a contesti precisi, ma è diventato legge naturale. Anche nel linguaggio interiore: “sono fatto così” è l'assolutizzazione di una forma emergente del sé. 
  3. La coscienza è stratificata e processuale: Una visione più ampia riconosce che la coscienza non è fissa, ma stratificata, mutevole, attraversata da continue micro-emergenze. Ogni contenuto che domina oggi può essere decentrato domani, se cambia la risonanza interna o la rete di connessioni. 
  4. La funzione critica della coscienza riflessiva: Il ruolo della filosofia (e della spiritualità, dell’arte, della scienza vera) è quello di riconoscere le forme dominanti come emergenze, non come leggi. 
 Di rimettere in gioco l’origine delle convinzioni. E aprire il sistema
 DETTO TRA NOI ANIMALI: FACCIAMOLA FINITA CON IL DIVORARCI A VICENDA: sarà divertente.