lunedì 29 novembre 2010

La libreria

La libreria,quella libreria
Molti piani sotto la tua scarpa
E' una stanza con le luci accese



Il Circolo Poetico Correnti in collaborazione con

CRAC Centro Ricerca Arte Contemporanea di Cremona

presenta il libro di


Annalisa Cattani

PUBBLICITA' E RETORICA

Meccanismi argomentativi della persuasione

Lupetti - Editori di Comunicazione 2009


Sarà presente l’autrice con riflessioni e videoproiezioni sul tema




Questo studio propone un’applicazione della retorica alla pubblicità riprendendo questa disciplina nella sua interezza come studio delle strategie che mirano alla persuasione, percorrendo le tappe di ideazione, disposizione, espressione e messa in scena del messaggio pubblicitario. Una moderna teoria dell’argomentazione che riprende lo schema della tradizione aristotelica alla luce delle teorie contemporanee. Ciò permette di tracciare un percorso utile per chi si accinge a creare, per coloro che vogliono avere strumenti di analisi interpretativa e anche per tutti quelli che desiderano semplicemente acquisire una maggiore coscienza dei modi in cui la pubblicità ci invita, affascina, attira, convince, innervosisce, meraviglia, in breve del modo in cui ci influenza. La pubblicità si rivela essere sia specchio e matrice della società, inaugurando concetti di femminilità e mascolinità, allargando la percezione della famiglia, trasformando l’esotismo teso verso un oriente indefinito in un esotismo metropolitano che fa di New York la fonte di un’indefinita nostalgia. Essa è una fucina continua che utilizza la cultura alta a scopo ludico, ricicla sé stessa in favore di un effetto di memoria, osando perfino citare la morte come stimolo persuasivo che inciti all’acquisto. L’evoluzione del linguaggio pubblicitario tende sempre più ad acrobazie di senso e a ironiche interpretazioni, con un ampio utilizzo di figure retoriche, rivelando un consumatore attento che non vuole solo essere informato, ma soprattutto divertito.La retorica fornisce dunque un valido strumento per accorgersi dei dettagli, per mettere in evidenza che la creatività non è solo una dote innata, ma il frutto di una pratica che utilizza strategie sempre più sorprendenti. Arte e pubblicità si contaminano reciprocamente e diventano strumenti di avanguardia come capita nell’ultimo periodo attraverso la cosiddetta guerriglia advertising, una nuova modalità di fare pubblicità che entra direttamente nella nostra vita laddove meno ce l’aspettiamo tramite performance e happening, al di fuori dei contenitori usuali della promozione.




Annalisa Cattani è artista ricercatrice di retorica e Arti Visive. Insegna all’università di Trieste Linguaggi della Pubblicità e Copywriting e collabora con il DAMS di Bologna.Laureata in lingue e Diplomata all’accademia di Belle Arti di Bologna, ha conseguito il dottorato in retorica all’Università di Torino, ed il postdottorato in Arti Visive al DAMS diBologna, conclusosi con un periodo di formazione alla Columbia University di New York.E’ tra i soci fondatori dell’associazione Dart e collabora con Undo.net e Radio Città delCapo.Tra le sue recenti pubblicazioni ricordiamo Negoziare la distanza, Artiste Italianee Arte Pubblica in ( a cura di) Maria Antonietta Trasforini, Donne D’arte (Meltemi, Roma 2006);Meccanismi argomentativi nell’Arte Pubblica, in Pierluigi Sacco (a cura di) Economiadella Cultura n.3 (Il Mulino,Bologna 2006);From the wilderness to the Neighbourhood,in Maria Campitelli (a cura di) Public Art a Trieste e dintorni, (Silvana,Milano 2008).







Per info sulla serata: 0373 86560 339 4439848 Alberto Mori





domenica 28 novembre 2010


Penelope/Bolzano Poesia

Dalla Penelope omerica, fragile e temeraria, alle fragili guerriere di un rinascimento epico delle poete contemporanee: è questo il Progetto Penelope di Bolzano Poesia 2010, organizzato dall’Ufficio Cultura del Comune di Bolzano e curato da Daniela Rossi, che a partire dal 29 novembre vedrá il susseguirsi di grandi nomi del teatro e della musica. 

BOLZANO Poesia – Dichtung in BOZEN

PENELOPE

a cura di/unter der Leitung von Daniela Rossi 


*

29.11.2010 

Teatro Studio Theater
ore 20.30 Uhr Concerto Spettacolo Konzert

ORGOGLIO E FEDELTÀ
Fragile e temeraria Penelope

con/mit: Iaia Forte, Nada, Massimo Zamboni,

musiche e coro /Musik und Chor RME Ensemble, Ars Ludi

Si comincia lunedì 29 novembre al Teatro Studio ore 20.30 con lo spettacolo in prima nazionale ORGOGLIO E FEDELTA' - FRAGILE E TEMERARIA PENELOPE, con grandi nomi del teatro e della musica, la cantante NADA, l'attrice di cinema e teatro IAIA FORTE, il musicista e poeta MASSIMO ZAMBONI. La regia musicale è di GIANLUCA RUGGERI con il suo gruppo di musicisti e piccolo coro femminile. La musica tesse la tela, il piccolo coro rappresenta Penelope e commenta come nella tragedia greca, l'arpa è il telaio, le chitarre la presenza - assenza di Ulisse, le percussioni e l'elettronica il ponte tra la Penelope omerica e quella contemporanea.
Iaia Forte è la voce narrante, racconta il viaggio di Ulisse, le sue fantastiche avventure e l'attesa di Penelope; mentre la Penelope (riscritta da Rosaria Lo Russo) moderna e femminista, ironica e orgogliosa,che si rifiuta di riconoscere e di accettare a braccia aperte il marito, ha la voce e la musica di una grande Nada, in versione pop con il musicista cantante e poeta Massimo Zamboni, fondatore dei C.C.C.P.


*
30.11.2010

Cortile Theater im Hof ore 20.30 Uhr

Reading “Fragili guerriere”

con/mit Rosaria Lo Russo

da Penelope ad Amelia Rosselli e Patrizia Vicinelli

Martedì 30 novembre è la volta di FRAGILI GUERRIERE - DA PENELOPE A PATRIZIA VICINELLI E AMELIA ROSSELLI al Teatro nel Cortile

Reading di ROSARIA LO RUSSO. Il poema epico delle donne da Penelope di Lo Russo a "Non sempre ricordano" di Patrizia Vicinelli e "La Libellula" di Amelia Rosselli è il reading di Rosaria Lo Russo, una delle più interessanti e innovative tra le poete della nuova generazione, già straordinaria lettrice per Caproni, Luzi, Szymborska. E' un'occasione unica per ascoltare dalla sua voce a Bolzano le grandi poete guerriere del '900, Rosselli e Vicinelli, muse ispiratrici di tanta poesia contemporanea.

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3.12.2010

Biblioteca della Donna/Frauenbibliothek ore 18.00 Uhr

presentazione del libro/Vorstellung des Buches

“La tela di Penelope”
di/von Anna Maria Farabbi

con/mit Marina Manganaro, Daniela Rossi

 la saggista e poeta A. Maria Frabbi presenta il suo libro "La tela di Penelope" (ed. Lietocolle)
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9.12.2010
Conferenza al Liceo Torricelli/Konferenz im Lyzeum Torricelli

con/mit Saverio Gualerzi

conduce/ es moderiert Adriano Vignali

Saverio Gualerzi intervistato da Adriano Vignali parlerà di Penelope nell'epoca romana, da Omero a Ovidio.  

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10.12.2010
Auditorium Bombonniere Konzerthaus ore 20.30 Uhr

“La Quarta Parca”

Workshop con gli studenti/ mit den Studenten

A cura di/unter der Leitung von Consuelo Serraino

Musiche di/Musik von Matteo Cuzzolin

letture di /Lesungen von Rosaria Lo Russo 


La messa in scena di uno spettacolo - laboratorio ispirato a Penelope, "La quarta Parca", di studenti delle superiori, con regia di insegnanti e musica dal vivo di un gruppo musicale di Bolzano. I testi spaziano da autrici/autori contemporanei a testi classici: in scena con gli studenti anche Rosaria Lo Russo con brani della sua Penelope.

venerdì 26 novembre 2010

"VOGLIO SAPERE CHI PAGA BRUNO ARPAIA PER PARLARE MALE DI ROBERTO BOLANO .VOGLIO SAPERLO."

giovedì 25 novembre 2010


" CONOSCEVO UN RAGAZZINO,TANTI ANNI FA.
SO CHE NON AVRO' PIU' MODO DI INCONTRARLO,COSI' VORREI DEDICARE QUESTO LIBRO A LUI.NON SONO RIUSCITO A REALIZZARE TUTTI I SUOI SOGNI,MA NON HO TRADITO NESSUNA DELLE SUE PASSIONI E DELLE SUE BATTAGLIE.
A CRI,QUANDO AVEVA SEDICI ANNI: NESSUNA SCORCIATOIA,NESSUN COMPROMESSO. "


IN "SCAVARE UNA BUCA ",CRISTIANO CAVINA, MARCOSYMARCOS 2010

lunedì 22 novembre 2010



VIII FESTIVAL INTERNAZIONALE DI LETTERATURA RESISTENTE

Stampa Alternativa 1970/2010: appena 40 anni!

Sorano e Pitigliano (GR) 4 e 5 DICEMBRE


Cara amica, caro amico,


Il primo Festival ospitò quattro scrittori analfabeti, perché: ‟La vita si scrive”, e quindi diventa letteratura. Quello dello scorso anno fu interamente dedicato a Boris Vian ed al mio innamoramento per quel ‟disertore eccellente”.

Quello di quest’anno, l’ottavo, sarà un po’ festa e un po’ festival letterario.

