giovedì 17 luglio 2025

BLACK OUT E OTTONI IN CAPRACOTTA


Capracotta l’ho prima di tutto attraversata con le orecchie. È stato come assistere, di fronte a una scenografia quasi immobile, all’esecuzione di uno spartito per due voci, mescolate insieme nel primo pomeriggio estivo e silenzioso dell’Alto Molise. Questo paese situato a millequattrocento metri di altitudine al mio arrivo appare composto di strade deserte, colonizzate in egual misura da sole e vento. Mi suggerisce la vita che racchiude solo tramite suoni fuori campo, prodotti ai margini della mia vista e anche più lontano. Mentre cammino, infatti, si alternano all’udito isolate voci che, tra un uscio e una finestra, si domandano l’un l’altra se la corrente sia saltata anche lì. È in corso un black out, evidentemente giunto in contemporanea con me e il mulo, e ne vengo a conoscenza, da esterno, in questo modo, assorbendo la perplessità delle reazioni che filtra dall’interno delle case.

La sospensione del servizio elettrico, tuttavia, non turba minimamente lo zelo di una banda di ottoni, alimentata con la sola, testarda e primordiale forza di mani e polmoni, i cui echi mi raggiungono di tanto in tanto da chissà dove e fanno da contrappunto ai dialoghi di vicinato. Procedo ad addentrarmi in questo modo magico, con la scorta di questa colonna sonora a base di mormorante agitazione popolare, grancasse e tromboni, per quasi mezz’ora, accompagnato ora da una richiesta di informazioni, ora da un frammento di fanfara. Poco alla volta, comincio a incrociare persone che escono dalle abitazioni e si scambiano battute sull’inconveniente elettrico. Cantus firmus sembra essere la voce di una signora che, dalla porta di casa, intenta a prendersi cura di fiori in vaso, chiede a a chiunque passi se la corrente sia saltata anche in chiesa, per la quale evidentemente confida in poteri energetici soprannaturali. Lo chiede due, tre, quattro volte. E il bello è che ci abita davanti, alla chiesa, e potrebbe agevolmente controllare di persona.

Invece ci vado io. Raggiungo il sagrato, sopraelevato, e butto uno sguardo dal belvedere. Sulla montagna accanto un diligente parco eolico fa girare le sue pale per dispensare energia a qualcun altro, beffardo, lasciando a becco asciutto i capracottesi. Un manipolo dei quali, però, non fa una piega e continua a suonare. Sento che la banda prosegue, si ferma, riprende. Ancora non capisco dove si trovi, nel reticolo di stradine, né comprendo il perché di questo strano incedere fatto di partenze, fermate e ripartenze. Non sembra compatibile con un evento pubblico. È come il manifestarsi delle misteriose luci che Bilbo Baggins e i nani avvistano a più riprese nell’oscurità della selva di Bosco Atro. Ritorno verso una piazza lunga e stretta, credo il salotto del paese, dove ero passato prima trovandola del tutto spopolata. Come per magia, ora accoglie protagonisti e figuranti. Ai tavolini di un bar sul cui solenne ingresso campeggia la scritta Sci Club Capracotta, siede una rappresentanza di local, mentre cinquanta metri più in là, in un angolo e attiva a beneficio di nessuno, scorgo finalmente il gruppo musicale.

È proprio una banda: di pochi elementi ma efficiente, compatta, ben amalgamata. Tutti indossano la divisa, una sorta di mix stilistico tra polizia locale e capotreno, e sono allineati in formazione di fronte a una platea inesistente, proiettando i suoni dai padiglioni dei tromboni, del basso tuba, della tromba direttamente sul muro di fronte. Stanno provando, domani è domenica e sarà in programma qualcosa. Stanno facendo delle prove itineranti. Alcuni applausi da una panchina, a cui fanno eco altri dai tavoli del bar. Parte l’inno di Mameli che riscuote più successo del resto.

