Mi arrendo mi addormento
senza di Lei accanto
se non in sogno
nei sogni è Lei che si arrende
che tra le Sue oscure braccia mi prende.
Mi arrendo mi addormento
senza di Lei accanto
se non in sogno
nei sogni è Lei che si arrende
che tra le Sue oscure braccia mi prende.
IL BAMBINO DELLE CANTINE
Avendo bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino.
Allora barcollava?
No, ma dava baci a tutte le bambine, dietro i barili, nelle cantine.
In mezzo al buio, all’oscurità, alle tenebre. È qui che ci troviamo. Nel nero che ci pervade, ci avviluppa, ci circonda. Fuori e dentro di noi. Davanti ai nostri occhi spalancati, l’abisso scavato dal pensiero raziocinante. Ogni giorno con la sua nuova catastrofe: un ecocidio, una guerra, un genocidio, lo sterminio generalizzato del vivente reso più possibile e tollerabile dalla formattazione algoritmica delle coscienze, garanzia di servitù volontaria. Nero come la morte. Ma dietro ai nostri occhi dischiusi, l’infinito squarciato dal desiderio. La folle scommessa di riaccendere la vita disobbedendo a norme, disertando ruoli, negando forme e apparenze del reale. Reclamare libertà civili porta a strisciare nelle istituzioni — ma la libertà è un salto nell’ignoto. Nero come l’anarchia. In mezzo al buio, all’oscurità, alle tenebre. Laddove, per cautela o discrezione, non si sbraita — si sussurra. Parole sconosciute, difficilmente afferrabili, che non acconsentono a farsi complici della propria epoca.
(da Andrea T. )
Non mi pento
di averti stretto con forza
la primissima sera
quando non c'erano giusto o
sbagliato
solo un mondo a parte
e il battito sconsiderato
del mio cuore agitato
-
e con desiderio che scioglie le membra, guarda con sguardi
più struggenti del sonno e della morte,
e non vanamente ella è dolce.
Coimbra, 19.5.2025
Coimbra si posa tra le pendici delle montagna e l’oceano vicino.
Case abbandonate, palazzi immensi, strade profonde, viali sospesi. Si articolano ricordi di canzoni smarrite, di viaggiatori, di combattenti, di studenti.
Quale spazio rimane tra i giardini e le piccole vie del centro, i ristoranti coreani e i kebab, i palazzi abbandonati, occupati per le libertà, le piazze piatte, gli edifici netti e l’immensità?
Cosa rimarrà di Coimbra?
Cosa sogna Coimbra?
La sera si animano alcune piazze, musica e balli in strada.
Altre rimangono deserte, tra i cantieri e i rider affaticati.
Le finestre sono spesso aperte: parlano di una vita che non ha paura di raccontarsi.
Rimane poco da dare in pasto ai turisti.
Terrazze così piene di natura, palazzi talmente alti che dominano il cielo; tovaglie, vestiti stesi, gatti disorientati cercano un posto di vento e di sole che li accolga.
Così la città è dolce con chi beve, chi si dispera. Lo abbraccia con il silenzio, la musica, le mani gentili.
Coimbra sogna, sì.
Sogna di rimanere libera.
Verso Nazarè, 20.5.25
A Nazarè la terra si dimentica di se stessa e si butta nell’oceano
Lungo la strada per Nazarè, nella campagna, si osservano boschi e coltivazione di ulivo, eucalipto, frutta, kiwi.
I paesi sono agglomerati di case: a quelle in rovina si accostano costruzione nuove, senza un’identità definita.
Tra piccoli bar isolati, stazioni di benzina, cimiteri, boschi immensi, pini sottili provati dal vento, si incontra un mondo fatto di ricordi. Quante vite immerse in cellule separate: ci si chiede chi passi per quelle strade e chi abiti quelle case.
In un piccolo bar lungo la strada, un signora ci accoglie con cura, sorpresa dalla nostra entrata. Tra espositori di cioccolato milka e tazzine per il caffè, abbiamo il dono di un volto sereno che ci saluta.