La festa è quella di sabato 4 dicembre, la festa dei miei, dei nostri 40 anni, con un occhio ai prossimi 40. La festa avrà ospiti d’onore, significativi di quanto di buono, di bello e di provocatorio ha combinato Stampa Alternativa in questi 40 anni: Luciana Bellini e Letizia Nucciotti, che hanno trasformato in letteratura frammenti delle loro vite; una letteratura, la loro, che riscatta il nulla della letteratura di regime. Poi ci saranno i dolci della ex verduraia di Sorano, Franca Piccini, a celebrazione del suo piccolo libro, giunto dopo due mesi all’esaurimento delle copie ed alla ristampa.

La seconda festa è quella dei musicisti erranti, capeggiati da Angelo Olivieri, con la loro musica libera e errante.

Per il festival letterario poi, io e il mio complice primario, Ettore Bianciardi, visionario ancor più di me e come me mai rassegnato di fronte a violenze, sopraffazioni ed abusi, saremo protagonisti dei quattro appuntamenti, nei quali presenteremo quattro nuovi libri di erranti, libri senza codice a barre, senza copyright e fuori dalla distribuzione ufficiale, pubblicati con metodi e tecnologie che delineano i nostri libri dei prossimi 40 anni, nell’ottica di una sempre più necessaria lotta al regime editoriale delle veline e dei buffoni.

Apriremo con Luciana Bellini, che con Il Billo della vita, darà voce ai migranti delle campagne che popolarono e coltivarono la terra agra di Maremma. Continueremo con Profondo nero, miniere di Maremma, un’antologia di scritti su altri migranti, quelli che scesero nelle viscere metallifere della Maremma per estrarne, a costo della salute e della vita, preziosi tesori. Chiuderemo poi, nella suggestiva sinagoga di Pitigliano, la piccola Gerusalemme, con gli emigranti per antonomasia, gli Ebrei, continuamente perseguitati, che nell’Europa centro orientale si crearono nei secoli una lingua particolare, l’yiddish, nella quale Sholem Aleichem scrisse il suo capolavoro: Che fortuna essere orfano!, oggi finalmente tradotto in italiano.

A coronamento di tutto ciò, io e Ettore presenteremo con orgoglio la nostra opera: Il libro mio lo pubblico io, che insegna a chiunque abbia scritto un libro, a farsi da solo tutte le fasi successive fino al lancio della stampa, senza dover mendicare alle porte delle grosse case editrici e senza doversi svenare, preda di affaristi senza scrupoli, chiamati editori a pagamento.

Questo non è solo un invito a partecipare, ma soprattutto un invito alla tua complicità e solidarietà per i nuovi libri, quelli dei prossimi 40 anni, che saranno, come è sempre stata Stampa Alternativa, non di Baraghini o di Bianciardi, ma di tutti coloro che condividono le nostre stesse istanze di libertà e lo stesso amore per la letteratura, quella vera, quella autentica, quella dove ci scorre il sangue dentro.



Marcello Baraghini

PROGRAMMA

SABATO 4 DICEMBRE

ore 10,30 - SORANO - Fortezza Orsini - Teatro Niccolo IV Orsini
LUCIANA BELLINI, autrice di Il Billo della vita,
dialoga con LETIZIA NUCCIOTTI, autrice di Avanzi popolo.
Partecipa: FRANCA PICCINI, autrice di Il quaderno di Franca.
Introduce: PIERANDREA VANNI - Sindaco di Sorano

ore 15,30 - MONTEBUONO DI SORANO - Ex Scuola Elementare
presentazione del libro: Profondo nero - Miniere di Maremma.

ore 21,30 - PITIGLIANO - Teatro Salvini
Musica errante dal vivo: con Angelo Olivieri, Tony Cattano, Roberto Bellatalla, Marco Ariano.

DOMENICA 5 DICEMBRE

ore 10,30 - PITIGLIANO - Strade Bianche, Via Zuccarelli, 25
Presentazione di Il libro è mio e lo pubblico io, manuale di autopubblicazione. Dibattito con gli autori: ETTORE BIANCIARDI e MARCELLO BARAGHINI.

ore 15,30 - PITIGLIANO - Sinagoga, vicolo Marghera.
ELENA SERVI presenta il libro: Che fortuna essere orfano!, dello scrittore yiddish Sholem Aleichem.
Interviene il traduttore e curatore ETTORE BIANCIARDI.

Pizzuto, pura felicità 

(come dopo un bicchierino di marsala servito da una vecchia    signorina su vassoio con pizzo )

sabato 20 novembre 2010

Pizzuto secondo Madelaine Santschi



" MI COMMUOVONO I LETTORI E BASTA,QUELLI CHE HANNO ANCORA IL CORAGGIO DI LEGGERE IL DIZIONARIO FILOSOFICO DI VOLTAIRE CHE E' UNA DELLE OPERE PIU PIACEVOLI E MODERNE CHE CONOSCO.
MI COMMUOVONO I GIOVANI DI FERRO CHE LEGGONO CORTAZAR E PARRA,COSI' COME LI HO LETTI IO E COME INTENDO CONTINUARE A LEGGERLI.
MI COMMUOVONO I GIOVANI CHE DORMONO CON UN LIBRO SOTTO LA TESTA.
UN LIBRO E' IL MIGLIOR CUSCINO CHE ESISTA "


ROBERTO BOLANO

giovedì 18 novembre 2010


"ALLUVIONE IN VENETO: GLI ARGINI EROSI DALLE VOLPI.PIANO PER ABBATTERLE"




"lA VOLPE APPARVE INASPETTATAMENTE UNA SERA D'OTTOBRE,MENTRE LUKASZ SI TROVAVA SOLO N CASA.
...A MO' DI BUONANOTTE,LUKASZ SI DISPONEVA A INTRAPRENDERE UNA CONVERSAZIONE SILENZIOSA,APPENA MORMORATA CON IL VENTO CHE SOFFIAVA LI' ACCANTO,QUANDO ALL'IMPROVVISO LA PORTA CHE DAVA SUL CORRIDOIO CIGOLO' , E NELLA STANZA ENTRO' LA VOLPE.IMMEDIATAMENTE LUKASZ DIMENTICO' IL SONNO,E TUTTAVIA NON SI MOSSE,TRATTENENDO PERFINO IL RESPIRO PER NON FAR FUGGIRE L'OSPITE INATTESA...BENCHE' TUTTO ATTORNO REGNASSE L'OSCURITA',LUKASZ SI ACCORSE SUBITO CHE L'OSPITE NOTTURNA ERA DI ECCEZIONALE BELLEZZA.INNANZITUTTO ERA UNA VOLPE MOLTO GROSSA,MA SLANCIATA E FLESSUOSA,MERAVIGLIOSAMENTE BEN FATTA,CON GLI OCCHI CHE AL BUIO BRILLAVANO COME DUE TIZZONI ARDENTI,CON UNA CODA GRANDE E FOLTA E ,FATTO VERAMENTE STRAORDINARIO,TUTTA D'ORO,DI UN ORO INSOLITO,DELICATO E SETOSO,CHE RISPLENDEVA NEL BUIO DI SORPRENDENTE LUMINOSITA'.
NONOSTANTE I SUOI CINQUE ANNI,LUKASZ ERA UN RAGAZZINO PRUDENTE E IN QUEL MOMENTO NON AVEVA ALCUNA INTENZIONE DI TRADIRE LA PROPRIA SORPRESA.TUTTAVIA CIO' CHE NON VOLEVA ACCADDE,E A UN TRATTO UN BREVE E SONORO " AH!" ECCHEGGIO' NEL SILENZIO.
NELL'UDIRE LA PROPRIA VOCE,LUKASZ SI RAGGELO' DALLA PAURA. " E' FINITA" ,PENSO' DISPERATO. E NON VOLENDO ASSISTERE ALLA FUGA DELLA VOLPE,CHIUSE GLI OCCHI E PER MAGGIOR SICUREZZA SE LI COPRI' CON LE MANI.
INTANTO MORMORAVA TRA SE' : " OH.VOLPE,MIA CARISSIMA,ADORATA VOLPE,NON TE NE ANDARE,TI PREGO,RESTA QUI,D'ACCORDO ?....


DA "LA VOLPE D'ORO " JERZY ANDRZEJEWSKI EDIZIONI THEORIA 1992.


(A PROPOSITO :ANCHE LE MERAVIGLIOSE EDIZIONI THEORIA SONO STATE "ABBATTUTE " )

mercoledì 17 novembre 2010



LA MONTAGNA INCANTATA.... 

LA MONTAGNA MAGICA?



Un abbraccio a Guido Ceronetti

Gorizia - dal 15 ottobre 2010 al 27 febbraio 2011
Carlo Michelstaedter - Far di se stesso fiamma



PALAZZO DELLA TORRE - FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI GORIZIA

Via Giosuè Carducci 2 (34170)
+39 0481548164
info@fondazionecarigo.it
www.fondazionecarigo.it  


La mostra curata da Sergio Campailla, suddivisa in quattro percorsi fondamentali e composta da oltre 250 pezzi, racconta il mistero di una vocazione esuberante e tragica attraverso una rassegna straordinaria di dipinti, schizzi, fotografie, documenti, manoscritti, edizioni, cimeli, in parte inediti.


orario: da martedì a venerdì dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 19,00, sabato e domenica con orario continuato 10/19.
(possono variare, verificare sempre via telefono)
prenota il tuo albergo a Gorizia:


biglietti: ingresso libero
vernissage: 15 ottobre 2010. ore 11.30

catalogo: in mostra 

editore: MARSILIO

curatori: Sergio Campailla

autori: Carlo Michelstaedter

note: L'organizzazione è di Civita Tre Venezie. Il progetto espositivo rientra in una serie di iniziative realizzate a Gorizia in occasione dell’Anno Michelstaedteriano, ideate e promosse da enti pubblici e privati tra i quali: il Comune di Gorizia, la Provincia di Gorizia e l’ICM – Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei. Apertura al pubblico dal 18 ottobre

genere: documentaria, fotografia, arte contemporanea, personale, disegno e grafica



 






 



RIFLESSIONI DI UN LIBRAIO ALLA PERIFERIA DELL'IMPERO SU AZZURRA D'AGOSTINO,DAVIDE RONDONI,LA VITA DELLA POESIA...