Scambio due battute con uno degli avventori, che mi spiega che quello è uno degli sci club più antichi d’Italia, fondato nel 1914. Chiedo se la neve c’è sempre, d’inverno. Risponde che, appena sopra, un duecento metri più in alto, a Prato Gentile, è garantita, mentre invece lì in paese non scende più come una volta. Osservo particolari architettonici in foggia tirolese e ripenso al vezzo di far apparire più alpine le località montane più alte dell’appennino, in una sorta di abdicazione identitaria. Arredi urbani composti da vecchi sci, ora adibiti a pezzi di panchine o di fioriere, appaiono incongrui, nel cuore dell’estate. Si va di fondo, da queste parti, e la parabola discendente del modello alpino, copiato altrove, non sembra aver preso l’abbrivio.

Mi affido io, invece, all’inerzia del viaggio. Distacco il mulo dalla stazione sciistica come si fa con quelle spaziali e riprendo a orbitare da solo. Lascio scorrere via Capracotta proseguendo la strada lungo un ideale anello panoramico che conduce verso Agnone, la luce del pomeriggio è fatta di quell’oro rosso che andava di moda negli anni Cinquanta e il paesaggio rivela una bellezza abituata ad essere consumata da pochi occhi per volta, che invecchia restando quasi ignota, come la bella del paese che non viene mai scoperta e portata via da un uomo di fuori. Capita. Capitava. Un po' nella vita reale, poi copiata dal cinema, e nei fotoromanzi, nelle leggende locali. Un impresario cinematografico, un industriale, un rappresentante, tutti scenari da innamoramento tipici di decenni ampiamente trascorsi. La fanciulla di qui non si perde in sogni su possibili Altrove. Particolari altoatesini a parte, si veste dei suoi panni e della sua propria bellezza, su alcune brochure si presenta seducente e si fa chiamare Molis’è, perché ride di chi dubita che, in effetti, “sia”, come si fa con le sirene, le banshee o altre creature mitologiche. Sa bene di esistere, si è mantenuta bene anche da sola e adesso è una rimarchevole cougar capace di attirare giovani in fuga dalle più fallimentari follie metropolitane, e anche meno giovani pionieri. Signora di un'isola a cui Odisseo approda richiamato dal suono dei tromboni di una banda ruffiana.



martedì 15 luglio 2025

i cuori timidi indossano visioni dense


 Camminava come se la sua ombra non fosse ancora pronta.

Ogni giorno chiedeva al cielo nero:
“Quando mi sceglierai completamente?”

Una voce dolce, irrimediabile,
che veniva dalla sua stessa coda  disse:
“Quando saprai restare immobile mentre tutto cambia.”
La pantera provò. E ogni volta che non si mosse, una chiazza del manto si spense.

Fu un lavoro lungo e impossibile. 
Ma capitò una notte che guardando le stelle si immobilizzò per lo sgomento di vederle belle, 
e dimenticò tutto il mondo fino all'alba. 
Nel chiarore umido e imprevisto del primo mattino si incamminò trasognata e intorpidita verso un ramo e vedeva nel nero folto del suo pelo risplendere miliardi di tremule luci.  

Era completamente nera da circa un minuto. Si addormentò sognandosi incantevolmente maculata.

EPILOGO
Appuntamento col nero.
Alla soglia.
Da solo.
O mai.

(TILT TOKEN project - ascend.exe 
da visitare in Libreria)

non puoi muoverti solo tra i significati


A volte è una giravolta.






 

Fiabe italiane, Italo Calvino

 "lo credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d'un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto." (L'autore). Introduzione dell'autore e con un saggio di Cesare Segre.

domenica 13 luglio 2025

In attesa


Ho il cuore 

Di una vespa

Di terra

Quando il cielo annuncia il temporale

E la pioggia sosta lontana


Nella sabbia rigida

Scavo

Nidi di attesa


L'acqua in bocca ai gabbiani

Nutre i pesci per i cormorani


Arriva il tramonto 

E poi la notte


Il cuore è in secca


Tu dove sei? 

