domenica 13 novembre 2011

Sylvia Whitmann e La Libreria Delle Meraviglie


Là dentro, specialmente in basso, c'erano tanti e tanti libri a dispense che egli stesso ignorava di possedere ancora e io godevo del permesso di frugarvi e di spigolare 

Antonio Pizzuto, Rapin e Rapier 


C’è una libreria a Parigi sul lungosenna, dalla parte opposta di Nôtre Dame, una libreria che
non appena varchi la porta verde ti lascia senza parole, come quando rimani sgomento
davanti alle sontuose vetrate multicolori della vicina cattedrale. Entri e vieni fagocitato dai
libri. Eh sì, ci sono libri ammucchiati dappertutto, sugli scaffali, per terra, sulle sedie, sui gradini
scricchiolanti delle scale di legno e nel sottoscala, dentro teche di vetro, sulle scrivanie, sui divani,
sui letti, libri in lingua inglese e in altre lingue, nuovi e usati, preziosissimi, introvabili, illuminati
da estrosi lampadari uno diverso dall’altro e in compagnia di maestosi specchi e di foto incorniciate
di scrittori illustri, libri accumulati a partire dal 1951 quando George Whitman, nipote di
Walt Whitman, americano del Massachusetts, dopo aver studiato alla Sorbonne e vissuto a lungo
in una stanza d’albergo stipata di libri, decise di aprire una libreria riempiendola della sua biblioteca
personale – dopo che Ferlinghetti, suo amico, gli aveva detto quasi scherzando “perché non
apri una libreria inglese?” – e la chiamò prima Le Mistral poi Shakespeare & Company ereditando
il nome dalla libreria dell’amica libraia e editrice Sylvia Beach (che ha il merito di esser stata
la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce, da altri editori ritenuta opera “incomprensibile” e “oscena”).
Libreria-casa, punto di ritrovo negli anni Sessanta di scrittori della Beat Generation tra cui
Kerouac, Corso, Ferlinghetti e Ginsberg, la Shakespeare & Company è gestita oggi da Sylvia
Whitman, figlia di George, anche lei fedele all’adagio “non siate inospitali con gli sconosciuti,
potrebbero essere angeli sotto mentite spoglie” attaccato sopra una porta della libreria. 
La storia di Shakespeare & Company è celebre
in tutto il mondo, direi quindi di partire dal
presente. Cosa significa oggi gestire una libreria
indipendente in una grande città?
Ti sono grata per aver sorvolato sulla storia della
libreria… non sai quante volte l’ho dovuta raccontare!
Beh, al giorno d’oggi mandare avanti
una libreria indipendente in una città come
Parigi è esaltante e sconfortante al tempo stesso.
Esaltante perché Parigi è una città straordinaria
per gli amanti dei libri e sostiene fortemente le
librerie indipendenti a differenza dei paesi
anglofoni dove il Net Book Agreement [accordo
in base al quale le librerie potevano vendere solo
al prezzo imposto dall’editore, NdR] è ormai un
ricordo e ci sono sempre più supermercati che
vendono libri. Essere la proprietaria di Shakespeare
& Company è particolarmente esaltante perché
la libreria attira un sacco di giovani, e l’interesse
con cui la gente viene a trovarci ci dà la forza
di realizzare sempre nuovi progetti. Al contempo
è sconfortante perché i media e il marketing
non fanno che diffondere l’idea che il libro elettronico
finirà per soppiantare il libro cartaceo
(cosa a cui noi ci opponiamo con tutte le forze)
e società come Amazon che non hanno persone
che gli vendono i libri stanno spazzando via un
sacco di librerie indipendenti. Noi, comunque,
cerchiamo di essere fiduciosi e rimaniamo fermi
nella convinzione che perfino con il significativo
progresso della tecnologia (ci tengo a precisare
che non siamo contro la tecnologia!) ci sarà sempre
un posto per luoghi come Shakespeare & Co.
Qual è la tua posizione nella guerra tra ebook
e libro cartaceo?
Sono due cose molto diverse e ritengo che possano
coesistere. Prendo in prestito le parole
ho sempre pensato che la nostra libreria 
sia uscita da una fiaba 
dello scrittore Maurice Sendak: “È come far
credere che ci sia un terzo sesso. Non esiste un
terzo sesso. Non c’è un altro tipo di libro! Un
libro è un libro!”. E comunque qui alla Shakespeare
& Company non siamo dei vecchi matusalemme!
Abbiamo un sito, un account twitter,
siamo su facebook, molti di noi hanno un
iPhone. Non credo ci sia una guerra tra ebook