Da alcuni mesi nel settore (settore? orrenda parola che taglia,separa,delimita), nell'angolo (angolo ? sensazione di solitudine,di abbandono,dimenticanza), nel non so che dove teniamo i libri di poesia,è presente una raccolta di Thomas Ronald Stuart, per Ancora edizioni, "Il senso è nell'attesa "

Il libraio (laico) sa che l'autore è del Galles (il libraio pensa : Galles :terra di confine), sa che il Dio di cui parla è un Dio elusivo e sfuggente (Dio assente?) ha letto parole di compassione per la povertà e la deprivazione.

Il libraio si è accorto di non potersi concedere di leggerlo nelle ore di lavoro perchè l'emozione che prova è così forte che lo strania dalle faccende quotidiane.

Quindi l'ha letto e nonl'ha letto.

Una signora sta ora chiedendo al libraio un libro che parli dello spirito in modo non banale.
Il libraio va da Thomas, apre a pagina... e dà alla signora la poesia "La cappella " da leggere.

Il libro.avvolto in carta morbida e fatta a mano,se ne va con la signora.

Il libraio ne sente l'assenza (della signora e del libro)

Desidera ardentemente riaverlo e rimetterlo esattamente al suo posto.
Quanto passerà prima che un altro essere lo possa riconoscere e amare ?

Il libraio è povero,molto,sa che nessuno si accorgerà dell'assenza del libro,sa che gli chiederanno libri di Ec...di Fa...di Am...

Nessuno gli chiederà il libro di Th...Ha la tentazione di tradire, sa che il meccanismo gli impone di

non rimettere quel libro di poesia al suo posto.

(per mesi?per anni? ingiallisce, è invisibile?)

Gli editori chiamano il libraio,vogliono il denaro dei libri non venduti,(non ancora venduti).

"Stanze di gloria " Nella mente del libraio risuona il verso di Bukowski.

Riordina il libro,in fretta,senza pensare,e lo rimette nelle " stanze di gloria " della libreria.

lunedì 15 novembre 2010


Raul Schenardi

'Io non ho mai avuto paura della morte '

pubblicato su Pulp libri

Fiera del libro di torino - maggio 2003

 

questa intervista, concessa alla fiera del libro di Torino, a soli due mesi dalla morte, di cui Bolaño era ben consapevole, sorprende per il tono distensivo e amichevole, che raramente si riscontra nelle interviste di Bolaño, caratterizzate da un linguaggio mordace e aggressivo e dissacratorio e provocatorio, che lo scrittore utilizzava per contestare la casta degli scrittori scribacchini e dei critici e degli intellettuali, che vivevano - e vendevano - mantenendo in vita un sitema di valori, di miti, insomma tutta la retorica della letteratura del boom e del realismo magico, che era ormai morto per sempre e "non aveva più niente da dire"; forse diversità di questa intervista, nei toni, nello stile e nella dose di empatia mai prima riscontrati (che ci mostrano un Bolaño piu' autentico, ben lontano dalle leggende costruite attorno al suo personaggio), se non in rarissime eccezioni (forse nell'intervista di D.G.Miravet ) e determinata da due singolarità abbastanza evidenti:
E' una delle pochissime interviste, se non l'unica, che Bolaño abbia concesso non in forma scritta, ma davanti a un semplice registratore. E' noto che Bolaño ha sempre posto la condizione di rispondere alle domande in forma scritta
E' una delle pochissime interviste, se non l'unica tra quelle note, concesse a una persona non di nazionalità ispanoamericana e che, quindi, sarebbe stata destinata a un pubblico non ispano americano. forse e' questo il motivo che ha indotto Bolaño a non indossare i panni del "provocatore" aggressivo e dissacratore che non faceva sconti a nessuno, consapevole che dopo la sua opera, niente sarebbe più rimasto come prima. come di recente ha detto Alan Pauls
Per me ci sono due Bolaño: uno è quello che chiude, in qualche modo, il ciclo del grande romanzo latinoamericano, e in questo senso, I detective selvaggi un po' è il romanzo che chiude; e dopo c'e' l'altro Bolaño, che è quello di 2666, che per me è qualcuno che apre qualcosa
[ carmelo p. ]



Mi presentai a lui come un fan, chiedendogli di firmarmi una copia maltrattata dell'edizione spagnola, e credo che la cosa lo abbia ben disposto nei miei confronti. E nonostante la confusione imperante nello stand, le interruzioni di lettori che chiedevano autografi (ricordo lo staff di minimum fax, religiosamente in coda), e l'evidente stanchezza di Roberto, assillato dalla sete (una delle prime cose che mi disse fu che non stava bene, ma io pensai a un malessere passeggero, allo stress del viaggio e della fiera), riuscì a trovare la concentrazione per rispondere alle domande e la voglia di aprire ampie digressioni, quando l'argomento gli sembrava abbastanza coinvolgente. Perché il Bolaño conversatore, come lo scrittore, era torrenziale, ellittico, reciso nelle affermazioni e nelle negazioni.
[Raul Schenarsi, Pulp libri - dicembre 2007 ]

"Roberto, mi ha colpito in apertura del tuo romanzo la citazione da Sotto il vulcano, di Malcolm Lowry. Sei d'accordo che si tratti di un grande "romanzo messicano", nonostante l'abbia scritto un inglese, e in anticipo rispetto al boom latinoamericano degli anni '60?"
Assolutamente sì. La citazione è lì proprio per questo. Lowry ha scritto il grande "romanzo messicano", non c'è dubbio.

Anche I detective selvaggi in fondo è un romanzo messicano, molti lo hanno paragonato a Rayuela (Il gioco del mondo) di Cortázar, in effetti ci sono assonanze non solo formali. Ti eri forse proposto di scrivere la Rayuela degli anni Novanta?
La mia ammirazione per Cortázar è enorme, appartengo a una generazione cresciuta leggendo Cortázar a diciassette anni, e in un certo momento incarnava il punto più alto cui si potesse arrivare. In modo un po' irrazionale, perché non c'è mai un "punto più alto", e non è nemmeno necessario arrivare a un punto più alto, ma siccome eravamo giovani, e ai giovani si consentono queste esagerazioni, Cortázar rappresentava il massimo cui potevamo aspirare. Col tempo il mio autore preferito in lingua spagnola è diventato Borges. Cortázar ora è il secondo, diciamo che continuo ad amarlo e a leggerlo con grande piacere. Io non sono mai stato d'accordo con la falsa dicotomia fra il Cortázar autore di racconti e il romanziere. Io penso che se c'è stato qualcuno al mondo che sapeva come strutturare un libro, dal punto di vista teorico, era Cortázar. Ne sapeva molto di più di García Márquez, che scrive quasi intuitivamente, soprattutto se paragonato a Cortázar, molto più di Donoso... Vargas Llosa, c'è stato un momento in cui aveva un senso della struttura più o meno chiaro, ma al livello di Cortázar nessuno. E del resto uno scrittore non può mai tentare di scrivere un romanzo o un racconto "alla maniera di...", anzitutto perché in qualche misura ciò implica un parricidio, e io non ho mai visto Cortázar come un padre, tutt'alpiù come una specie di fratello maggiore, nonostante la grande differenza di età. Lui aveva la virtù della gioventù permanente, dell'energia permanente, e anche dell'ingenuità permanente. Io l'ho conosciuto quando avevo 22 anni, in Messico , e già allora non ero d'accordo con molte sue posizioni politiche, soprattutto per quanto riguarda Cuba, o per quella che Cortázar riteneva dovesse essere la posizione dello scrittore di fronte ai compagni di una determinata lotta. Io credo che uno scrittore non debba chiedere il permesso a nessuno per scrivere, tanto meno a dei militanti, che di solito sono quelli che ne sanno meno di queste cose. Ma lui era molto impegnato nella lotta politica, e oltre tutto leale nei confronti del suo impegno - cosa che mi sembra degna di lode -, e quindi aveva di questi problemi, che io invece non ho mai avuto, anzitutto perché dai pochi gruppi di sinistra nei quali ho militato sono stato cacciato.

Per tua fortuna...
Per mia fortuna. Tornando all'opera da imitare, o da superare... mai, mai.... Sono estremamente modesto rispetto alla mia opera e faccio molta fatica a pensare che I detective selvaggi possa essere paragonato a Rayuela. Per parte mia sarei felicissimo se gli arrivasse al ginocchio, ma credo che non gli arrivi nemmeno al tallone. I detective è un romanzo (credo che si noti) molto autobiografico. In pratica quello che faccio è raccontare la biografia mia e di un carissimo amico a un'età nella quale abbiamo smesso di essere giovani, a vent'anni, abbastanza per smettere di esserlo. Ed è una riflessione, o tenta una riflessione, su una generazione di latinoamericani - e non solo - che ha creduto nella rivoluzione... e probabilmente, se la rivoluzione in cui credevamo avesse trionfato, saremmo finiti in un gulag. E la cosa non è affatto simpatica [ride]. Insomma, sono avvenimenti reali romanzati, alcuni per ottenere maggior verosimiglianza, e altri per ragioni unicamente di ordine estetico . L'unico che non è mai esistito in realtà è García Madero, un personaggio simbolico che per me rappresenta la purezza con cui un ragazzo entra nel mondo della letteratura. E che sia simbolico è chiaramente dimostrato - o se ne da l'indizio - dal fatto che nella parte centrale del romanzo scompare totalmente. Com'è possibile che nessuno ricordi l'unico poeta realvisceralista che accompagna Belano e Lima nel viaggio a Sonora? Com'è possibile che assolutamente nessuno parli di lui? È un simbolo, è il "giovane poeta". Lupe invece è esistita davvero, e le sorelle Font, quasi tutti... È uno dei motivi per cui preferisco non tornare in Messico [ride].