Arrivati a Nazarè
Nazarè si perde tra le piccole casette incastonate nelle strade minuscole e i palazzi che fagocitano la bellezza. Finestre dove non c’è luce, finestre che cercano disperatamente un contatto con il vento.
A Nazarè ondate di profumo di griglia invadono le strade: bambini giocano a palla davanti ad una casa in festa.
L’oceano, oltre la roccia, si sposa con i vento. Un verde così pieno di fiori ci saluta.
In mezzo alla spiaggia spessa, dove la memoria delle conchiglie è ancora viva, ci guarda l’infinito.
Verso Sintra, 21.5.25
La campagna portoghese ci abbraccia e ci accompagna da Nazarè a Sintra.
La luce di Nazarè solleva i nostri corpi in una dimensione fatata, sospesa. I boschi e le montagna non smettono di tenerli preziosamente elevati.
Povoa è il punto in cui le alture donano visioni di felicità. Un piccolo cimitero affonda nel punto di incontro tra le cime di questo mondo.
Una musica di festa rimane nei sogni degli abitanti.
Arrivati a Sintra
Tra frutteti e campi coltivati e poi ancora boschi di eucalipto, quercia da sughero e pini, Sintra compare all’orizzonte. Sintra è capricciosa, Sintra non sembra avere un cuore.
I turisti la mangiano a bocconi spessi; Sintra è illuminata dalle sue meravigliose piante. Platani gioiscono lungo i viali, sequoie tagliano il cielo.
Tra i palazzi reali e il desiderio ormai sprofondato, saltellano i merli e i passeri.
Il vento a Sintra arriva: sopra le chiome dei turisti indaffarati a scattare fotografie e a succhiare una linfa secca, illumina le piante e il cielo.
Qui le nuvole corrono veloci e i pensieri con loro.
Verso Cabo da Roca
Abbandoniamo i volti rigidi di Sintra, salutiamo quel piccolo bar il cui gestore serve il caffè con eleganza: ama il suo lavoro, ama i suoi clienti, le sue mani indicano i dolci con affetto.
Cabo da Roca è il punto più ad Occidente dell’Europa. Qui i colori dell’Irlanda dominano: verde intensissimo e marrone di terra oceanica.
Qui l’infinito esiste.
Qui l’oceano spaventa.
Qui la corrente non bacia le sirene, ma i pirati del nuovo mondo.
Lisbona, 21.5.25
Cara e meravigliosa Lisbona, la nostalgia della tua luce mi riempiva di angoscia e desiderio.
Tra querce da sughero e spighe in festa, arriviamo nella tua profondità.
Ci accogli nella notte, ci sorprendi nel mattino, ci porti verso i nostri sogni al tramonto.
Tra case e palazzi incastrati gli uni negli altri, la musica rimane un filo che ci accompagna.
Le strade divorate dai turisti sono tante. Canali zeppi di macchine, tuk tuk e pullman: come un formicaio di zainetti e scarpe da ginnastica, scavano nel cuore della città.
Amata Bairro Alto, Amata Bica, Amata Alfama, qui si può trovare ancora la tua anima intera.
Lisbona ha tante braccia e soffia con la sua bocca di conchiglia.
Fa spazio a tutti, per un po’.
Per chi rimane, è necessario stare in equilibrio nel suo vento.
Per chi non la dimentica, è necessario cucire un lenzuolo bianco e attendere il momento per volare quando la città soffia.
Porto, 23.5.25
Porto è energia. Porto è l’incontro tra un antico rumore profondo e il volo di un gabbiano.
Porto è squartata e dissanguata, ma resiste nella sua bellezza.
Il turismo la mastica e la vomita.
Ma Porto si difende.
La sua anima si estende dalla nudità della terra a dove solo gli uccelli possono stare.
Tra i vicoli che si nascondono fino al canale, il fuoco di Porto brucia l’anima di chi la vuole depredare.
Di notte, la magia di una cupola attorno alla quale i gabbiani dichiarano, a gran stridio: Porto è nostra.
Adorata Porto, resisti.