e libro cartaceo. Magari un giorno venderemo
anche noi ebook sul nostro sito. Ma per ora
non ci entusiasmano. Non mi ci vedo a leggere
Anna Karenina con una pubblicità che interrompe
la lettura. Ci sono editori francesi che mi
considerano naïf perché ho scelto di non vendere
da subito ebook. Ma per il momento i tanti
clienti che abbiamo sembrano pensarla come
noi, adorano l’energia che si respira qui (o in
librerie simili alla nostra), partecipano ai vari
eventi che organizziamo, apprezzano i nostri
consigli di lettura eccetera eccetera. Non ho
voglia di mettermi a vendere ebook perché tutti
dicono che il libro di carta è superato e perché
a quanto pare stanno tutti seguendo questa strada.
E poi non mi sembra che stia succedendo
questo.
“A wonderland of books”: così Henry Miller
ha descritto Shakespeare & Company. Da piccola
ti sei sentita un po’ una Alice nel paese
delle meraviglie? Hai vissuto un’infanzia molto
particolare, ti sei sentita diversa dai bambini
delle tua età?
La descrizione che ne fa Miller è perfetta. Ho
sempre pensato che la nostra libreria sia uscita
da una fiaba. E sì, mi sono assolutamente
sentita come Alice nel paese delle meraviglie,
e fin da quando avevo sei anni mi sentivo a
tutti gli effetti la proprietaria di questo mondo!
In ogni caso non ho mai pensato di essere
diversa dai miei amichetti di allora, per me era
una cosa normalissima dormire in una libreria
e essere circondata da persone mai viste prima
che mi leggevano storie in ogni momento. I
miei ricordi sono un po’ confusi ma posso
senz’altro affermare che è stata un’infanzia
felice e popolata da un sacco di personaggi
interessanti. 
Quali erano gli scrittori che
frequentavano la libreria con
più assiduità e che eri particolarmente
contenta di vedere?
C’erano due scrittori che frequentavano
la libreria assiduamente.
Uno è un carissimo amico di mio
padre, Lawrence Ferlinghetti
(che tra l’altro ha la sua libreria a
San Francisco, la City Lights), era
sempre molto ispirato e divertente
al limite del sadismo. L’altro
era Ted Joans, un poeta beat
relativamente sconosciuto, che
era capace di contattare chiunque,
in un tempo in cui non
c’erano ancora cellulari e email,
informandoli che sarebbe venuto
in libreria ogni giorno a mezzogiorno.
Cantava canzoni,
recitava poesie, copriva le mie
birichinate, insomma ne faceva
di tutti i colori. Era il mio
preferito.
Sono mai venuti, che tu sappia,
Alexander Trocchi (che viveva
a Parigi dove ha codiretto la
rivista letteraria Merlin che ha
pubblicato i lavori di Samuel
Beckett e Jean-Paul Sartre) e
John Cheever?
So per certo che Trocchi è stato
qui in libreria e che George
[Whitman, nel resto dell’intervista
Sylvia chiama il padre per
nome] è stato un grande sostenitore
di Merlin. Di Cheever non
so nulla invece.
E che mi dici degli scrittori
americani contemporanei, c’è
qualcuno che viene spesso a
trovarvi? Hai conosciuto David
Foster Wallace?
Quanto avrei desiderato conoscere
David Foster Wallace! In
libreria i suoi libri vanno a
ruba, li comprano soprattutto
i clienti francesi. Mi ritengo
fortunata ad avere la possibilità
di incontrare scrittori americani
contemporanei, quelli che
vengono a trovarci con più regolarità
sono Paul Auster, Siri
Hustvedt, AM Homes, Jonathan
Safron Foer e Nathan
Englander.
Quali sono gli scrittori che preferisci
(non solo americani)?
In realtà non ho uno scrittore
preferito, mi lascio appassionare
dallo scrittore che leggo al
momento ma poi, terminato
quel libro, ne comincio un
altro e mi lascio affascinare da
quest’altro autore! Ho appena
finito di leggere Edward St
Aubyn che è venuto di recente
a fare un reading in libreria. È
un po’ l’Evelyn Waugh dei
giorni nostri, adoro l’arguzia e
a wonderland of books 
un libro è un libro!
la limpidezza con cui tratta argomenti
considerati oscuri. Ci
sono scrittori poi (credo che
siano questi i miei preferiti) che
rileggo spesso: Jeanette Winterson,
le poesie di Anne Sexton
e Rimbaud, Fitzgerald, in particolare
Tenera è la notte, Pessoa
con Il libro dell’inquietudine, e
raccolte di favole, soprattutto le
fiabe di Calvino.
Raccontami qualcosa invece
degli scrittori di passaggio che
ospitate, come li selezionate, e
cosa fanno loro per la libreria…