"Un personaggio a un certo punto dice: Ho smesso di scrivere poesia e da quel momento tutto è diventato molto grigio."
La poesia nei Detectives è fondamentalmente la metafora della fragilità e della portatilità della letteratura. Non c'è arte più facile - solo all'inizio, dopo diventa la più difficile di tutte - che scrivere una poesia, che fare poesia. Ricordo che a quel tempo in qualche ambiente circolava addirittura l'idea che la poesia potevano scriverla anche quelli che non sapevano scrivere, perché bastava mettere giù parole in libertà. La poesia d'avanguardia era molto di moda e si associava spesso all'idea di cambiare la vita e di cambiare vita, e per me in fondo la poesia - perlomeno come la vedevo all'epoca in cui ho scritto I detectives, è già passato del tempo - è una metafora della fragilità. Una fragilità assoluta. Gente che non solo dal punto di vista letterario, ma nemmeno da quello economico, non aveva futuro, e si aggrappava alla poesia, e faceva bene a farlo... però aggrapparsi alla poesia durante un naufragio è come aggrapparsi al tappo di una bottiglia di champagne: non ti terrà a galla. La poesia poi è un'arte portatile: per leggere un romanzo servono tempo e una serie di comodità minime, mentre un sonetto puoi leggerlo in mezzo minuto. Altro problema è capirlo. Così, per me la poesia quando scrivevo i Detective era la porta d'ingresso nell'ignoto, e in quella materia sconosciuta, probabilmente, stavo aspettando la vera poesia, ma anche la porta d'ingresso stessa era poesia, una poesia bastarda, poco rigorosa, esagerata...

"Si ha l'impressione che, pur avendo profonde radici nella tradizione letteraria latinoamericana, tu sappia dialogare anche con altre, in particolare quella nordamericana..."
Per essere sinceri, io, modestamente, come diceva Vittorio Gassman, ho letto moltissimo, e da molte letture ho tratto profitto. In questo senso ho debiti nei confronti di parecchie letterature. Non credo che ci sia un'influenza diretta di quella nordamericana, ma sicuramente c'è un'influenza che riguarda di fatto tutti gli scrittori latinoamericani e che proviene dai due rami fondamentali del romanzo nordamericano, Melville e Twain. I detective ha senz'altro un debito con Mark Twain. Belano e Lima non sono altro che una trasposizione di Huckleberry Finn e Tom Sawyer. È un romanzo che scorre secondo un moto costante, che è il Missisippi. Insomma, il mio debito con Twain è enorme, anche perché è un autore che amo moltissimo. Ho letto molto anche Melville, e mi affascina. In effetti, per civetteria, preferirei credere di essere più in debito con Melville che con Twain, ma sfortunatamente penso di dovere di più a Mark Twain. Melville è un autore apocalittico... Twain è il giorno e Melville la notte, e la notte impressiona sempre molto di più. Ma per quel che riguarda la letteratura nordamericana moderna, la conosco poco e male. La conosco abbastanza fino agli scrittori della generazione precedente a Bellow. Updike l'ho letto abbastanza, ma non so perché lo facessi, sicuramente era un atto masochista, perché ogni pagina di Updike mi porta sull'orlo dell'isteria. Mailer mi piace più di Updike, anche se ritengo che come scrittore, come prosista, Updike sia più solido. Credo che gli ultimi scrittori nordamericani che ho letto a fondo e che conosco bene siano quelli della "generazione perduta": Hemingway, Faulkner, Scott Fitzgerald, Thomas Wolff. Mi sento molto più in debito, in qualche misura, con gli europei, nel senso che le mie prime letture sono state di poesia e io leggevo soprattutto poeti europei, e passare dalla poesia europea alla narrativa europea è stato molto facile.

"Tu sei cileno, vivi da molti anni in Spagna, ti muovi a tuo agio in quella che un tempo si chiamava "Patria grande", ma sei piuttosto diverso da quegli intellettuali latinoamericani che ricercano uno statuto da "scrittore nazionale", sorta di "papi laici" pronti ad assumere funzioni ufficiali, istituzionali..."
Io credo che sia soprattutto per paura che García Márquez si vede come il più grande scrittore colombiano di tutti i tempi, o Vargas Llosa come il miglior scrittore peruviano. Tutti gli scrittori latinoamericani, e penso anche gli spagnoli, in fondo hanno molta paura e cercano di assicurarsi il pantheon post-mortem. Io non ho mai avuto paura della morte e inoltre non credo nel pantheon. Guarda, quando finisce è finita e non resta niente, perciò io sto con Borges quando disse: Dopo la morte, verrà l'oblio, e molte teste di cazzo gli dicevano: Ma no, Maestro, dopo la sua morte resteranno i suoi libri. Lui li ascoltava e doveva pensare: guarda che branco di imbecilli! Perché lui alludeva all'oblio nel senso più ampio del termine, vale a dire: la Terra finirà, il Sole finirà, tutto finirà, l'oblio è un destino comune di tutto quanto, non solo degli esseri umani, e in questo senso gli scrittori latinoamericani che si pongono sempre questo obiettivo che sta fra il clericalismo e la vigliaccheria, be', cercano di assicurarsi il pantheon post-mortem, e il modo migliore per farlo è diventare lo scrittore nazionale di un paese. Io invece credo nella povertà intrinseca dell'essere umano. Un animale come noi, provvisto di viscere e muscoli, pochi, ossa debolissime, privo di esoscheletro... avere lo scheletro dentro invece che fuori mi sembra una cazzata assoluta... Guarda, si muore ed è finita, fanculo, non credo nel pantheon degli uomini illustri, e non voglio essere lo scrittore nazionale di nessun posto, e in questo senso non mi hanno mai preoccupato la nazionalità o cose del genere. L'unica cosa di cui mi preoccupo quando scrivo è di salvaguardare una certa verosimiglianza negli idiomi che impiego. Voglio dire: quando parla un peruviano dev'essere un peruviano che sta parlando, e quando parla un messicano o un centroamericano dev'essere un messicano o un centroamericano.

"Ti renderai conto che si tratta di una sfida micidiale per qualsiasi traduttore..."
Sì, per i miei traduttori dev'essere un incubo, più che una sfida.

"Un altro aspetto che colpisce dei Detective è la polifonia, che mi ha fatto subito pensare a Tre tristi tigri di Guillermo Cabrera Infante, anche perché in entrambi i romanzi prevale un'atmosfera di suspence, di attesa..."
Grande libro. A me piace molto Cabrera Infante, e soprattutto questo romanzo, che è il suo capolavoro. Non ti sbagli affatto: se c'è un romanzo polifonico della generazione del boom è Tre tristi tigri. C'è la lingua parlata dell'Avana, ma non solo. Non so se ricordi quel lunghissimo capitolo sulla morte di Trotzky raccontata da diversi scrittori cubani, da grandi scrittori cubani, a cui lui deve molto, ma con un senso dello humour, con un atto di desacralizzazione della scrittura magnifici. C'è uno stare, un vivere le cose che stanno succedendo all'Avana, è molto sensuale, in questo senso... lasciare che le cose succedano, e godere del momento. Carpe diem.

"E del tuo alter ego Belano che ne farai in futuro? Una volta hai minacciato di farlo suicidare... Compare nel romanzo che stai scrivendo?"
Nel nuovo romanzo no. C'è in un racconto di Putas asesinas, si trova in Africa, 5-6 giorni dopo che è scomparso nella foresta insieme a un fotografo madrileno, che cercava la morte e l'ha trovata, mentre Belano è vivo. È solo, malato, ma vivo. E ho un racconto scritto a metà, in cui Belano fa un viaggio in Messico, tempo dopo, per visitare la tomba di Ulíses Lima, che invece è morto; voglio dire, la persona che chiamo così nel romanzo era un poeta, Mario Santiago, il mio miglior amico.

