Sobrietà
I
Pensare, come avevano fatto i nostri padri, che le macchine possano e
debbano sostituire noi e il lavoro che svolgiamo, è assolutamente
antiquato. Dove siamo rimasti noi stessi a lavorare, perlopiù lavoriamo
non «ancora», bensì «nuovamente»: in questo caso infatti, noi sostituiamo le
macchine. O perché talvolta queste difettano nel funzionamento, oppure
perché – e qui parlare di «ancora» sarebbe legittimo – le macchine che
ci dovrebbero «davvero» essere non sono ancora scandalosamente state
inventate. In questo caso noi «sostituiamo» il non-ancora-esistente.
Naturalmente la nostra prestazione sostitutiva è sempre miserabile. Se
gli apparecchi che sostituiamo potessero osservare il nostro sforzo di
sostituirli, riderebbero dei nostri goffi tentativi. Ma dico appunto
«se», e «riderebbero» al condizionale. Perché ovviamente, in quanto
apparecchi, sono orgogliosi della loro incapacità di ridere o
addirittura del loro non poter essere orgogliosi di qualcosa.
II
Oggi sono stato di nuovo costretto a leggere che sarei un
«reazionario distruttore di macchine». È il più stolto di tutti i
rimproveri possibili. Perché la mia battaglia non riguarda affatto, come nel XIX secolo, i modi di produzione, bensì i prodotti. Non
ho mai suggerito che i missili dovrebbero essere prodotti a mano fra le
mura di casa anziché nelle fabbriche. Ma ho sempre detto che i missili
non dovrebbero essere costruiti.
III
Quelli che ci definiscono «distruttori di macchine», li dovremmo chiamare «distruttori di uomini».
Günther Anders, Brevi scritti sulla fine dell'uomo, con testo originale a fianco, a cura di Devis Colombo, Asterios, Trieste 2016
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