lunedì 9 agosto 2010


Posto questo articolo tratto dal blog di Repubblica http.//olivero.blogautore.repubblica.it, per ricordare la figura di Elvira Sellerio scomparsa recentemente, pochi giorni fa.



      

                                                                 

3 agosto 2010,                                       La coerenza di Elvira
                                                                                     

                                                                                  

Tra gli ultimi libri pubblicati, Chissà come chiameremo questi anni di Giuliana Saladino, la grande giornalista de L’Ora. Una serie di articoli nell’arco di un trentennio siciliano dal sacco di Palermo ai primi scricchiolii del potere del mostro nato e cresciuto nella palude democristiana, mafiosa, conformista, criminale, ma anche povera e disperata. Quasi un cerchio che si chiude: da lì era partita Elvira Sellerio, dall’Affaire Moro di Sciascia, e lì era tornata. Un unico filo di tensione civile unito alla grazia e all’eleganza che solo i suoi libri sapevano avere. Belli, blu notte o color pastello, con un’illustrazione luminosa come madreperla. Anche chi non sapeva della sua passione, di quanto peso culturale a livello nazionale avesse pur essendo da sempre rimasta a Palermo la sede della casa editrice (e non è facile capire l’handicap in partenza se non si fa parte dell’ambiente editoriale), sfogliando un libro uscito dalle stampe di Elvira Sellerio intuiva qualcosa.

Intuiva quello che tutti i frequentatori di librerie sanno: i libri Sellerio, come pochi altri, stanno in scaffali a parte, inclassificabili. E come si può classificare una casa editrice che ha in catalogo best seller ante litteram come Giorgio Scerbanenco, meravigliosi ottantenni come Andrea Camilleri (quindici anni dopo l’altro splendido vecchietto Gesualdo Bufalino) e noiristi all’italiana come Gianrico Carofiglio e nello stesso tempo faceva dirigere collane ad Adriano Sofri, scrivere sul potere a Luciano Canfora e ospitava i primi lavori di Antonio Tabucchi? Oppure pubblicava Durrenmatt, Trollope e Bolano e contemporaneamente Alicia Giménez-Bartlet e Pietro Grossi?

Forse non è immediato, ma quella cosa che si intuisce quando si ha in mano un Sellerio nasce da un imprinting di quarantun anni fa. C’erano Elvira e il marito Enzo (che presto si separarono), Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta. Avevano in mente una casa editrice di nicchia, elegante, essenziale, selettiva. Libri soltanto per chi avesse un’esigenza di memoria, come si chiamò la prima collana. Poi Sciascia stesso affossò l’idea: il suo L’affaire Moro vendette centomila copie e lanciò in orbita la Sellerio. Il Campiello alla Diceria dell’untore di Bufalino nell’81 fece il resto. Ma al di là della fama raggiunta è sempre rimasto un tratto eversivo nel catalogo Sellerio che deriva da quel primo imprinting, oltre che dalle frequentazioni giovanili di Elvira nel Gruppo 63.

Innanzitutto i grandi scrittori di un sud in grado di proporre una forza culturale nazionale pari e complementare a quella dei grandi intellettuali del nord, come Corrado Alvaro o Giuseppe Antonio Borgese. Avevano visto prima di altri alla Sellerio quello che sarebbe poi successo: un nord senza più voce e senza più progetto culturale. Per questo non smisero mai di credere nello sguardo disincantato del sud. E poi l’energia di Elvira e della sua squadra che non li faceva mai fermare. Sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di prezioso, di non scontato. Sempre a inseguire quel primo imprinting e sempre consapevoli che a certe latitudini l’inerzia è fatale.

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