Ogni anno la nebbia del principio di questo mese vibra per noi di un brano che chi è grande ci ha insegnato ad amare. E così lo leggiamo per ricordarci come si accoglie il novembre, festeggiarlo, dunque riempire i polmoni di una vigorosa e aperta aria di mare che le nostre finestre chiuse non possono certo trattenere.
Chiamatemi Ismaele.
Alcuni anni fa – non importa quanti
esattamente – avendo pochi o punti
denari in tasca e nulla di particolare che mi interessasse a terra, pensai di
darmi alla navigazione vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di
cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che mi accorgo
di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un
novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi
involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a
tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa
tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di
scendere risoluto in strada e gettare metodicamente per terra il cappello alla
gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il
mio surrogato della pistola della pallottola. Con un bel gesto filosofico
Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di
sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini
nutrono una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi
sentimenti che nutro io verso l'oceano .
Hermann Melville, Moby Dick o la balena, tr. it. di Cesare Pavese, Milano: Adelphi, 1994, p. 37.
grazie grazie grazie
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