sabato 27 aprile 2013

Produzione incondizionata

Namarupa. Così i buddhisti chiamavano l'individualità; sempre transeunte, con uno statuto ontologico quasi snobbato. Proviamo un piccolo scherzetto "apokolokyntotico" (Seneca docet). Creare una definizione è facile, basta sommare ad un genere prossimo una differenza specifica.Apparentarli poi, è tutto un altro paio di maniche. Ma decontestualizziamo il concetto di namarupa  e applichiamolo alle definizioni. Raniero Gnoli non me ne voglia, ma come legittima parte della tribù, mi sento in dovere di farmi i cazzi miei con i concetti che mi tornano utili. Ora, nome+forma è come a dire genere prossimo+differenza specifica, con un po' meno di laboriosità e spocchia; pensate dunque alla facilità nel moltiplicare gli spazi - il Buddhismo Mahayana lo avrebbe adorato-, i tempi, i concetti, i collegamenti, cosa che agli scrittori esce in modo genuinamente magistrale. E si divertono pure a spararci un velo in fronte, senza alcun ritegno per quello che è il lavoro  di Scrittori. Confusi? Concetti come "perfezione irritante","clamoroso fallimento","bruciante retaggio","scenario desolante","puntualmente applicabile","personaggi annientati","romanzo felice","successo popolare","complesso tentativo","colossal biblico","eccentrica officina (ometto l'aggettivo autoriale),"dilagante protagonista" e la lista potrebbe estendersi -appunto- indefinitamente, in cui Nome e Forma sono ridotti a caricature deliziose di alcuni quid che la nostra mente poco allenata faticherebbe ad afferrare, costretti a silurarci di paroloni affaticanti...Roland Barthes, da qualche parte, dice che il nome è davvero l'ultima intima unicità della cosa. A voi.

f.

Nessun commento:

Posta un commento