Amata Porto, la tua luce abbagliante, la tua sera dolorosa, la tua notte oscura siano sempre vicine a te.
Le chat
Viens, mon beau chat, sur mon coeur amoureux;
Retiens les griffes de ta patte,
Et laisse-moi plonger dans tes beaux yeux,
Mêlés de métal et d’agate.
Lorsque mes doigts caressent à loisir
Ta tête et ton dos élastique,
Et que ma main s’enivre du plaisir
De palper ton corps électrique,
Je vois ma femme en esprit. Son regard,
Comme le tien, aimable bête
Profond et froid, coupe et fend comme un dard,
Et, des pieds jusques à la tête,
Un air subtil, un dangereux parfum
Nagent autour de son corps brun.
{Charles Baudelaire — Le chat}
Il gatto
Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritrai le unghie della zampa
e lasciami sprofondare nel tuoi begli occhi
screziati di metallo e di agata.
Quando le mie dita accarezzano liberamente
il tuo capo e il tuo dorso elastico
e la mano si inebria di piacere
nel toccare il tuo corpo elettrico,
rivedo la mia donna nello spirito. Il suo sguardo
come il tuo, amabile animale,
profondo e freddo, taglia e fende come un dardo.
E, dai piedi sino alla testa
un’espressione sottile, un profumo pericoloso
nuotano intorno al suo corpo scuro.
{Charles Baudelaire — Il gatto }
(by La Libraia)
(by Prospero per Sait Fatik)
Successivamente, le fotografie vengono trasformate con la tecnica della Gum Print, procedura di stampa americana risalente agli anni Sessanta, che restituisce alle immagini una materia viva fatta di contrasti, imperfezioni e gesti artigianali.
Ogni stampa diventa così, un pezzo unico, un incontro tra natura,luce e mano.
La scelta di esporre molte di queste immagini in piccolo formato dialoga con il carattere raccolto della libreria che le ospita. Tra scaffali di storie e parole, le stampe trovano un ambiente intimo e riservato, dove il visitatore è invitato ad avvicinarsi, a soffermarsi e a scoprire lentamente dettagli e diverse modalità di lettura.
Una mostra che invita a rallentare lo sguardo, a camminare con gli occhi e a riscoprire la pura bellezza dei paesaggi quotidiani.
Simone Bertuzzi
Quanto è difficile per noi restare umani, qualunque cosa accada?
Nella notte più buia il linguaggio ci chiede di cosa siamo fatti, insiste sulla necessità di immaginare i tanti punti di vista delle persone e degli esseri viventi che abitano questo pianeta; il linguaggio ci collega gli uni agli altri...
... leggere e scrivere letteratura vuol dire opporsi a ogni atto che distrugga la vita.
"Diviso in quattro stanze, più una camera degli inediti, questo libro è un’opera in versi sul transfert. Da tenere nella biblioteca di una scuola di specializzazione in psicoterapia. Brevi lezioni di psicoanalisi, ossessioni di una paziente che sogna poesie. Brevi testi che con il loro ritmo, alimentato dalle rime, attivano i nostri neuroni. Pagine che riflettono un percorso di analisi junghiana. Ringraziato più volte dall’autrice, venerato e domestico, Jung si diffonde per tutto il testo. Vivian Lamarque, d’altronde, sarebbe piaciuta allo psicologo svizzero, cultore del Rosarium Philosophorum. Anche lei, infatti, racconta una fiaba sul transfert. Anzi, una fiaba-trattato intessuta di poesie che dedica al suo analista B.M. Nel personalissimo Rosarium di Vivian, il re e la regina degli alchimisti diventano il signore e la signora: lei è imprevedibile nelle sue invenzioni e lui di volta in volta è il signore gentile, il signore mai, il signore intoccabile, il signore loden, il signore usignolo, il signore neve, il signore rapito, il signore d’oro. In questi frammenti di transfert, tuttavia, anche la paziente di volta in volta è la signora dei baci, la signora