So che li definite “tumbleweed”
[la pianta tipica delle zone desertiche
degli Usa che si stacca dal
terreno e viene sospinta dal
vento in rotoli]. Sono passati
anche scrittori italiani?
In generale con quelli che vogliono
rimanere a dormire facciamo
una breve chiacchierata e se ci
piacciono – e se c’è posto naturalmente
–, se riteniamo che possano
contribuire all’atmosfera
della libreria con la loro creatività,
li ospitiamo con grande piacere.
E poi siamo contenti di
poter aiutare qualcuno – questa
è sempre stata la filosofia di
George: “Dai quello che puoi,
prendi ciò di cui hai bisogno”.
E infatti le persone che dormono
in libreria si rendono utili per
esempio occupandosi dell’apertura
e della chiusura del negozio
e rimanendo a disposizione dei
clienti per un paio d’ore al giorno.
Questo è un grosso aiuto
per noi. Hanno alloggiato qui
anche scrittori italiani, di cui
non ricordo però il nome. Ci
piace ospitare i tumbleweed
italiani, portano un sacco di
energia!
Quanti libri avete in libreria?
Difficile da dire, è passato un
bel po’ di tempo dall’ultima
volta che li abbiamo contati, e
poi ci sono anche tutti i libri
della biblioteca… quarantacinquantamila?
E qual è il libro più prezioso
che avete?
La prima edizione dell’Ulisse. 
Quanta gente viene in libreria al giorno?
La mattina apriamo alle undici e durante tutto
il giorno abbiamo un sacco di visitatori… probabilmente
150-200 al giorno.
In che consiste il festival letterario Festivalandco
che organizzate in libreria?
Il festival l’abbiamo ideato per dare nuova linfa
alla libreria e al quartiere. Di solito dura quattro
giorni e si tiene nel piazzale davanti alla libreria.
Ogni volta scegliamo un tema diverso, e lo
esploriamo in vari modi. Per ora abbiamo fatto
quattro edizioni. È gratuito e aperto a tutti.
La rivista fondata da tuo padre, The Paris
Magazine, è cambiata molto da quando è passata
nelle tue mani?
The Paris Magazine di George e la mia sono
due cose completamente diverse! D’altronde
rispecchiano le nostre personalità. Io mi sono
rivolta all’editor Fatema Ahmed, che in precedenza
aveva lavorato per Granta, e il taglio che
abbiamo dato risente molto della sua mano. La
rivista di George, probabilmente, era più anarchica,
bizzarra e bohémien della mia.
So che hai studiato in Inghilterra. Cosa ti sei
portata dietro da quell’esperienza?
Sai, è come se avessi dormito un lungo sogno
prima di ritornare in libreria. Tutto ciò che ho
imparato, l’ho imparato da George e qui alla
Shakespeare & Company. Forse la cosa principale
che mi sono portata dietro dalle mie esperienze
passate è stata la mia parentesi teatrale…
mi è stata d’aiuto qui.
In che senso?
Ho fatto l’attrice di teatro in passato.
E quello che mi ha detto George una volta lo sottoscrivo pienamente: la libreria è un palcoscenico e noi
siamo tutti attori. Sai, ripensando al teatro, mi sarebbe piaciuto molto vestire i panni di Alice di
Alice nel paese delle meraviglie e di Estella di Grandi speranze!
Ho letto di recente Al paese dei libri di Paul Collins, e ho ripensato all’esperienza di tuo padre che,
con le dovute differenze, è altrettanto radicale e coinvolgente. Sei mai stata a Hay-on-Wye, la
“Mecca dei bibliofili” sperduta nella campagna gallese?
No, non ci sono mai stata ma non sai quanto mi piacerebbe. È sempre molto difficile per me
lasciare la libreria, ma voglio assolutamente andarci. Sembra un posto idilliaco… e poi ogni volta
che vado fuori mi piace scovare librerie nuove, e Hay-on-Wye sembra la meta ideale per una bella
vacanza.
Ma tu vivi in libreria?
Ci ho abitato, ma non ce la faccio proprio, a differenza di George, a vivere senza privacy! Ora abito
proprio dall’altra parte del fiume, in ogni caso molto vicino alla libreria ma lontano quanto basta
per non sentirmi al lavoro quando me ne vado.
Qual è il consiglio più prezioso che ti ha dato tuo padre?
È buffo, lui non è il tipo di persona che dà consigli, preferisce che le persone imparino da sole.
Comunque, il consiglio più bello me l’ha dato quando ero seduta accanto a lui in ospedale dopo
che ha avuto un ictus. Mi ha detto qualcosa come “leggi un libro al giorno”! 

da: www.oblique.it

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