È un senso di abbandono fuori dal tempo, ma che riecheggia in modo
distinto oggi. Non c’è più alcuna fuga, non c’è alcun rifugio nel mondo
connesso e globale in cui sia possibile staccarsi dal dolore, dal sé,
dai fallimenti e dalle insufficienze della propria soggettività. Si può
espatriare, cambiare lavoro, salire e scendere dagli aerei low cost. Si
può saltare da un profilo online all’altro. Si possono inventare intere
nuove identità nello spazio di un’ora; cercare abbracci, lasciare
amanti, reclutarne altri; lavori freelance e relazioni altrettanti
freelance; consumare esperienze e ordinarne altre. Il vagare
insoddisfatto, la tensione eterna ad andarsene, non fanno che produrre sfumature sempre nuove di solitudine.
Questa consapevolezza così perfettamente appartenente al XXI secolo sembrava già, in controluce, contenuta in Camere separate.
E per alcuni, incluso chi scrive, quel romanzo è tuttora una lettura a
cui tornare a intervalli periodici, per cercare di vedere, altrettanto
in controluce, se l’umanità che trasuda dalle sue pagine possa venire in
aiuto a fare i conti con il tempo attuale, con ciò che resta del
famigerato postmoderno – oggi che la comunicazione, le trappole dei
social media e l’isolamento che producono, sono la vera via crucis del
soggetto contemporaneo; che a essere libertina è soprattutto la mente,
sempre più distratta da un flusso di stimoli ridicoli e sconcertanti;
che l’HIV è diventato metafora di uno stato di infiammazione cronica,
latente; e le camere separate si sono fatte soprattutto interiori, nella
conformazione indecisa, ambivalente, spesso quasi psicotica, dei
desideri occidentali.
da "Senso di abbandono permanente" di Marco Mancassola che ringraziamo profondamente
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