mezzasera, spostatrice di montagne, la signora dell’ultima volta. Signora d’oro perché è stata una paziente paziente, ma anche perché non ha mai tradito la poesia. Prima durante e dopo. Dimostrando che la psicoanalisi non porta via, insieme ai demoni, anche gli angeli, come temeva Rilke. Ma soprattutto che i demoni e gli angeli, nella poesia, spesso si confondono. Per anni Vivian scrive fogli su fogli e li dedica tutti al suo analista. «Quanto ha dovuto lavorare il mio Dottore», dice. Ne sono sicuro, ma so quanto ha lavorato lei per riconoscere e mettere in versi i grandi temi di un’analisi (e di una vita): accoglienza, frustrazione, confini, cocciutaggine, gelosia, premura, prepotenza, sincerità. Una signora che nell’arco di quarant’anni ha avuto tutte le età, è stata timida e indomita, «giovane e vecchina», capace di coprire l’analisi dei traumi con la polvere d’oro della poesia. In dono ci lascia la pietra filosofale della sua scrittura di puntigliosa puella. Come diceva Giovanni Raboni, la sua semplicità è quasi feroce. Jung sosteneva che il mistero dell’analisi è racchiuso nella coppia paziente-terapeuta e non può essere tradito dalle parole o esaurito dalle argomentazioni. Ma può essere affidato alla poesia. Di Vivian Lamarque."
Vittorio Lingiardi
Prima durante e dopo. Dimostrando che la psicoanalisi non porta via, insieme ai demoni, anche gli angeli, come temeva Rilke...
L'amante perfetto
Ho bisogno d'un amante che, ogni qual volta si levi,
produca finimondi di fuoco da ogni parte del mondo!
Voglio un cuore come inferno che soffochi il fuoco d'inferno
sconvolga duecento mari e non rifugga dall'onda
Un amante che entri in lotta come un leone, valente come il Leviatano,
non lasci nulla che se stesso, e con se stesso anche combatta ...
Romy Schneider e Tomas Milian
Il Lavoro, episodio di Luchino Visconti da Boccaccio '70 (1962)
(Estratto da THE CUBAN HAMLET, Linus Maggio 2025)
" Ti voglio solo come sogno," dicono alla donna amata, in versi non inviati, coloro che non osano dirle nulla...
Raccontano della luce
i giardini di Coimbra
I bambù suonano
per la festa
Nella città che si alza
le montagne accompagnano
la Resistenza
del Sentire
(by Fra)
Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione piú difficile di quando si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi piú potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla viva corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere piú nessuno e da nessuno compresi?
O dovremo contare sulla buona sorte?
Questo chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta oltre la tua.
An den Schwankenden (Bertolt Brecht, 1933)
Du sagst:
Es steht schlecht um unsere Sache.
Die Finsternis nimmt zu. Die Kräfte nehmen ab.
Jetzt, nachdem wir so viele Jahre gearbeitet haben
Sind wir in schwierigerer Lage als am Anfang.
Der Feind aber steht stärker da denn jemals.
Seine Kräfte scheinen gewachsen. Er hat einunbesiegliches Aussehen angenommen.
Wir aber haben Fehler gemacht, es ist nicht mehr zu leugnen.
Unsere Zahl schwindet hin.
Unsere Parolen sind in Unordnung. Einen Teil unserer Wörter
Hat der Feind verdreht bis zur Unkenntlichkeit.
Was ist Jetzt falsch von dem, was wir gesagt haben
Einiges oder alles?
Auf wen rechnen wir noch? Sind wir Übriggebliebene, herausgeschleudert
Aus dem lebendigen Fluß? Werden wir zurückbleiben
Keinen mehr verstehend und von keinem verstanden?
Müssen wir Glück haben?
So fragst du. Erwarte
Keine andere Antwort, als die deine!
Staggerin' post-colonial african zombie state chase the people into the waves
Watch every ship and raft 'til they disappear
Whether it make it or watery grave, hey, who's to say?