° ° °

In un articolo di recensione a 2666, apparso su Pulp libri - dicembre 2007 , Raul Schenardi così racconta l'intervista:
Nel maggio del 2003, pochi mesi prima di morire, Roberto Bolaño venne al Salone del libro di Torino per presentare I detective selvaggi, da poco uscito da Sellerio. In quella occasione lo intervistai per "Pulp" (vedi nº 44) e approfittando della sua squisita disponibilità, proseguii poi una lunga chiacchierata a registratore spento. Per ovvi motivi di spazio a suo tempo dovetti tagliare ampie parti dell'intervista, e ora, un po' malinconicamente, mi sembra interessante recuperarne un paio di brani.
All'inizio dell'intervista, parlando del parallelo stabilito da molti critici fra I detective selvaggi e Il gioco del mondo di Cortázar, e di quanti contrapponevano il Cortázar scrittore di racconti all'autore dei romanzi, presuntamente inferiore, Bolaño ha sviluppato un'acuta analisi del celeberrimo racconto di Borges, L'Aleph:
"Come tutti i racconti di Borges, è costruito in una maniera esemplare. Vale a dire che racconta una storia, o due storie, ma racconta anche come si costruisce una storia o qualsiasi storia. Nell'Aleph abbiamo la storia
Insomma, in un racconto di dieci pagine ci sono già dieci storie, mi dici come cazzo si fa a scrivere un romanzo di oltre seicento pagine con una sola storia?
d'amore fra Borges e Beatriz Viterbo, poi c'è la morte di Beatriz, nel fiore della gioventù,
Insomma, in un racconto di dieci pagine ci sono già dieci storie, mi dici come cazzo si fa a scrivere un romanzo di oltre seicento pagine con una sola storia?appassionata,
superba, affascinante, che oltretutto muore lasciando Borges con un palmo di naso perché lui non riesce mai ad averla in nessun modo. La prima parte è purissima, nella seconda c'è frustrazione, morte, agonia, e c'è un amore non corrisposto. Poi c'è la terza storia: come Borges cerca di far rivivere nei gesti quotidiani il ricordo di Beatriz, e ci riesce andando a visitare una volta l'anno la sua casa. Quarta storia: l'apparizione di Carlos Argentino Daneri, cugino di Beatriz e la sua successiva amicizia con Borges. Poi viene la quinta storia, e ormai non è più questione di Borges né di Beatriz Viterbo, ma di Daneri e dei suoi tentativi poetici. Sesta storia segreta soggiacente: Carlos Daneri come una satira di Pablo Neruda e del suo tentativo di creare un'opera d'arte totalizzante (in quel periodo Neruda stava scrivendo il canto generale). Daneri è, diciamo, ritratto speculare e assolutamente infernale di Neruda. Settima storia: la realizzazione di Daneri nell'Aleph. Borges scende e contempla L'Aleph, e diciamo che questa storia è il nucleo principale del racconto. Ottava storia: vendetta dell'innamorato rifiutato, ergo Borges, sul cugino, che probabilmente aveva avuto una relazione carnale con Beatriz Viterbo. Ultima storia: distruzione della casa, che porta con sé la distruzione dell'Aleph, e una nota finale sui destini letterari di Borges e di Carlos Daneri: Daneri vince un secondo premio a un concorso di poesia e Borges resta a bocca asciutta. Insomma, in un racconto di dieci pagine ci sono già dieci storie, mi dici come cazzo si fa a scrivere un romanzo di oltre seicento pagine con una sola storia? È assolutamente impossibile, chi pensa una cosa del genere è un idiota. Ogni romanzo è una successione di storie che si vanno intrecciando. Stendhal l'aveva già visto con una chiarezza solare: la letteratura, un libro, è uno specchio, uno specchio che non se ne sta quieto però, ma si muove su una strada, e sullo specchio si riflettono via via le cose che succedono durante il percorso, e ogni cosa può restare in sospeso, con un punto interrogativo, oppure può finire. In questo senso Il gioco del mondo di Cortázar, che racconta moltissime storie, non fa che seguire la legge naturale del romanzo. Nemmeno lo scrittore più monotono potrebbe scrivere un romanzo dove vi sia una sola storia. Il romanzo, in questo senso, sarebbe una successione di racconti, perché la vita è una successione di racconti. Di fatto, un anno è la successione di quattro stagioni, un anno in realtà non è un anno, sono quattro stagioni, e un giorno non è un giorno, c'è il mattino, il pomeriggio, il tramonto, la notte. E cosa fa un romanziere? Una successione di racconti... Certo, poi possiamo discutere della struttura, della forma che si dà a questa successione, ma su un piano assoluto non si tratta di nient'altro che di una successione di racconti".
R.B.

continua Schenardi:
Quando gli chiesi degli scrittori latinoamericani che sentiva affini o di cui apprezzava comunque il lavoro, Bolaño rispose:
"L'argentino Rodrigo Fresán , che è mio amico, sta scrivendo cose interessanti, lo sento molto vicino, un altro argentino che si chiama Alan Pauls, poi ci sono i messicani Daniel Sada, Carmen Boullosa, il guatemalteco Rodrigo Rey Rosa, forse attualmente il migliore autore di racconti, lo stilista più raffinato della mia generazione. Il Guatemala è un paese estremo, c'è una miseria… una violenza che fa rizzare i capelli in testa… nessuno dovrebbe scrivere, dovrebbero essere tutti analfabeti… sembra una situazione senza vie d'uscita. Eppure ogni trenta o quarant'anni tira fuori uno scrittore straordinario: prima Miguel Ángel Asturias. Poi Arturo Monterroso, oggi c'è Rodrigo Rey Rosa"

R.B. 

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minima & moralia
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L’ultima intervista a Roberto Bolaño
26 febbraio 2010 • pubbl
icato da Nicola Lagioia

Roberto Bolaño, ovvero uno scrittore per il XXI secolo.
Un grande ringraziamento a Mirumir e Mirumir 2.0 per aver tradotto l’ultima intervista rilasciata dallo scrittore cileno prima di morire. L’intervista è di Mónica Maristain e fu pubblicata nel luglio del 2003 dall’edizione messicana di «Playboy».

Nel confuso panorama della letteratura in lingua spagnola, dove ogni giorno che passa appaiono nuovi scrittori più preoccupati di vincere borse di studio e incarichi nei Consolati che di contribuire in qualche modo alla creazione artistica, spicca la figura di un uomo magro, zaino blu in spalla, occhiali dalla montatura enorme, eterna sigaretta tra le dita, sottile ironia a bruciapelo sempre pronta in caso di necessità. Roberto Bolaño, nato in Cile nel 1953, è quanto di meglio sia accaduto al mestiere di scrivere da molto tempo. Da quando il suo monumentale I detective selvaggi, forse il grande romanzo messicano contemporaneo, è diventato famoso e ha ricevuto i premi Herralde (1998) e Rómulo Gallegos (1999), la sua influenza e la sua figura sono andati crescendo: tutto quello che dice con il suo umorismo tagliente e la sua raffinata intelligenza, tutto quello che scrive con la sua abile penna, di grande audacia poetica e profonda complessità creativa, è degno dell’attenzione di coloro che lo ammirano e, naturalmente, di quelli che lo detestano. L’autore appare come personaggio nel romanzo Soldati di Salamina di Javier Cercas e viene omaggiato nell’ultimo romanzo di Jorge Volpi, El fin de la locura. Come tutti gli uomini di genio fa discutere, genera acerrime antipatie malgrado il suo carattere affettuoso, la voce tra l’acuto e l’aspro con cui risponde – con cortesia da bravo cileno – che non scriverà un racconto per la rivista perché il suo prossimo romanzo, che tratterà degli omicidi di donne a Ciudad Juárez, pur essendo arrivato già a 900 pagine non è ancora finito. Roberto Bolaño vive a Blanes, in Spagna, ed è molto malato. Spera che un trapianto di fegato gli permetterà di vivere con l’intensità celebrata da chi ha avuto la fortuna di conoscerlo in privato. I suoi amici dicono che a volte si dimentica di andare alle visite mediche per continuare a scrivere. A 50 anni, quest’uomo che ha girato l’America Latina in sacco a pelo ed è sfuggito alle fauci del regime di Pinochet perché uno dei suoi carcerieri era stato suo compagno di scuola, che ha vissuto in Messico (e forse un giorno un tratto della calle Bucareli prenderà il suo nome), che conobbe i militanti del Farabundo Martí che sarebbero poi diventati gli assassini del poeta Roque Dalton a El Salvador, che fece il guardiano in un campeggio catalano, il venditore di bigiotteria in Europa e fu ladro di buoni libri perché leggere non è solo un problema di atteggiamento, quest’uomo, possiamo dirlo, ha cambiato il corso della letteratura latinoamericana. E l’ha fatto senza avvertire né chiedere il permesso, come avrebbe fatto Juan García Madero, l’antieroe adolescente dei gloriosi Detective selvaggi: «sono al primo semestre di giurisprudenza. Io non volevo studiare giurisprudenza, bensì lettere, però mio zio insisteva e alla fine ho dovuto cedere. Sono orfano. Diventerò avvocato. Fu questo che dissi a mio zio e a mia zia e poi mi chiusi in camera e piansi tutta la notte». Il resto si trova nelle restanti 608 pagine di un romanzo la cui importanza è stata paragonata dai critici a Il gioco del mondo di Julio Cortázar e persino a Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Di fronte a una simile iperbole, lui direbbe: non esiste. Meglio allora passare a quello che conta in questo momento: l’intervista.

L’essere nato dislessico ha avuto una qualche importanza nella sua vita?
Nessuno. Problemi quando giocavo a calcio, sono mancino. Problemi quando mi masturbavo, sono mancino. Problemi quando scrivevo, sono destro. Come vedi, nessun problema importante.

Enrique Vila-Matas è ancora suo amico dopo la lite con gli organizzatori del Premio Rómulo Gallegos?
La mia lite con la giuria e gli organizzatori era dovuta principalmente al fatto che pretendevano che avallassi, da Blanes e alla cieca, una selezione alla quale non avevo partecipato. I loro metodi, che una pseudo-poetessa chavista mi comunicò al telefono, sembravano troppo simili alle argomentazioni dissuasive della Casa de las Américas di Cuba. Per esempio, mi sembrava che fosse un errore enorme eliminare subito Daniel Sada o Jorge Volpi. Dissero che quello che volevo era viaggiare con mia moglie e i miei figli, cosa completamente falsa. Dalla mia indignazione per questa menzogna ebbe origine la lettera in cui li chiamavo neostalinisti e altre cose, temo. Di fatto, fui informato che fin dall’inizio volevano premiare un altro autore, che non era Vila- Matas, il cui romanzo mi pare buono e che era certamente uno dei miei candidati.

Perché nel suo studio non c’è l’aria condizionata?
Perché il mio motto non è «Et in Arcadia ego», ma «Et in Esparta ego»

Non pensa che se si fosse ubriacato con Isabel Allende e Ángeles Mastretta valuterebbe diversamente i loro libri?
Non lo penso. Primo, perché queste signore evitano di bere con uno come me. Secondo, perché io non bevo più. Terzo, perché neanche nelle peggiori sbronze ho mai perso una sia pur minima lucidità, un senso della prosodia e del ritmo, un certo rifiuto davanti al plagio, alla mediocrità o al silenzio.

Qual è la differenza tra una scribacchina e una scrittrice? Una scrittrice è Silvina Ocampo. Una scribacchina è Marcela Serrano. Gli anni luce che le separano.

Cosa le ha fatto credere di essere migliore come poeta che come narratore?
Il mio grado di rossore quando, per puro caso, apro un mio libro di poesia o uno di prosa. Quello di poesia mi fa arrossire di meno.

Lei è cileno, spagnolo o messicano?
Sono latinoamericano.

Cos’è per lei la patria?
Mi spiace darti una risposta molto pacchiana. La mia unica patria sono i miei due figli, Lautaro e Alexandra. E forse, ma secondariamente, certi istanti, certe vie, certi visi o scene o libri che stanno dentro di me e che un giorno dimenticherò, che è la cosa migliore che si possa fare con la patria.