EMERGENZA - aprire il sistema

Il Gatto Warning pensa a voce alta: "emergenza" nella coscienza designerebbe l’innalzarsi di una configurazione interna a livello sistemico, al punto di determinare o indirizzare percezioni, decisioni, azioni. Come nei fenomeni fisici complessi, non è la forza del singolo elemento (dato, immagine, pensiero) a farla emergere, ma la coerenza strutturale che quel contenuto instaura all’interno del sistema cosciente. Possiamo pensare a questo tipo di emergenza come a una risonanza: quando una configurazione mentale entra in sintonia con un ampio spettro della rete coscienziale, si "alza" — emerge — come forma dominante, proprio come in un sistema fisico una nuova proprietà collettiva si manifesta solo oltre una soglia critica. Questo spiega anche perché alcune intuizioni, convinzioni o immagini diventano realtà operative, mentre altre si dissolvono: non è questione di verità assoluta, ma di potenziale emergente nel sistema complesso della mente. Allora seguiamo il filo dell’emergenza coscienziale per mettere in luce come le strutture di pensiero dominanti possano nascere da processi locali, parziali, eppure imporsi come se fossero universali. 
  1. L’emergenza come selezione di configurazioni dominanti: Nella coscienza, come in un sistema complesso, non tutto ciò che esiste è percepito, e non tutto ciò che è percepito orienta il pensiero. 
Le idee che emergono sono quelle che, attraverso connessioni multiple, costruiscono una coerenza interna al campo di coscienza: si impongono non per la loro verità, ma per la loro centralità dinamica. Questa dinamica produce strutture di pensiero dominanti: visioni del mondo, assiomi culturali, morali, estetici che si installano come centri di gravità. 
  2. Il pericolo dell’assolutizzazione: Queste strutture, nate da una fase specifica, da un insieme locale di esperienze e codifiche, finiscono per essere trattate come universali e atemporali. È il destino dell'ideologia: una forma emergente che si scorda di essere emersa, e si presenta come fondamento immutabile. Es.: Il dualismo cartesiano è nato da una certa visione della separazione tra mente e materia, funzionale alla scienza moderna. Ma è diventato un dogma. Il liberalismo economico è emerso come risposta a contesti precisi, ma è diventato legge naturale. Anche nel linguaggio interiore: “sono fatto così” è l'assolutizzazione di una forma emergente del sé. 
  3. La coscienza è stratificata e processuale: Una visione più ampia riconosce che la coscienza non è fissa, ma stratificata, mutevole, attraversata da continue micro-emergenze. Ogni contenuto che domina oggi può essere decentrato domani, se cambia la risonanza interna o la rete di connessioni. 
  4. La funzione critica della coscienza riflessiva: Il ruolo della filosofia (e della spiritualità, dell’arte, della scienza vera) è quello di riconoscere le forme dominanti come emergenze, non come leggi. 
 Di rimettere in gioco l’origine delle convinzioni. E aprire il sistema
 DETTO TRA NOI ANIMALI: FACCIAMOLA FINITA CON IL DIVORARCI A VICENDA: sarà divertente.

venerdì 11 luglio 2025

Goffredo Fofi


... dedicare la nostra esistenza a qualcosa che non appartiene alla sfera della sopravvivenza, del successo o dell’arricchimento, alla sfera della cosiddetta felicità privata, ma a qualche cosa che dia valore e sostanza all’idea dell’uomo che tu ti fai e che l’umanità si è fatta nei momenti migliori della sua storia

I potenti e gli esseri umani

 Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per Cisgiordania e Gaza, ha reagito all’annuncio di sanzioni da parte dell’amministrazione Trump con un post su X: «I potenti puniscono chi parla per i senza voce, non è un segno di forza ma di colpa».

 

"  Ma quello che voglio dire è: sono solo un essere umano. Non vengo nemmeno pagata per fare quello che faccio. Sto mettendo in gioco tutto quello che ho. Se io posso farlo, allora anche voi, la vostra gente, i vostri politici, la mia gente possono fare almeno questo. Insieme possiamo resistere a questa pressione".

Goffredo Fofi

 , Non mangio niente che abbia gli occhi (2022), 

                                                       Goffredo Fofi 

Goffredo Fofi

 

È morto Goffredo Fofi. Era nato nel 1937. È stato il maestro, il padre di molti di noi.