…
L'apice della carriera agonistica di Luciano Chiarugi fu raggiunto nella sera di questo giorno, 52 anni fa, nello stadio di Salonicco. Fu lui, con la maglia numero 11 del Milan, a calciare la punizione vincente contro il Leeds, nella finale di Coppa delle Coppe di quella stagione. Sono andato a cercare una testimonianza filmata di quell'evento su YouTube e, benché non sia un abile moviolista, devo ammettere che nutro più di un dubbio sulla correttezza della decisione dell'arbitro. Bigon se la corre, palla al piede, fin verso i sedici metri dell'area di rigore e manco cade a terra. Viene sbilanciato dal numero 5 avversario, forse in un spalla contro spalla che, da quel che ricordo, dovrebbe essere un contrasto consentito. Credo che a Leeds, città dello Yorkshire settentrionale con un importante passato nell'industria laniera, ci sia ancora qualche anziano incazzato che ne parla (verosimilmente da solo, ubriaco, in un pub). C'è da dire che gli inglesi ci misero del loro schierando una barriera imbarazzante, giustamente perforata dal sinistro dell'attaccante di Ponsacco.
Aveva 26 anni, Chiarugi, detto Cavallo Pazzo. Oggi ne conta 78 e credo che neanche faccia più l'allenatore. Sono pronto a scommettere che la vita gli avrà riservato altri gratificanti approdi, dopo il ritiro, ma mi piace pensare che condividiamo quella data come un landmark. Un punto di arrivo per lui, quello di partenza per me, che in quelle ore mi trovavo a familiarizzare con un'incubatrice, macchina che mi mantenne in vita nei miei primi, difficili, giorni su questo pianeta, nel reparto ostetricia dell'ospedale San Carlo di Milano.
La leggenda vuole che a casa, abbandonati a loro stessi, mio fratello e le mie due sorelle, abbiano cercato invano di rendermi istantaneamente figlio unico, arrivando a tanto così dal provocare un incendio, nel tentativo di friggere delle patate in padella. Sono lieto che l'impresa non sia finita in tragedia, se non altro perché così ho avuto modo di ringraziarli di persona per aver messo nel cappello i tre voti fondamentali per l'assegnazione del mio nome di battesimo. Contro i due di mamma e papà, costituirono la maggioranza assoluta che relegò "Giancarlo" a ingombrante comprimario da utilizzare tassativamente a ogni compilazione di generalità, pena l'attribuzione di un codice fiscale errato.
Per via di Chiarugi e della sua pedata vincente, si sarebbe detto che ero destinato a ingrossare le fila della tifoseria milanista e che, arrivata l'età in cui le partite in tv iniziano a interessare più dei cartoni animati, avrei dovuto legare il mio innato, italico e cattocalcistico senso di appartenenza ai colori rossoneri. Ma, giunto quel giorno, non ero ancora uno che si lascia impressionare da segni del destino, rovi ardenti e romanticherie varie e trovai naturale diventare un convinto interista, lasciando intravedere già in fase preadolescenziale una preoccupante vocazione all'autolesionismo. Smisi presto, per fortuna, all'età in cui le partite in tv iniziano a interessare meno delle femmine (scatto non automatico), per cercare nuove e più interessanti forme di dipendenza. Ovviamente l'Inter vinse lo scudetto l'anno dopo.
Non ho mai pensato di scrivere a Chiarugi per informarlo di questo nostro sodalizio astrale. So che è superfluo. Un giorno ci incontreremo nel bar di un autogrill e ci riconosceremo. Io gli dirò sottovoce la data del sedici maggio millenovecentosettantatré e lui scuoterà la testa, rivelandomi che in realtà il suo successo più importante è stato lo scudetto con la Fiorentina nel '69.
(foto scattata nel parcheggio di un Decathlon, fine estate 2018)
L'arte cerca la libertà.
Unisce le persone, include la diversità.
Ecco perché rappresentiamo una minaccia per gli autocrati e i fascisti del mondo, ma la creatività non ha prezzo": l'urlo di Robert De Niro
" Lei sa che Pedro de Alcacova ha detto che i Lusiadi hanno un solo difetto : il poema non è abbastanza breve per impararlo a memoria, né lungo abbastanza per non aver fine".
