Collana di poesia bilingue a cura di Giorgio Agamben.
Il disegno dell’ardilut (valeriana selvatica), scelto dal giovane Pier
Paolo Pasolini per le sue pubblicazioni in friulano, viene qui ripreso
come simbolo della collana, che intende, a più di quarant’anni dalla
morte del poeta, proseguire e verificare nella nuova realtà linguistica
del xxi secolo la sua riflessione sul rapporto fra lingua e dialetto.
È stato Dante a porre sotto il segno del bilinguismo la nascita
della poesia italiana. Nel De vulgari eloquentia egli contrappone il
volgare, che «i bambini apprendono da chi sta loro intorno appena
cominciano a distinguere le voci», e «senza nessuna regola riceviamo
imitando la nostra nutrice» alla «lingua secondaria, che i Romani
chiamavano grammatica nella quale siamo regolati e istruiti solo attraverso
uno spazio di tempo e assiduità di studi». Nel momento
stesso in cui decide di scrivere in volgare la sua poesia, a questo primo
bilinguismo, Dante ne aggiunge subito un secondo, quello fra i
volgari municipali e il volgare illustre, che paragona a una pantera
profumata, «che fa sentire la sua fragranza in ogni città, ma non dimora
in alcuna».
L’ipotesi che questa collana propone è che oggi alla grammatica
di Dante corrisponda l’italiano come lingua nazionale e al volgare
i cosiddetti dialetti e che, come allora, la poesia italiana, che sembra
attraversare una fase di crisi o di stasi, potrà rinascere solo se
tornerà a nutrirsi di questa intima diglossia. Non è certo un caso se
la grande fioritura della poesia italiana del Novecento sia stata discretamente
accompagnata da un’altrettanto grande fioritura della
poesia in dialetto ed è probabile che esse siano così strettamente
connesse, che senza l’una non avremmo avuto nemmeno l’altra.
Per questo la collana, accanto ai nuovi poeti, ripubblicherà anche
dei classici, a cominciare da Pier Paolo Pasolini e Andrea Zanzotto,
che hanno scritto tanto in lingua che in dialetto, e seguirà con
attenzione ogni ricerca di una lingua poetica che fuoriesca dal monolinguismo.
Il «regresso lungo i gradi dell’essere» di cui parlava
Pasolini per il suo dialetto è, infatti, innanzitutto un regresso lungo
i gradi della lingua, che permette al poeta di scavalcare la lingua
non più viva e corrotta che lo circonda da ogni parte verso una
lingua che esiste già sempre e, tuttavia, ancora non esiste: la lingua
della poesia. Il testo a fronte che caratterizza la collana rende
visibile il movimento – e quasi l’andirivieni dal dialetto alla lingua
e viceversa – che definisce il gesto poetico, quasi che il vero luogo
della poesia non fosse né nell’uno né nell’altra, ma nell’ardua, incessante
tensione fra di essi.
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