Cos’è la letteratura cilena?
Probabilmente gli incubi del più risentito e grigio e forse più codardo dei poeti cileni: Carlos Pezoa Véliz, morto all’inizio del XX secolo, autore di due sole poesie memorabili, ma – questo sì – veramente memorabili, e che continua a sognarci e a patire. È possibile che Pezoa Véliz non sia mai morto, magari sta agonizzando e il suo ultimo minuto è abbastanza lungo, no? da contenerci tutti. O almeno da contenere tutti noi cileni.

Perché vuole sempre fare il bastian contrario?
Non faccio mai il bastian contrario.

Ha più amici che nemici?
Ho abbastanza amici e nemici, tutti gratuiti.

Chi sono i suoi amici più cari?
Il mio migliore amico era il poeta Mario Santiago, morto nel 1998. Attualmente tre dei miei migliori amici sono Ignacio Echevarría e Rodrigo Fresán e A. G. Porta.

Antonio Skármeta l’ha mai invitata al suo programma?
Una volta mi ha telefonato una sua segretaria, forse la sua amante. Le ho detto che ero troppo occupato.

Javier Cercas ha spartito con lei i premi vinti da Soldati di Salamina?
No, naturalmente.

Enrique Lihn, Jorge Teillier o Nicanor Parra?
Nicanor Parra su tutti, compresi Pablo Neruda e Vicente Huidobro e Gabriela Mistral.

Eugenio Montale, T. S. Eliot o Xavier Villaurrutia?
Montale. Se al posto di Eliot ci fosse stato James Joyce, allora Joyce. Se al posto di Eliot ci fosse stato Ezra Pound, senza dubbio Pound.

John Lennon, Lady Di o Elvis Presley?
The Pogues. O i Suicide. O Bob Dylan. Però, dai, non facciamo i pignoli: Elvis forever. Elvis con un cappello da sceriffo che guida una Mustang e si impasticca, e con la sua voce d’oro.

Chi legge di più, lei o Rodrigo Fresán?
Dipende. L’Ovest è per Rodrigo. L’Est è per me. Poi contiamo i libri delle nostre rispettive aree e sembrerebbe che li abbiamo letti tutti.

Qual è secondo lei la poesia migliore di Pablo Neruda?
Quasi tutte quelle di Residenza sulla terra.

Cosa avrebbe detto a Gabriela Mistral se l’avesse conosciuta?
Mamma, perdonami, sono stato cattivo, però l’amore di una donna mi ha fatto diventare buono.

E a Salvador Allende?
Poco o niente. Chi ha il potere (anche se per poco tempo) non sa niente di letteratura, si interessa solo al potere. E io posso essere il pagliaccio dei miei lettori, se ne ho veramente voglia, ma mai dei potenti. Suona un po’ melodrammatico. Suona come la dichiarazione di una puttana onorata. Però in fin dei conti è così.

E a Vicente Huidobro?
Huidobro mi annoia un po’. Troppo trallallì trallallà, troppo paracadutista che scende cantando come un tirolese. Sono meglio i paracadutisti che scendono avvolti nelle fiamme, o ancor più quelli a cui non si apre il paracadute.

Octavio Paz continua a essere il nemico?
Per me certamente no. Non so cosa penseranno i poeti che all’epoca, quando vivevo in Messico, scrivevano come suoi cloni. È da molto che non so niente della poesia messicana. Rileggo José Juan Tablada e Ramón López Velarde, all’occasione posso perfino recitare Suor Juana, ma non so niente di ciò che scrivono quelli che, come me, si avvicinano a cinquant’anni.

Adesso non assegnerebbe questo ruolo a Carlos Fuentes?
È da molto che non leggo niente di Carlos Fuentes.

Come la fa sentire il fatto che Arturo Pérez Reverte sia attualmente lo scrittore più letto in spagnolo?
Pérez Reverte o Isabel Allende. È lo stesso. Feuillet era l’autore francese più letto della sua epoca.

E il fatto che Arturo Pérez Reverte sia stato ammesso alla Real Academia?
La Real Academia è un covo di privilegiati. Non c’è Juan Marsé, non c’è Juan Goytisolo, non c’è Eduardo Mendoza né Javier Marías, non c’è Olvido García Valdez, non ricordo se ci sia Alvaro Pombo (se sì, probabilmente è per un equivoco), ma c’è Pérez Reverte. Be’, anche Coelho è entrato nell’Accademia brasiliana.

Si pente di aver criticato il menù servitole da Diamela Eltit?
Non ho mai criticato il suo menù. Semmai ho criticato il suo umorismo, un umorismo vegetariano, o meglio dietetico.

Le dispiace che Diamela la consideri una cattiva persona dopo quella sfortunata cena?
No, povera Diamela, non mi dispiace. Sono altre le cose che mi danno dispiacere.

Ha versato qualche lacrima per le molte critiche dei suoi nemici?
Moltissime, ogni volta che leggo qualcuno parlar male di me mi metto a piangere, mi rotolo sul pavimento, mi graffio, smetto di scrivere per un periodo di tempo indefinito, mi cala l’appetito, fumo di meno, faccio sport, esco a camminare in riva al mare, che tra parentesi sta a meno di trenta metri da casa mia, e chiedo ai gabbiani, i cui antenati si mangiarono i pesci che si mangiarono Ulisse, perché io, perché io, che non ho mai fatto del male a nessuno?

Qual è per lei il parere più importante sulle sue opere?
I miei libri li leggono Carolina (mia moglie) e poi (Jorge) Herralde (editore di Anagrama) e poi cerco di dimenticarli per sempre.

Cos’ha comprato con i soldi del Premio Rómulo Gallegos?
Non molto. Una valigia, da quel che ricordo.

Al tempo in cui viveva di concorsi letterari c’è stato qualche premio che non è riuscito a incassare?
Nessuno. Gli enti locali spagnoli, sotto questo aspetto, sono di una correttezza al di sopra di ogni sospetto.

Era un bravo cameriere o era meglio come venditore di bigiotteria?
Il lavoro che ho svolto meglio è stato quello di guardiano di notte in un campeggio vicino a Barcellona. Mentre stavo lì non c’è stato nessun furto. Ho evitato delle risse che avrebbero potuto finire molto male. Ho evitato un linciaggio (anche se dopo avrei volentieri linciato o strangolato io stesso il tipo in questione).

Ha mai provato la fame feroce, il freddo che penetra nelle ossa, il caldo che lascia senza fiato?
Come dice Vittorio Gassman in un film: modestamente, sì.

Ha mai rubato un libro che poi non le è piaciuto?
Mai. Il bello del rubare libri (e non casseforti) è che si può esaminarne il contenuto con calma prima di commettere il crimine.

Ha mai camminato in mezzo al deserto?
Sì, e per giunta in un’occasione particolare, a braccetto con mia nonna. La vecchia signora era instancabile e pensai che non se saremmo usciti vivi.

Le è mai capitato di vedere pesci colorati sott’acqua?
Certo. Ad Acapulco, senza andare più indietro nel tempo, nel 1974 o nel 1975.

Si è mai bruciato la pelle con una sigaretta?
Mai volontariamente.

Ha mai inciso il nome della persona amata sul tronco di un albero?
Ho commesso eccessi anche peggiori, ma stendiamo un velo di pietoso silenzio.

Ha mai visto la donna più bella del mondo?
Sì, quando lavoravo in un negozio, sarà stato nell”84. Il negozio era vuoto, quando entrò una donna indù. Sembrava una principessa, e forse lo era. Mi comprò alcuni pendenti di bigiotteria. Io, naturalmente, ero sul punto di svenire. Aveva la pelle ramata, i capelli lunghi, rossi, e per il resto era perfetta. La bellezza atemporale. Quando dovetti incassare provai molta vergogna. Mi sorrise come per farmi intendere che lo capiva, e che non mi preoccupassi. Poi scomparve, e non mi è più capitato di vedere una donna come lei. A volte ho l’impressione che fosse proprio la dea Kali, protettrice dei ladri e degli orefici, solo che Kali era anche la divinità degli assassini, e questa indù non solo era la donna più bella della Terra ma sembrava anche una brava persona, molto dolce e assennata.

Preferisce i cani o i gatti?
Le cagne, ma adesso non possiedo animali.

Cosa ricorda della sua infanzia?
Tutto. Non ho una cattiva memoria.

Collezionava figurine?
Sì. Di calcio e di attori e attrici di Hollywood.

Aveva un monopattino?
I miei genitori commisero l’errore di regalarmi un paio di pattini quando vivevamo a Valparaíso, che è una città costruita sulle colline. Il risultato fu disastroso. Ogni volta che mi mettevo i pattini era come se volessi suicidarmi.

Qual è la sua squadra di calcio preferita?
Adesso nessuna. Quelle che sono finite in serie B e poi in serie C e in D, fino a scomparire. Le squadre fantasma.

A quali personaggi della storia universale avrebbe voluto somigliare?
A Sherlock Holmes. Al capitano Nemo. A Julien Sorel, nostro padre, al principe Miškin, nostro zio, ad Alice, nostra professoressa, a Houdini che era un misto di Alice, di Sorel e di Miškin.

Si innamorava delle vicine più grandi di lei?
Naturalmente.

Le compagne di scuola le prestavano attenzione?
Non credo. O almeno io ero convinto di no.

Cosa deve alle donne della sua vita?
Moltissimo. Il senso della sfida e della scommessa. E altre cose che taccio per decoro.

Loro le devono qualcosa?
Niente.

Ha sofferto molto per amore?
La prima volta molto, poi ho imparato a prendere le cose con maggiore ironia.

E per odio?
Benché possa suonare pretenzioso, non ho mai odiato nessuno. O almeno sono certo di essere incapace di un odio costante nel tempo. E se l’odio non ha costanza non è odio, no?