Afghanistan!
Vietnam!
Iran!
Native American!
America!
Well, everyone's allowed a past they don't care to mention
America!
America!
…
Saggio sulla ferocia e la terminazione dell'umano
E chi pensa non è solo. Altri pensano, altri contemplano il dramma, e lo vivono singolarmente Ciò che accade nel presente- il genocidio eretto a nuova regola della storia, lo scatenarsi della demenza aggressiva in ogni nicchia delle relazioni sociali- è molto peggio di quel che accadde in Germania nel 1933, perché ora è definitivo e incontrastato e perché nel futuro non ci sarà nessuna Stalingrado- Per questo pensare è tremendo, ma indispensabile.
Così dolce la voce di donna
timidamente ricorda le cose dell'amore
Senza intento senza
scopo
senza tempo né luogo
Com'era già capitato a Gijon, sorpresi Porto in pigiama, in strade piene solo di alba, entrandogli in casa dalla gattaiola. Ero emerso all'improvviso dal gomitolo di vicoli della municipalità limitrofa di Vila Nova de Gaia, precipitando ai piedi del colossale ponte Luiz Primero, sulle rive del Duero. Sistemato il mulo in un luogo strategico per la notte a seguire, avevo atttaversato la passerella più bassa di quell'utilissimo gargoyle di ferro e mi ero concesso di visitare fuori orario il tempio serale delle taverne con vista sulla città vecchia, che si innalzava come un goloso mont blanc di colorati livelli architettonici, subito al di là del fiume.
Ondeggiavo sulle banchine assieme agli scenografici trialbero griffati Porto Sandeman, mentre il sole iniziava a guadagnare centimetri su stucchi, coppi e bovindi più alti, vestendoli di colori e forme, e tagli di luci e ombre che si offrivano con sempre minor pudore, a disposizione dei più mattinieri tra i fotografi. Ma c'ero solo io. E qualche cicloturista in fase di selfie rituale. E due camminatrici con zaino. Colsi un accento familiare, tipo Bologna. Sì, ciao, noi Bologna, e tu? Cremona. Dirette a Santiago? Sì, cammino portoghese, appena partite.
Per il resto, silenzio al cospetto di un grande e variopinto scrigno addormentato. Un cofanetto stipato di anime e corpi, una pentola a pressione rimasta su tutta la notte, un pouf che trattiene e imprigiona una montagna di giocattoli che pretenderebbero vivere di vita propria, inerti, in attesa di esplodere fuori dal coperchio nel giorno dei bimbi. Ebbi chiara l'immagine di un'umanità presente per procura. Ne udivo il ronzio vago negli oggetti e negli edifici ma, di fatto, era nascosta, provvisoriamente invisibile, compressa nelle abitazioni.
Erano ancora tutti vivi? Che bel gioco di fantasia fu, in quel momento, pensare che la città potesse essersi svuotata in una notte, con un esodo di carri e masserizie nel buio di una luna nuova, effettuato per motivi misteriosi. O anche immaginare un sortilegio. Persone dissolte dietro l'uscio di casa allo scoccare delle quattro antimeridiane e, al mattino, ritrovate sottoforma di nebbia sottile che filtra verso l'esterno da sotto le finestre. Un barcaiolo superstite la osserva galleggiare sul Duero e non capisce di essere rimasto l'unico.
Ecco, dunque, come questa propaggine del vecchio Occidente mi era apparsa degna di far parte del novero onirico delle Città Invisibili Disegnando questa fantasia, avevo finito col trovarmi faccia a faccia con me stesso in un vetro. Mi diedi un titolo, prendendone un altro in prestito da una famosa, vecchia canzone che mi aveva intersecato la mente. La melodia mi rimase in testa fin dentro i ciottoli della Ribeira, svanendo infine nei tintinnii di un caffè all'aperto.
Estratto da: Cammamoro, 'Cartoline da Trapani', Internazionale 1573 del 26/07/2024
(https://www.instagram.com/cammamoro)