Come ha conquistato sua moglie?
Cucinandole del riso. Allora ero molto povero e la mia dieta era principalmente a base di riso, e dunque avevo imparato a cucinarlo in molti modi.

Com’è stato diventare padre per la prima volta?
Era notte, poco prima delle 24, ero solo, e dato che nell’ospedale non si poteva fumare mi feci una sigaretta dopo essermi praticamente arrampicato sul soffitto a cassettoni del quarto piano. Fortuna che dalla strada non mi vide nessuno. Solo la luna, avrebbe detto Amado Nervo. Quando rientrai un’infermiera mi disse che mio figlio era nato. Era molto grande, quasi del tutto calvo e con gli occhi aperti, come a chiedersi chi fosse quel demonio che lo teneva in braccio.

Lautaro farà lo scrittore?
Io spero solo che sia felice. Dunque è meglio che faccia qualcos’altro. Pilota di aerei, per esempio, o chirurgo plastico, o editore.

Cosa vede in lui di suo?
Per fortuna somiglia molto di più a sua madre che a me.

La preoccupano le vendite dei suoi libri?
Il minimo indispensabile.

Le capita mai di pensare ai suoi lettori?
Quasi mai.

Tra tutte le cose che le hanno detto i suoi lettori a proposito dei suoi libri, quali l’hanno commossa?
Mi commuovono i lettori e basta, quelli che hanno ancora il coraggio di leggere il Dizionario filosofico di Voltaire, che è una delle opere più piacevoli e moderne che conosco. Mi commuovono i giovani di ferro che leggono Cortázar e Parra, così come li ho letti io e come intendo continuare a leggerli. Mi commuovono i giovani che dormono con un libro sotto la testa. Un libro è il miglior cuscino che esista.

Cosa l’ha fatta arrabbiare?
A questo punto arrabbiarsi è una perdita di tempo. E purtroppo alla mia età il tempo conta.

Ha mai avuto paura dei suoi fan?
Ho avuto paura dei fan di Leopoldo María Panero, che, d’altra parte, mi sembra uno dei tre migliori poeti spagnoli viventi. A Pamplona, durante un ciclo organizzato da Jesús Ferrero, Panero doveva chiudere la rassegna e, man mano che si avvicinava il giorno della sua lettura, la città o il quartiere in cui si trovava il nostro albergo si riempì di freak che sembravano scappati da un manicomio e che, d’altro canto, sono il miglior pubblico cui possa aspirare un poeta. Il problema era che alcuni sembravano non solo dei pazzi ma anche degli assassini, e Ferrero ed io avevamo paura che qualcuno da un momento all’altro si alzasse e dicesse: ho ammazzato Leopoldo María Panero, per poi scaricare quattro pallottole nella testa del poeta e, già che c’era, riservarne una a Ferrero e una a me.

Cosa prova quando critici come Darío Osses la considerano lo scrittore americano con più avvenire?
Deve essere uno scherzo. Io sono lo scrittore latinoamericano con meno avvenire. È invece vero che sono tra quelli che hanno più passato, che dopo tutto è quello che conta.

La incuriosisce il libro critico che sta preparando la sua connazionale Patricia Espinoza?
No. Espinoza mi sembra una critica molto brava, indipendentemente da come mi tratterà nel suo libro, suppongo non molto bene, però il lavoro di Espinoza è necessario in Cile. Di fatto, la necessità di una – chiamiamola così – nuova critica comincia a farsi urgente in tutta l’America Latina.

E il libro dell’argentina Celina Mazoni?
Conosco Celina personalmente e le voglio molto bene. Le ho dedicato uno dei racconti di Puttane assassine.

Che cosa la annoia?
Il discorso vuoto della sinistra. Il discorso vuoto della destra lo do per scontato.

Che cosa la diverte?
Veder giocare mia figlia Alexandra. Far colazione in un bar in riva al mare e mangiare un cornetto leggendo il giornale. La letteratura di Borges. La letteratura di Bioy. La letteratura di Bustos Domecq. Fare l’amore.

Scrive a mano?
La poesia sì. Il resto con un vecchio computer del 1993.

Se chiude gli occhi, tra tutti i paesaggi dell’America Latina che ha conosciuto qual è il primo che le torna in mente?
Le labbra di Lisa nel 1974. Il camion di mio padre guasto in una strada nel deserto. Il padiglione dei tubercolosi di un ospedale di Cauquenes e mia madre che dice a mia sorella e a me di trattenere il respiro. Un’escursione al Popocatépetl con Lisa, Mara e Vera e qualcun altro che non ricordo, ma ricordo le labbra di Lisa, il suo sorriso straordinario.

Com’è il paradiso?
Come Venezia, spero, un posto pieno di italiane e di italiani. Un luogo da usare e consumare e che sa che niente dura, neanche il paradiso, e che questo in fondo non conta.

E l’inferno?
Come Ciudad Juárez, che è la nostra maledizione e il nostro specchio, lo specchio inquieto delle nostre frustrazioni e della nostra infame interpretazione della libertà e dei nostri desideri.

Quando ha saputo di essere gravemente malato?
Nel ‘92.

Cosa ha cambiato del suo carattere la malattia?
Niente. Ho saputo che non ero immortale, e a 38 anni era ora che lo sapessi.

Cosa vorrebbe fare prima di morire?
Niente di speciale. Be’, preferirei non morire, chiaro. Però prima o poi la distinta signora arriva, il problema è che a volte non è una signora né tanto meno è distinta, ma piuttosto, come dice Nicanor Parra in una poesia, è una puttana insaziabile che fa tremare anche i più intrepidi.

Chi le piacerebbe incontrare nell’aldilà?
Non credo nell’aldilà. Se esistesse, che sorpresa. Mi iscriverei subito ai corsi di Pascal.

Ha mai pensato di suicidarsi?
Naturalmente. In qualche occasione sono sopravvissuto proprio perché sapevo come suicidarmi se le cose fossero peggiorate.

Le è capitato di pensare che stava impazzendo?
Naturalmente, ma mi ha sempre salvato il senso dell’umorismo. Mi raccontavo storie che mi facevano ridere come un pazzo. O mi ricordavo situazioni che mi facevano rotolare dalle risate.

La pazzia, la morte e l’amore: quale di queste tre cose ha avuto di più nella sua vita?
Spero con tutto il cuore di aver avuto più amore.

Cosa la fa ridere sonoramente?
Le mie e le altrui disgrazie.

Cosa la fa piangere?
Lo stesso: le mie e le altrui disgrazie.

Le piace la musica?
Molto.

Vede la sua opera come tendono a vederla i suoi lettori e critici, prima di tutto I detective selvaggi e poi tutto il resto?
L’unico romanzo di cui non mi vergogno è Anversa, forse perché continua a essere incomprensibile. Le critiche negative che ha ricevuto sono medaglie guadagnate in combattimento, non in scaramucce a salve. Il resto della mia opera, be’, non è male, sono romanzi divertenti, il tempo ci dirà se sono qualcosa di più. Per ora mi fanno guadagnare, vengono tradotti, mi servono per farmi degli amici molto generosi e simpatici, mi permettono di vivere, e anche abbastanza bene, di letteratura, e dunque lamentarsi sarebbe gratuito e ingrato. Ma la verità è che non do molta importanza ai miei libri. Sono molto più interessato ai libri degli altri.

Non taglierebbe alcune pagine dei Detective selvaggi?
No. Per tagliarle dovrei rileggerlo e la mia religione me lo proibisce.

Non la spaventa che qualcuno voglia fare la versione cinematografica del romanzo?
Ah, Mónica, mi spaventano altre cose. Diciamo: cose più terrificanti, infinitamente più terrificanti.

«Silva, detto l’Occhio» [1] è un omaggio a Julio Cortázar?
Assolutamente no.

Quando finì di scrivere «Silva, detto l’Occhio» non ha sentito di aver creato un racconto all’altezza, di «Casa occupata», [2] per esempio?
Quando finii di scrivere «Silva, detto l’Occhio» smisi di piangere o qualcosa di simile. Quanto al paragone con un racconto di Cortázar, non avrei potuto chiedere di meglio, anche se «Casa occupata» non è uno dei miei preferiti.

Quali sono i cinque libri che hanno segnato la sua vita?
I miei cinque libri sono in realtà cinquemila. Nomino questi solo come punta di diamante o perversa ambasciata: Don Chisciotte di Cervantes. Moby Dick di Melville. Le Opere complete di Borges. Il gioco del mondo di Cortázar. Una banda di idioti di Kennedy Toole. Ma dovrei citare anche: Nadja di Breton. Le Lettere di Jacques Vaché. Tutto l’Ubu di Jarry. La vita istruzioni per l’uso di Perec. Il castello e Il processo di Kafka. Gli aforismi di Lichtenberg. Il Tractatus di Wittgenstein. L’invenzione di Morel di Bioy Casares. Il Satyricon di Petronio. La Storia di Roma di Tito Livio. I Pensieri di Pascal.

Va d’accordo con il suo editore?
Abbastanza. Herralde è una persona intelligente e spesso affascinante. Forse mi converrebbe di più che non fosse tanto affascinante. Il fatto è che lo conosco da otto anni, e almeno da parte mia l’amore cresce sempre di più, come dice un bolero. Anche se forse mi converrebbe non amarlo tanto.

Cosa dice di quelli che considerano I detective selvaggi il grande romanzo messicano contemporaneo?
Che lo dicono per pietà, che mi vedono decaduto o mentre svengo nei luoghi pubblici e non gli viene in mente niente di meglio di una pietosa menzogna, che del resto è la cosa più indicata in questi casi e non è nemmeno un peccato veniale.

È vero che fu Juan Villoro a convincerla a non intitolare Tormenta de mierda (Tormenta di merda) il suo romanzo Notturno cileno?
Villoro e Herralde.

Da chi altri accetta consigli sulla sua opera?
Non accetto i consigli di nessuno, nemmeno del mio medico. Do consigli a destra e a sinistra, ma non ne ascolto nessuno.

Com’è Blanes?
Un bel paese. O una piccola città di trentamila abitanti, abbastanza bella. Fu fondata duemila anni fa dai romani, e poi passò di qui gente di tutte le provenienze. Non è una spiaggia di ricchi, ma di proletari. Operai del Nord o dell’Est. Alcuni si fermano per sempre. La baia è bellissima.

Le manca qualcosa della sua vita in Messico?
La mia giovinezza e le camminate interminabili con Mario Santiago.

Quale scrittore messicano ammira profondamente?
Molti. Della mia generazione ammiro Sada, il cui progetto di scrittura mi pare il più audace, Villoro, Carmen Boullosa; tra i più giovani mi interessa molto quello che fanno Alvaro Enrigue e Mauricio Montiel, o Volpi e Ignacio Padilla. Continuo a leggere Sergio Pitol, che scrive sempre meglio. E Carlos Monsiváis, che, da quanto mi ha raccontato Villoro, ha soprannominato Taibo 2 o 3 (o 4) “Pol Pit”, il che mi sembra una bella trovata poetica. Pol Pit, è perfetto, no? Monsiváis continua a usare le sue unghie affilate. Mi piace molto quello che fa Sergio González Rodríguez.

Esiste un rimedio per il mondo?
Il mondo è vivo e niente di ciò che è vivo ha rimedio, e questa è la nostra sorte.

Ripone speranze? in che cosa, in chi?
Mia cara Maristain, lei mi trascina nuovamente nei pascoli della pacchianeria, che sono i miei pascoli natali. Io spero nei ragazzini. Nei ragazzini e nei guerrieri. Nei ragazzini che scopano come ragazzini e nei guerrieri che combattono come eroi. Perché? Mi rimetto alla lapide di Borges, come direbbe l’inclito Gervasio Montenegro, dell’Academia (come Pérez Reverte, pensi un po’), e non parliamone più.

Quali sentimenti le suscita la parola postumo?
Sembra il nome di un gladiatore romano. Un gladiatore invincibile. O almeno questo ama credere il povero Postumo per farsi coraggio.

Cosa pensa di quelli che pensano che vincerà il Premio Nobel?
Sono sicuro, cara Maristain, che non lo vincerò, come sono sicuro che lo vincerà invece qualche barbone della mia generazione e che non mi nominerà neanche di sfuggita nel suo discorso di Stoccolma.

Quando è stato più felice?
Sono stato felice quasi tutti i giorni della mia vita, almeno per un istante, anche nelle circostanze più avverse.

Cose le sarebbe piaciuto essere, se non fosse stato scrittore?
Mi sarebbe piaciuto essere un detective della omicidi, molto più che uno scrittore. Di questo sono assolutamente certo. Un piedipiatti della omicidi, qualcuno che può tornare solo, nottetempo, sulla scena del crimine, e non avere paura dei fantasmi. Allora sì che forse sarei impazzito, però questo, essendo un poliziotto, si risolve con un colpo in bocca.

Confessa di aver vissuto?
Be’, continuo a vivere, continuo a leggere, continuo a scrivere e a guardare film, e come disse Arturo Prat ai suicidi della Esmeralda, finché vivrò questa bandiera non si ammainerà.

[1] Nella raccolta di racconti Puttane assassine, Sellerio editore, Palermo 2009.    
[2] Nella raccolta di Julio Cortázar, Bestiario, Einaudi, Torino 1965.



domenica 14 novembre 2010



io sono il dado andato :io lo sprecato
che andato è andato perchè cosi e' andato 
se mai non si saprà codice o comma
io sono il dado mal giocato al fato
io sono il dado sdato: io, lo sprecato

                                         Ferdinando Tartaglia 



 Giulio Tremonti: “Fatevi un panino con Dante Alighieri”

sabato 13 novembre 2010

Risposta a Tremonti

Risposta a Giulio Tremonti:  
 
    


Noi non ci apparteniamo  è il mal de' fiori 

Tutto sfiorisce in questo andar ch'è star 

innavenir 

Nel sogno che non sai che ti sognare 

tutto è passato senza incominciare 

'me in quest'andar ch'è stato          



UN ABBRACCIO A GUIDO CERONETTI

BOOKOUT FESTIVAL 2010 

FESTIVAL DEL LIBRO LGBT 

12,13,14 NOVEMBRE 2010, 

PISA, STAZIONE LEOPOLDA 

http://bookout.it/programma

oltre il margine
festival di letteratura e migrazione


11-14 NOVEMBRE 2010

BRESCIA | BORGOSATOLLO | CASTENEDOLO

GIOVEDI’ 11 NOV.

ore 21.00
Brescia
Casa del popolo E. Natali
via Risorgimento 18

L’Italia e le sue ex-colonie

Cena Africana a cura di ARCI-COLORI E SAPORI (ore 20)

proiezione del documentario “L’amico Isaias” di Fabrizio Gatti

È una videoinchiesta del giornalista del settimanale “L’Espresso” Fabrizio Gatti che indaga i rapporti economici tra Eritrea e Italia, facendo luce sulla figura del dittatore Isaias Afeweki.

incontro con:

Hamid Barole Abdu è uno scrittore eritreo ed esperto interculturale. Ha realizzato progetti di ricerca e studi sul fenomeno immigratorio. Il suo primo libro di poesie Akhria – io sradicato poeta per fame è stato pubblicato nel 1996.
Antonio Morone insegna Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Verona. E’ stato visiting scholar all’American University del Cairo e alla Northwestern University di Chicago. Si occupa di storia del colonialismo e della società post-coloniale. Di prossima pubblicazione La lunga fine del colonialismo italiano (Laterza).
Giovanni Franco Valenti è presidente della Fondazione Guido Piccini e responsabile dell’osservatorio sull’immigrazione di Brescia. È stato a lungo dirigente del Servizio per l’integrazione e la cittadinanza del Comune di Brescia. 


VENERDI’ 12 NOV.
ore 20.30
Brescia
Centro Saveriano, Sala del Romanino,
via Piamarta 9

Per una letteratura post-coloniale italiana?

incontro con:

Carla Macoggi è nata in Etiopia ed è arrivata da bambina in Italia. Ha scritto La via per il paradiso (ed. Sovera Multimedia, 2004) ed i racconti “Luna” incluso nella raccolta Linguamadre 2009 (ed. Seb27) e “A Taitu piaceva il Filowha” incluso in Roma d’Abissinia (Nerosubianco ed.).
Ribka Sibhatu è nata ad Asmara, Eritrea. E’ una scrittrice e studiosa di poetica orale. Nel 1993 ha pubblicato il testo bilingue Aulò (Sinnos, 1993). Ha scritto il saggio Il cittadino che non c’è. L’immigrazione nei media italiani (EDUP, 1999). Alcuni suoi testi sono raccolti nell’antologia Alì e altre storie. Letteratura e immigrazione (Rai-Eri, 1998).
Erminia Dell’Oro è nata ad Asmara in Eritrea e vive a Milano. Nei suoi romanzi ha raccontato il colonialismo italiano e l’immigrazione. Tra le sue opere Il fiore di Merara (Einaudi, 1991), L’abbandono (Einaudi, 1991), Asmara addio (Einaudi, 1993), La Gola del diavolo (Feltrinelli, 1999). 


SABATO 13 NOV.

ore 21.00
Borgosatollo
Teatro Comunale
via Leonardo da Vinci 11

Regina di Fiori e di Perle
spettacolo teatrale
scritto e interpretato da Gabriella Ghermandi

accompagnamento musicale
Edoardo Chiaf

Regina di Fiori e di Perle è uno spettacolo basato sull’omonimo romanzo dell’autrice, che racconta del colonialismo italiano in Etiopia, un pezzo di storia italiana che è stata scolorita nella memoria del paese fino a diventare invisibile. Alla voce di Gabriella s’intrecciano tante infinite storie personali che raccontano quel pezzo di storia.
Gabriella Ghermandi è una scrittrice italo-etiope. Nata ad Addis Abeba, si trasferisce in Italia nel 1979. Vive da tempo a Bologna, città originaria del padre. Nel 1999 ha vinto il Primo premio al Concorso organizzato dell’associazione Eks&Tra. Seguendo l’arte della metafora tipica della tradizione culturale etiope, scrive e interpreta spettacoli di narrazione che ha presentato in Italia, Svizzera e Stati Uniti. E’ fondatrice, assieme ad altri scrittori, della rivista online “El Ghibli”. Nel 2007 ha pubblicato il suo primo romanzo Regina di Fiori e di Perle (Donzelli). 


DOMENICA 14 NOV.

ore 21.00
Castenedolo
Sala Civica dei Disciplini
via Matteotti 96

Arrivederci a Mogadiscio. Quale futuro per la Somalia?

proiezione del documentario “La Quarta Via” di Simone Brioni e Graziano Chiscuzzu

Kaha Mohamed Aden racconta di Mogadiscio, sua città natale, e ne ricostruisce la storia a Pavia, dove attualmente risiede. ‘La quarta via’ simbolizza l’attuale guerra civile, che nega i periodi storici precedenti e rende necessaria la speranza in una ‘quinta via’.

incontro con:

Shirin Ramzanali Fazel è una scrittrice di origine somala, nata a Mogadiscio. Giunge in Italia nel 1969 e pubblica uno dei primi romanzi della ‘letteratura della migrazione’, Lontano da Mogadiscio (Datanews, 1994). È del 2010 il suo secondo romanzo Nuvole sull’Equatore (Nerosubianco, 2010).
Kaha Mohamed Aden è nata a Mogadiscio e dal 1987 risiede a Pavia, dove si laurea in Economia e consegue un master in cooperazione e sviluppo. Ha pubblicato Fra-intendimenti (Nottetempo, 2010).
Simone Brioni è ricercatore presso l’Università di Warwick, e si occupa dell’opera in lingua italiana di autori di origine somala. Di prossima pubblicazione James Graham Ballard: Il futuro quotidiano (Prospettiva).